Maurizio Blondet 22 Settembre 2022
di Don Michele Gurtner
Negli ultimi anni molti chierici -sacerdoti, prelati, vescovi e cardinali diocesani o curiali, e altri incarichi più alti ancora- hanno ammesso in colloqui privati, ma anche pubblicamente in interviste, conferenze e articoli, che non riescono a capire come mai così tanti cattolici (e ormai diventano sempre di più) sono legati alla Santa Messa tradizionale e ad altre Liturgie secondo il “Vetus Ordo”, ossia ai “riti tradizionali” della Santa Chiesa Cattolica.
Per quanto questo dubbio possa suscitare stupore a chi è familiare con la Messa e la Teologia tradizionale, dobbiamo soprattutto apprezzare il loro coraggio e la sincerità dimostrati nell’ammettere tali perplessità quando dicono: “non capiamo perché uno preferisce la Liturgia tradizionale a quella nuova e riformata”. Chi ammette di non capire dà un segnale di essere pronto ad imparare, di essere curioso e propenso ad arricchirsi. Benjamin Franklin disse saggiamente: “non l’ignorare è la vergogna, ma il rifiuto di imparare”. Perciò non va mai criticato chi ammette la momentanea incapacità di comprendere una cosa oppure un concetto, ma va aiutato con prontezza e pazienza nel suo superamento. Non sarebbe giusto se essi dovessero avere paura ammettere la loro incomprensione: chi fa una domanda oppure chi non è ancora in grado di comprende bene deve sempre trovare chi gli dà una spiegazione, una risposta oppure almeno un’indicazione. Anche questi sono opere di misericordia e di carità cristiana verso il prossimo, che ancora ha bisogno di capire. Sapere, conoscere, imparare e crescere sono diritti naturali e umani, iscritti nell’anima umana da Dio stesso – ancora di più quando si tratta di una crescita spirituale che gli permette di avvicinarsi di più a Dio. È un atto di autentica umiltà sia dare risposte a chi non comprende, che accettarle per crescere in fede e saggezza.
In fondo dobbiamo sempre ricordarci che è proprio questa la dinamica che ci porta all’approfondimento in un qualunque campo: fede, scienza teologica e naturale, cultura, o quel che sia – all’inizio c’è il non capire, che poi va riconosciuto, ammesso e finalmente colmato attraverso le risposte alle proprie domande. Grazie a questo processo possiamo migliorare le nostre nozioni, comprendere meglio la verità e fare progressi di ogni genere, incluso la fede (anche se in quel caso subentrano altre cose ancora, come per esempio la grazia divina).
Detto questo possiamo tentare di dare almeno una prima risposta alle perplessità coraggiosamente espresse. Per forza deve rimanere per ora ancora provvisoria perché di certo non può essere esauriente in un breve articolo come questo, data la quantità di ciò che bisognerebbe dire a riguardo e considerando anche la complessità dell’argomento. Anche se in questo luogo ci dobbiamo limitare a dare qualche primo accenno, spero possano essere utili e servire a capire meglio il perché della scelta di sempre più persone di abbracciare la liturgia e la dottrina tradizionali della Santa Chiesa Cattolica. Certamente, i vari punti andrebbero approfonditi in una conferenza oppure in un libro più esauriente. Generalmente la gente che frequenta la Messa tradizionale ci va per convinzione e ha fatto una scelta consapevole. Detto con altre parole: non ci vanno soltanto perché la loro Messa parrocchiale è celebrata male e in modo sciatto, e quindi preferiscono a questo punto la Messa antica, ma se la Messa NOM fosse celebrata bene preferirebbero quella Messa. No, chi ci va lo farebbe di solito anche se la Messa nuova fosse celebrata nel miglior modo possibile. Sono quindi innanzitutto motivi positivi e non soltanto motivi negativi che spingono alla Tradizione.
