Dalla lettura del volume Etica teologica della vita, confermati i rumors: i teologi scelti dalla Pontificia Accademia per la Vita giustificano il ricorso alla contraccezione in nome del discernimento e parificando il ricorso ai metodi naturali e qualsiasi altra tecnica contraccettiva. È la negazione di Humanae Vitae e del magistero di Giovanni Paolo II nonché la fine della teologia morale cattolica con l'impossibilità di stabilire degli assoluti morali.
Luisella Scrosati, 11-07-2022
Dunque non solo rumors. L’apertura alla contraccezione e alla fecondazione artificiale omologa, di cui avevamo dato notizia qualche giorno fa (vedi qui) è una realtà, scritta nero su bianco, nel testo base che fungeva da traccia per il seminario di studi tenutosi a Roma dal 30 ottobre al 1° novembre dello scorso anno, promosso dalla Pontificia Accademia per la Vita. Il testo è ora stato pubblicato, insieme agli interventi dei diversi relatori, nel volume Etica teologica della vita. Scrittura, tradizione, sfide pratiche, edito dalla Libreria Editrice Vaticana.
Il testo base è frutto del lavoro di un'équipe di teologi, tra i quali spiccano mons. Pierangelo Sequeri, che fu preside del Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II dall’agosto 2016 all’agosto 2021 e don Maurizio Chiodi, Ordinario di Bioetica allo stesso istituto. Decisamente influente la scuola gesuita, con padre Carlo Casalone, sj, docente invitato di Teologia Morale alla Gregoriana; Roberto Dell’Oro, Direttore del Bioethics Institute e docente alla Loyola Marymount University di Los Angeles; don Alain Thomasset, Decano della Facoltà di Teologia e Professore di Teologia Morale al Centre Sèvres - Facultés jésuites de Paris.
Che la PAV abbia scelto don Maurizio Chiodi non solo come relatore, ma anche come estensore del testo base, già faceva capire da quale parte si sarebbe inclinata la barca. Oltre alle sue note aperture al mondo LGBT, Chiodi nel 2018 (vedi qui) aveva già ampiamente mostrato dove avrebbe portato il ripensamento del «senso della norma morale di Humane vitae», sulla base dell’arcinoto capitolo VIII di Amoris Laetitia: «Ci sono circostanze […] - spiegava - , che proprio per responsabilità richiedono la “contraccezione”».
Tra gli “eletti” per la scrittura del testo base troviamo anche don Pier Davide Guenzi, Ordinario di Teologia Morale del matrimonio e della famiglia al Giovanni Paolo II, anch’egli campione del rovesciamento della teologia morale in nome dell’intenzione del soggetto. Interrogato, manco a dirlo, da Luciano Moia per Avvenire, nel 2019, circa la liceità degli atti omosessuali (vedi qui), rispondeva: «La posizione argomentata dalla tradizione è di evidenziare la possibilità di azioni che, in se stesse, rappresentano una deviazione rispetto alla regola morale degli atti sessuali. Va tuttavia distinto il piano descrittivo delle azioni rispetto a quello interpretativo, per il quale fondamentale è il rapporto tra l’intenzione del soggetto e il senso delle proprie azioni». Ciò che è vietato sul piano descrittivo, viene riammesso in quello interpretativo.
Dunque questo stuolo di cotanti teologi ha partorito un testo che contiene, tra gli altri, due paragrafi che segnano la fine della teologia morale cattolica. Al n. 172 (p. 304 del volume), relativamente alla contraccezione, così si legge: «La responsabilità nella generazione richiede un discernimento pratico che non può coincidere con l’applicazione automatica e l’osservanza materiale di una norma, come è evidente nella pratica stessa dei metodi naturali». Il testo rimanda, non a caso, all’unico aggancio “magisteriale” possibile, ossia il problematico § 304 di AL, che in nome della reale impossibilità della norma generale di prevedere tutti i casi possibili, aveva finito per sganciare il discernimento dalla norma e svuotare del loro valore assoluto i precetti morali negativi, creando così una nuova morale “del caso concreto”.
Così prosegue il testo base: «Ci sono infatti condizioni e circostanze pratiche che renderebbero irresponsabile la scelta di generare, come lo stesso magistero ecclesiastico riconosce, appunto ammettendo i “metodi naturali”. Perciò, come accade in questi metodi, che già si servono di tecniche specifiche e di conoscenze scientifiche, ci sono situazioni in cui due sposi, che hanno deciso o decideranno di accogliere figli, possono operare un saggio discernimento nel caso concreto, che senza contraddire la loro apertura alla vita, in quel momento, non la prevede. La scelta saggia verrà attuata valutando opportunamente tutte le tecniche possibili in riferimento alla loro specifica situazione ed escludendo ovviamente quelle abortive».
La contraccezione viene candidamente equiparata al ricorso ai periodi infertili della donna, in nome di una comune intenzione non contraccettiva da parte della coppia. Il testo base opera così un singolare, ma non nuovo chiasmo: come non si può ricorrere ai metodi naturali per evitare in ogni modo la procreazione (intenzione contraccettiva), così si può ricorrere alla contraccezione non abortiva, purché non si voglia evitare in assoluto la procreazione. Rimangono solo l’intenzione del soggetto e la valutazione delle circostanze, mentre viene meno radicalmente l’intenzionalità propria dell’atto.