Chi conosce e apprezza la Messa tradizionale di solito è anche convinto che non può essere semplicemente sostituita con una Messa NOM, anche se ben celebrata, senza perdere qualcosa di grande, di prezioso e insostituibile. Per quanto è vero che la Messa NOM è sacramentalmente valida, è anche vero che
a) la sua teologia che sta dietro è cambiata in punti di non poca importanza e
b) le mancano elementi importanti che nella Messa NOM semplicemente non ci sono più.
Perciò non cambia solo l’esteriorità, ma qualcosa di più profondo. La Messa nuova è qualcosa di diverso – e lo vuole essere. Basta comparare l’introduzione, le rubriche e le preghiere dei due Missali, cosa che richiederebbe un’intera conferenza sul tema. A chi ha soltanto accesso alla Messa nuova e non alla Messa tradizionale manca quindi qualcosa, che la Messa nuova non gli può dare – e non lo vuole nemmeno.
La Messa antica induce alla preghiera più personale e intima possibile, la Messa nuova la ostacola invece. In ogni momento della nostra vita, in un modo o l’altro, abbiamo qualcuno accanto, fisicamente o moralmente, che sta al centro della nostra attenzione – quella concreta, non quella astratta. I figli, i fratelli, i colleghi di lavoro, amici, gente che incontriamo o anche perfetti sconosciuti. E va anche bene, la vita che Dio ci ha dato lo prevede, e quindi è giusto che sia proprio così. Ma c’è un solo momento, o meglio: una sola occasione nella nostra vita in cui non sono altre persone a stare al centro della nostra attenzione, ma Dio stesso, nel modo più concreto e reale possibile. È il momento in cui si attua il sacrificio redentore di Gesù Cristo sull’altare.
Sull’altare è Golgota, sul Golgota è la Santa Croce, sulla Santa Croce avviene il grande Sacrificio di Cristo, e in questo preciso momento ogni uomo viene redento personalmente da Dio. In questo momento ogni uomo sta, in un certo modo, al preciso centro dell’attenzione di Cristo, perché egli sta per essere riscattato personalmente da lui. Perciò la Santa Messa è il momento più intimo che una persona possa avere con il suo Redentore. Se c’è un momento nella nostra vita in cui Cristo e soltanto Cristo sta al centro della nostra attenzione, allora è il momento della Santa Messa. Questo insuperabile momento più “intimo” e personale esige per forza il silenzio e la solitudine con il Signore e non permette distrazioni o altro – altrimenti non può avvenire in maniera completa. Questo singolare istante “in due” è una vera e propria esigenza per una persona credente e non consente disvii. Anche marito e moglie hanno bisogno di stare in due ogni tanto senza avere sempre altre persone attorno, nemmeno i propri genitori, fratelli o figli. Sono attimi esclusivi per il proprio compagno che vanno vissuti in due – non sono sostituibili né condivisibili, nemmeno con la persona più cara al mondo, perché non sarebbe lo stesso. Se questi momenti in due vengono a mancare, allora non esistono proprio nella vita, perché possono essere vissuti solo con una persona ben precisa e solo in due. O così, o non esiste più.
Analogamente abbiamo bisogno di questa esclusività anche con il nostro Redentore durante il suo grande sacrificio che sta compiendo per ME in quel preciso istante. “Gli altri li abbiamo sempre attorno a noi” e va bene: ma nel momento della redenzione che è la MIA redenzione personale è l’unico momento nella vita di una persona in cui veramente Dio e soltanto lui sta al centro. E questo momento di esclusività non può avvenire in un altro momento al di fuori della Messa, magari durante una preghiera personale. Perché quando mai potrebbe essere possibile questo in un momento diverso o addirittura migliore, se non durante la Messa? Quando se non in presenza del grande sacrificio che ci/mi cambia la vita completamente – quella vita eterna?
Il NOM invece ha una visione fondamentalmente diversa. Mentre il VOM favorisce questo intimissimo incontro personale ed insuperabile con Dio durante il Sacrificio, il NOM lo impedisce, perché prevede dialoghi, risposte, recitazioni ad alta voce, testi a scelta, sempre diversi e più o meno adatti e via dicendo. Il VOM offre una forma di un incontro con Cristo nella preghiera come può verificarsi solo in una Santa Messa – ma la Santa Messa riformata nega questo “ambiente” e questo tipo di incontro particolare con il Signore sulla Croce a priori a causa di una teologia diversa e di conseguenza di una forma liturgica diversa. Perciò: il VOM permette e favorisce una forma di incontro con Cristo che il NOM impedisce.
Tutta la Liturgia tradizionale è innegabilmente centrata su Dio. Lo è nelle sue preghiere, nei suoi riti e gesti, in tutta la sua composizione, lo fanno capire la lingua che non è quella vernacola e l’orientamento versus Deum – sacerdote e popolo insieme nella stessa direzione, “rivolti al Signore”. Tutto il modo in cui si svolge non permette dubbi sul suo centro. La riforma liturgica invece, che ha palesemente un approccio antropocentrico, sposta Dio volutamente dal centro e mette l’uomo al suo posto. Forse non lo ammette, ma di fatto succede esattamente quello. Dove di più, dove di meno, ma avviene sempre e dappertutto per via della sua composizione. Gli altari, spesso chiamati “mensa”, sono orientati verso “l’assemblea” a cui il sacerdote si rivolge in continuazione, anche dialogando, nella lingua vernacola, come se parlasse con loro anziché di pregare Dio. Forse lo fa anche, ma diversamente e comunque non sembra; e quanti testi, saluti e altro che decisamente non sono preghiere sono di fatto inseriti! I testi delle preghiere sono sensibilmente cambiati, non soltanto nella Santa Messa ma in tutti i riti, dal battesimo al funerale, e sono diventati insopportabilmente antropocentrici e banali.
Questa nuova visione di Liturgia si rispecchia poi anche in un novo stile di arte sacra, che di sacro ben poco ha conservato. Il tabernacolo è stato spostato dal centro in un angolo laterale, mentre la sedia del sacerdote (e la cattedra episcopale) sono stati messi al suo posto, cioè al centro. Le candele da una parte, i fiori dall’altra spacca la simmetria di una volta, nel cui centro c’era l’Eucaristia: adesso sta in linea, non in centro. Sembra una sciocchezza, ma cambia. E tante altre cose, che tutti conosciamo bene e vediamo ogni giorno, ancora. La nuova Liturgia trasmette ai fedeli che il sacerdote, diventato il “presidente”, si stesse rivolgendo a loro, parlando e stando davanti a loro come uno che vuole insegnare qualcosa. È come se tentasse di “vendere” un pensiero o di convincerli di un’idea più o meno sensata. Tutti pensano ormai che la Liturgia sia un “raduno”, una “festa” e indirizzata a loro – fatta per essere capita, e non vissuta e pregata come la Messa tradizionale, che non lascia nemmeno il minimo spazio per un eventuale dubbio a chi è rivolta.
Per questo il VOM è più coerente a ciò che la Chiesa crede e dice da sempre (e lo dice tuttora, almeno in teoria) che la Messa sia: l’incruenta attuazione del Sacrificio redentore di Gesù Cristo sul Calvario. Se il grande sacrificio si sta davvero svolgendo sull’altare, e se la Chiesa si sta rivolgendo nella più sublime delle preghiere a Dio: allora che senso ha mettere al centro l’uomo anziché Dio? Nel VOM la Chiesa tratta il Corpo e il Sangue di Cristo diversamente. Ne parla diversamente. Sta attenta ad ogni minimo dettaglio, proprio perché sa e soprattutto crede fermamente: questo è veramente, realmente e sostanzialmente il Copro e il Sangue di Cristo, nella sua divinità e umanità, con anima e spirito. E di conseguenza trasmette anche ai fedeli questa fede attraverso ciascuno dei suoi gesti, devozioni, riti e preghiere, proprio perché ne è convintissima, e sa dimostrare questa la sua convinzione. Essendo convintissima e avendo capito l’importanza, non potrebbe farne di meno proprio. Va quindi da sé trattare l’Eucaristia secondo il credo della Chiesa, perché è la conseguenza più naturale, e l’unica possibile e coerente alla sua convinzione.
La Liturgia tradizionale sta attentissima perché nemmeno il più piccolo frammento del Corpo di Cristo vada perso, raccoglie ogni minima particola con una patena, il sacerdote tiene uniti pollici e indice sia per motivi pratici “di sicurezza” che per far vedere: qualcosa è successo, qualcosa è cambiato. Se questo, e tante altre cose ancora, non sono più previste dal NOM, allora è evidente che qualcosa è cambiato nella fede e nelle convinzioni della Chiesa. E di certo non è migliorato.
Tutto ciò (ed e solo uno di tanti possibili esempi che si potrebbero elencare) rende il VOM molto più convincente e credibile rispetto alla Liturgia dopo la riforma. Non ci stupisce affatto che l’attore Shia LeBeouf si è convertito al cattolicesimo grazie alla scoperta della Messa antica, osservando giustamente che in quella Messa “non ho l’impressione che mi vogliano vendere una macchina”. Ha puntualizzato perfettamente un problema della Messa nuova: per quanta essa è concepita, sta sempre in dialogo con i fedeli anziché sottolineare che sta in dialogo con Dio. Sembra volesse convincere i fedeli di qualcosa, sembra volesse trasmettere un messaggio o a volte peggio ancora: sembra volesse sottoporre i fedeli a un lavaggio di cervello, specialmente quando si tratta di una Messa “a tema”. Nella nuova Messa la Chiesa parla molto, ma è difficile capire che sta facendo qualcosa, che sta offrendo un sacrificio perfetto.
Nel VOM invece la Chiesa fa e basta – senza spiegare, senza parlare, senza cercare di convincere, vendere un’idea più o meno nobile e corretta e senza concentrarsi sull’uomo che in questo momento non sta al suo centro d’attenzione – o almeno non dovrebbe. Egli, nella Messa tradizionale, partecipa e assiste a ciò che la Chiesa sta facendo nella sua Liturgia, si immerge nella sua preghiera e lascia fare Dio a sé. L’uomo non fa, ma lascia che Dio faccia. Proprio il fatto che la Chiesa, nel VOM, non cerca di vendere e convincere la rende così convincente, credibile ed attraente.
Questa notevole e autentica capacità di convincere e coinvolgere proviene da un perfetto equilibrio tra essere nello stesso tempo adatto a Dio ma anche perfettamente adatto all’uomo. Forse sembra alla prima vista paradossale e contradditorio, ma più la Liturgia è cristocentrica in termini assoluti, e più rappresenta un momento di estrema “Cristo-esclusività”, più prende in considerazione anche l’uomo e le sue esigenze spirituali (e non viceversa!). Perché vale sempre: homo capax Dei, l’uomo è capace di Dio! Ma la Liturgia riformata si comporta come se non lo fosse. Soltanto una Liturgia concentrata esclusivamente su Dio ed immersa completamente nel mysterium fidei che sta celebrando è adatta anche all’uomo – perché l’uomo ha bisogno proprio di questo e non di altro: di un momento di assoluta cristocentralità. Più la Liturgia è sacra, più fa splendere quella sacralità e più mette al centro Dio, più rispetta anche l’uomo e le sue esigenze, più lo prende sul serio e più diventa -in un buon senso- anche “umana”.
Una chiesa che pensa di dover fare altro, progettando una Liturgia attorno all’uomo dove Cristo non è altro che il motto di una celebrazione, non prende sul serio le vere esigenze umane. Così facendo è come se trattasse una persona adulta come un bambino: alla lunga non può soddisfare perché non è sufficiente. L’uomo ha bisogno di Dio – non di sé stesso.
Parlando del VOM tutti sanno subito di quale tipo di Messa si parla senza che altre spiegazioni siano necessarie – mentre il NOM rimane volutamente ambiguo e poco chiaro. Senza badare agli innumerevoli abusi liturgici che purtroppo non mancano (forse non volute, ma almeno favorite dal nuovo rito stesso), e solo restando entro i limiti delle possibilità che il nuovo Messale prevede ufficialmente, ci sono troppi modi, del resto contradittorii tra di loro, di celebrare la Messa, perché il rito stesso lasica troppe scelte. Ciò fa sì che i fedeli dipendono dalle decisioni personali del celebrante e le sue vedute. Quindi si può essere più fortunati o meno, e non è affatto garantito che le scelte del sacerdote siano quelle più cattoliche e giuste. La vasta gamma va da una Messa celebrata in latino sull’altare maggiore con tanto di incenso e Canone Romano, al punto che assomiglia addirittura vagamente alla Messa tradizionale, fino alla Messa celebrata solo in camice e stola, su un tavolo e tutti i fedeli seduti attorno, con canti banali a suon di chitarra e una preghiera eucaristica brevissima che sembra più un racconto oppure una meditazione. Anche il modo di muoversi, di celebrare, di vestire, di recitare i testi e tante altre cose ancora sono per forza a discrezione del sacerdote celebrante – volendo o no. Anche se decide di celebrare nel modo più tradizionale possibile: rimane sempre una decisione sua personale, perché potrebbe fare anche diversamente senza uscire fuori dal Missale. Così può porre l’accento su una cosa, per esempio sul sacrificio di Cristo oppure la sua divinità o la salvezza dell’anima, piuttosto su un’altra, per esempio la comunità, l’umanità di Cristo, la condivisione del cibo, tematiche politiche, sociali, umane o ecclesiastiche oppure un qualsiasi altro aspetto che gli salta in testa, senza infrangere nemmeno una singola rubrica del Messale.
Quindi, dalla Liturgia non è più sicuro che cosa crede la Chiesa cattolica in concreto – oppure se è ancora rimasto chiaro ciò che crede. Questo fatto però, oltre ad essere un pericolo, è anche un grave errore, perché così la fede cattolica diventa un parere, poco definita, arbitraria e a disposizione della preferenza personale. Si disperde in opinioni, idee e immaginazioni; ma così, alla lunga, diventa anche poco credibile. Il VOM sa in che cosa crede e lo sa trasmettere – il NOM invece sembra molto insicuro, indeciso e trasmette che non fosse importante che cosa uno creda o meno, finché sta in comunità.
Tutti questi elementi che abbiamo accennati, (e ci sarebbero tanti altri ancora) fanno capire una cosa: il VOM ci aiuta a crescere nella fede e ci possiamo fidare di lui, mentre per il NOM bisogna avere la retta fede già da prima perché ne trasmette un’altra. E a volte non sappiamo nemmeno quale, perché varia da prete in prete. Bisogna allora sapere già prima dove stanno gli errori per non farsi ingannare, inoltre bisogna sapere anche di che cosa tace. È assurdo e sembra quasi un’eresia, ma in un certo senso bisogna difendersi dagli errori e dalle ambiguità in cui il NOM ci trascina. Il NOM è dal punto di vista sacramentale valido, ma ciò che trasmette è nel migliore dei casi ambiguo e incompleto, nel peggiore dei casi semplicemente errato. Ma questo non si sa prima, perché dipende troppo dalla celebrazione concreta e imprevedibile.
Bisogneremmo parlare di tante altre singole cose ancora, sull’offertorio, le croci ommesse, le preghiere cancellate, per esempio quelle della benedizione dell’incenso, tante simbologie importanti abolite, sul vangelo e le letture e gli errori presenti già prima del Concilio, ma sarebbero argomenti per futuri approfondimenti e aggiunte. Comunque rimane un mistero che ancora nessuno ha potuto spiegare in maniera convincente perché sarebbe meglio non recitare per esempio le preghiere dell’incensazione o non tenere uniti le dita dopo la consacrazione, e tante altre omissioni liturgiche ancora.
Per ora queste denotazioni, che sono da intendersi come un primo approccio, possono bastare ad aiutare a comprendere meglio i motivi perché nonostante tanti ostacoli ed oppressioni da parte del clero sempre più fedeli cercano irrefrenabilmente la Liturgia nella sua forma tradizionale, come la Chiesa la celebrò a buon motivo per tanti secoli, e a cui proprio non possono rinunciare: sono motivi di convinzioni di fede, che si esprimono necessariamente in una liturgia coerente ad essa, e non sono meramente motivi estetici o preferenze di natura culturale che spingono sempre più forte alla tradizione cattolica. È una vera e propria esigenza spirituale, una questione di sopravvivenza, ora più che mai. Cercare di ridurre o di togliere ai fedeli la Liturgia tradizionale non significa altro che attaccare la loro fede. Lo percepiscono come un tentativo di uccidere la loro anima, di spezzare quel intimo legame con Dio.
Se ci lamentiamo che la fede viene sempre meno, la partecipazione alla vita ecclesiastica sta precipitando e la Chiesa come tale perde sempre più importanza nella vita privata siccome in quella pubblica, allora dobbiamo analizzare i motivi con grande attenzione e sincerità, lasciando da parte ogni forma di ideologia, qualunque sia. In una situazione di crisi di fede come quella attuale bisogna avere il sangue freddo, la fede calda e la testa a posto. Con altre parole: dobbiamo tornare logici. Solo la verità ci potrà liberare e cambiare la situazione ormai più che allarmante. Abbiamo perso la nostra identità cattolica, che va ricuperata.
In questa dovuta sincerità dobbiamo innanzitutto ammettere: una buona parte di questa perdita di fede senza precedenti è dovuta alla nuova Liturgia, in quanto espressione di una deformazione della fede tradizionale della Santa Chiesa Cattolica. Se ci piace o no, ma finché non cambiamo rotta, ammettendo onestamente che la riforma liturgica è clamorosamente fallita in seguito all’altrettanto evidente fallimento dell’ultimo Concilio, non potremo frenare la deriva della Chiesa verso la totale insignificanza. O risolviamo il problema prima, cambiando rotta e tornando alla tradizionale fede, inclusa la sua espressione liturgica di una volta, oppure continuiamo a rifiutarci di accettare i fatti, aspettando che il problema continui a risolvere sé stesso come lo possiamo osservare già ora con i nostri stessi occhi: la fede e la liturgia che sono state cambiate si stanno estinguendo a passo accelerato da sole, perché non convincono più nessuno. È troppo evidente che non è più la fede divina di una volta, ma un sistema inventato da uomini, abbozzato su freddi tavoli e pieno di ideologie.
Una parte dei fedeli perde la fede completamente perché giustamente, una volta capito che non è più basata nella rivelazione divina, non convince più, e di conseguenza lasciano la Chiesa. L’altra parte invece trova l’autentica fede cattolica, quella tradizionale ed in essa la verità nella sua pienezza. Quindi è chiaro e prevedibile già adesso che l’unico futuro della Chiesa sta nella fede e liturgia tradizionale, è una questione di logica, empirica e una certezza matematica oltre spirituale. Prima lo accettiamo meglio è, e meno dolorosi saranno i danni, gravissimi già adesso. Se piace o no: gli unici fedeli che la Chiesa cattolica avrà in un futuro non troppo lontano, gli unici che rimeranno, saranno proprio gli odiatissimi “indietristi” nostalgici con una “fede morta”, i “peccatori senza radici” tanto disprezzati che sono stati apertamente destinati all’estinzione in documenti pontifici ufficialissimi.
Se questi unici fedeli che la Chiesa avrà a media andata vengono però in continuazione e da sempre più vescovi, cardinali e purtroppo anche dalla Sede Apostolica stessa “Urbe et Orbe” privatamente e pubblicamente in interviste, conferenze e decreti ufficiali senza alcuna misericordia né pietà ridicolizzati, derisi, presi in giro, repressi, ostacolati, perseguitati, emarginati dalla vita ecclesiastica ed esclusi dalle chiese come dei lebbrosi, allora può soltanto essere una diretta conseguenza di quella perplessità coraggiosamente e veritieramente espressa in varie occasioni, di cui abbiamo parlato all’inizio: la non comprensione del perché della necessità della fede, e con essa la liturgia, tradizionali.
Sono decenni che non facciamo altro che vivere di compromessi, cambiando e “riformando” una cosa dopo l’altra, e vediamo dove siamo finiti: davanti ad un sinodo che rischia seriamente uno scisma perché di cattolico non ha più niente, una fede svuotata e sfigurata fino all’irriconoscibilità, abusi liturgici che fino a pochi anni fa sarebbero stati impensabili anche per il più sfegatato dei modernisti. Le riforme fatte dopo l’ultimo concilio, liturgiche e non, siccome quelle già pianificate che ancora devono verificarsi, non sono la soluzione del problema, ma esse sono il problema stesso. Non sono la medicina, ma il cancro che sta divorando e consumando la Chiesa da ormai decenni. Non possiamo più far finta di niente come se niente fosse, chiudendo gli occhi davanti all’ovvio, solo per rispettare la sempre più opprimente “ecclesiastical correctness”. Sono fatti inconfutabili davanti a cui, a causa della responsabilità per le anime a noi affidate, non possiamo più chiudere gli occhi, solo per non perdere il posto al bel calduccio di una grande canonica con una paga mensile assicurata. La consapevolezza che un giorno dovremo rendere conto davanti al nostro Redentore soprattutto e in primo luogo della fede che abbiamo trasmessa quando abbiamo scritto, parlato o predicato, delle cose di cui abbiamo taciuto, le anime che hanno perso la fede per colpa nostra, e la mancanza di devozione e raccoglimento quando abbiamo detto Messa dovrebbe gravare molto di più su di noi, che non i nostri peccati più o meno gravi personali. Questi ultimi, per quanto sono da evitare e combattere come ogni buon cristiano, almeno non mettono a rischio le anime. Ciò di cui tacciamo, ciò che lasciamo correre per non crearci critiche, scomodità o problemi, le verità che pieghiamo “perché così ce lo dicono”, tutte quelle cose invece sì che mettono a rischio anche quelle anime alla cui difesa siamo obbligati!
Considerando ciò capiamo anche il grave dovere di ogni sacerdote davanti al cospetto di Dio di aiutare il più possibile a questi fedeli emarginati, derisi e snobbati con arroganza clericale, solo perché vogliono continuare a fare e credere ciò che la Chiesa ha sempre fatto, detto e celebrato. È il sacrosanto dovere di ogni prete mettersi dalla loro parte, anche a costo di essere sanzionato canonicamente, come purtroppo è già successo a non pochi sacerdoti negli ultimi mesi: solo perché hanno difeso il sacrosanto e intangibile diritto di quei “piccoli” nelle periferie ecclesiastiche che sono stati presi di mira e gravemente attaccati nella loro fede cattolica. Ma non possiamo farci intimidire: dovremo andare avanti nella celebrazione della Liturgia tradizionale il più possibile, ignorando i divieti non giusti, perché dovremo rendere conto a Dio finalmente anche – anzi: soprattutto di questo.
Alla fine è importante aiutare i fedeli perseguitati dalla gerarchia ecclesiastica di non diventare acidi o amareggiati, e di non mettersi a priori in una contrapposizione ad essa. Questo è un serio rischio, purtroppo, seppur comprensibile se uno viene in continuazione minacciato e attaccato o ridicolizzato e deriso, come purtroppo sta accadendo. Invece dobbiamo, da pastori, esortarli di esporre, sempre di nuovo se necessario, le loro validissime motivazioni per cui chiedono, con buon diritto e a piena ragione, i sacramenti nella forma tradizionale. E dobbiamo ricordarli sempre che è un atto di carità cristiana rispondere a chi coraggiosamente e umilmente ha chiesto lumi, come ultimamente è successo varie volte. Questi sono segni positivi che vanno accolti, apprezzati e secondati. Infine sono sempre un’ottima occasione per soddisfare varie opere di misericordia spirituale: consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste e pregare Dio per i vivi e i morti.
È importante cambiare anche stile: almeno per adesso la motivazione per le micidiali restrizioni, che mirano esplicitamente all’estinzione della liturgia tradizionale e quindi dei “indietristi” stessi, è rimasta piuttosto diffusa, poco chiara e mal argomentata. Non è chiaro quali siano esattamente le ragioni teologici che hanno spinto i vescovi e la Santa Sede a una posizione così dura e drastica. Non sono stati esposti grandi argomentazioni, tutto è rimasto su un livello meramente giuridico, piuttosto confuso, molto banale e poco argomentato.
Per avere una base più solida su cui discutere, e per capire da dove proviene esattamente l’avversione contro la Liturgia tradizionale, sarebbe auspicabile se alcuni punti fossero chiariti a livello teologico e non emotivo. In tal modo sarebbe possibile dare risposte più mirate alle specifiche domande. Risulta che soprattutto le seguenti domande non siano mai state esposte in maniera esaustiva ed esplicita.
Per quali motivi teologici esattamente la Liturgia riformata sarebbe preferibile o meglio del rito tradizionale?
Quali sarebbero esattamente e nello specifico i difetti del VOM?
Da parte della Santa Sede la dottrina cattolica è cambiata con la riforma liturgica?
Se sì: in che cosa esattamente? Che cosa non vale più, e cosa vale invece adesso?
Se no: come mai il VOM non sarebbe più espressione (valida e permessa) della stessa fede cattolica? Che cosa è allora cambiata perché oggi non sarebbe più possibile ciò che prima lo era per secoli?
Queste sono le domande più basilari e decisive per capire meglio la portata della riforma liturgica. Finora manca purtroppo una motivazione più articolata, su un livello teologico e non soltanto accenni pastorali, pareri o emozioni da parte di alcuni vescovi e cardinali, che possa spiegare perché la Santa Sede pensa che la Liturgia tradizionale debba sparire dalla faccia della terra. Capendo meglio i loro pensieri sarebbe sicuramente possibile farci capire meglio ancora. Intanto ricordiamoci le sagge parole di un grande Santo della Chiesa Romana: “i veri amici del popolo non sono né rivoluzionari né innovatori, ma tradizionalisti” (Pius P.P. X.).
Quali sarebbero esattamente e nello specifico i difetti del VOM?
Da parte della Santa Sede la dottrina cattolica è cambiata con la riforma liturgica?
Se sì: in che cosa esattamente? Che cosa non vale più, e cosa vale invece adesso?
Se no: come mai il VOM non sarebbe più espressione (valida e permessa) della stessa fede cattolica? Che cosa è allora cambiata perché oggi non sarebbe più possibile ciò che prima lo era per secoli?
Queste sono le domande più basilari e decisive per capire meglio la portata della riforma liturgica. Finora manca purtroppo una motivazione più articolata, su un livello teologico e non soltanto accenni pastorali, pareri o emozioni da parte di alcuni vescovi e cardinali, che possa spiegare perché la Santa Sede pensa che la Liturgia tradizionale debba sparire dalla faccia della terra. Capendo meglio i loro pensieri sarebbe sicuramente possibile farci capire meglio ancora. Intanto ricordiamoci le sagge parole di un grande Santo della Chiesa Romana: “i veri amici del popolo non sono né rivoluzionari né innovatori, ma tradizionalisti” (Pius P.P. X.).
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