L’atto coniugale ha infatti un’intrinseca capacità procreativa, sebbene non ogni atto, secondo il disegno di Dio sulla creazione, sia fertile; il significato unitivo e procreativo sono inscindibilmente collegati. Ora, la continenza periodica realizza pienamente questa verità, ricorrendo, mediante un dominio di sé, a quei periodi che non la propria decisione, ma Dio ha posto come infertili; nella contraccezione, invece, «i coniugi […] scindono questi due significati che Dio Creatore ha inscritti nell'essere dell'uomo e della donna e nel dinamismo della loro comunione sessuale, si comportano come «arbitri» del disegno divino e «manipolano» e avviliscono la sessualità umana, e con essa la persona propria e del coniuge, alterandone il valore di donazione “totale”» (Familiaris Consortio, § 32).
Per questo la stessa Esortazione Apostolica ricordava che tra metodi naturali e contraccezione, la differenza è «assai più vasta e profonda di quanto abitualmente non si pensi e che coinvolge in ultima analisi due concezioni della persona e della sessualità umana tra loro irriducibili». Si vede che Paglia e i suoi teologi devono averla dimenticata, dal momento che ne fanno solo un problema di intenzioni soggettive e ricorso a tecniche, che rendono nulla la differenza tra gli uni e l’altra.
L’insegnamento di Giovanni Paolo II approfondiva quanto Paolo VI aveva chiaramente insegnato in Humanae Vitae, 16: «La Chiesa è coerente con se stessa quando ritiene lecito il ricorso ai periodi infecondi mentre condanna come sempre illecito l’uso dei mezzi direttamente contrari alla fecondazione, anche se ispirati da ragioni che possano apparire oneste e serie» (HV 16), sottolineando altresì che «tra i due casi esiste una differenza essenziale».
La posizione del testo base non è dunque uno sviluppo, ma una palese contraddizione con l’insegnamento della Chiesa. Il «sempre illecito» di HV viene polverizzato in nome di quelle ragioni «oneste e serie» che Paolo VI escludeva essere capaci di mutare la specie morale della contraccezione e dunque la liceità morale di ricorrervi.
Il testo base è frutto del lavoro di un'équipe di teologi, tra i quali spiccano mons. Pierangelo Sequeri, che fu preside del Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II dall’agosto 2016 all’agosto 2021 e don Maurizio Chiodi, Ordinario di Bioetica allo stesso istituto. Decisamente influente la scuola gesuita, con padre Carlo Casalone, sj, docente invitato di Teologia Morale alla Gregoriana; Roberto Dell’Oro, Direttore del Bioethics Institute e docente alla Loyola Marymount University di Los Angeles; don Alain Thomasset, Decano della Facoltà di Teologia e Professore di Teologia Morale al Centre Sèvres - Facultés jésuites de Paris.
Che la PAV abbia scelto don Maurizio Chiodi non solo come relatore, ma anche come estensore del testo base, già faceva capire da quale parte si sarebbe inclinata la barca. Oltre alle sue note aperture al mondo LGBT, Chiodi nel 2018 (vedi qui) aveva già ampiamente mostrato dove avrebbe portato il ripensamento del «senso della norma morale di Humane vitae», sulla base dell’arcinoto capitolo VIII di Amoris Laetitia: «Ci sono circostanze […] - spiegava - , che proprio per responsabilità richiedono la “contraccezione”».
Tra gli “eletti” per la scrittura del testo base troviamo anche don Pier Davide Guenzi, Ordinario di Teologia Morale del matrimonio e della famiglia al Giovanni Paolo II, anch’egli campione del rovesciamento della teologia morale in nome dell’intenzione del soggetto. Interrogato, manco a dirlo, da Luciano Moia per Avvenire, nel 2019, circa la liceità degli atti omosessuali (vedi qui), rispondeva: «La posizione argomentata dalla tradizione è di evidenziare la possibilità di azioni che, in se stesse, rappresentano una deviazione rispetto alla regola morale degli atti sessuali. Va tuttavia distinto il piano descrittivo delle azioni rispetto a quello interpretativo, per il quale fondamentale è il rapporto tra l’intenzione del soggetto e il senso delle proprie azioni». Ciò che è vietato sul piano descrittivo, viene riammesso in quello interpretativo.
Dunque questo stuolo di cotanti teologi ha partorito un testo che contiene, tra gli altri, due paragrafi che segnano la fine della teologia morale cattolica. Al n. 172 (p. 304 del volume), relativamente alla contraccezione, così si legge: «La responsabilità nella generazione richiede un discernimento pratico che non può coincidere con l’applicazione automatica e l’osservanza materiale di una norma, come è evidente nella pratica stessa dei metodi naturali». Il testo rimanda, non a caso, all’unico aggancio “magisteriale” possibile, ossia il problematico § 304 di AL, che in nome della reale impossibilità della norma generale di prevedere tutti i casi possibili, aveva finito per sganciare il discernimento dalla norma e svuotare del loro valore assoluto i precetti morali negativi, creando così una nuova morale “del caso concreto”.
Così prosegue il testo base: «Ci sono infatti condizioni e circostanze pratiche che renderebbero irresponsabile la scelta di generare, come lo stesso magistero ecclesiastico riconosce, appunto ammettendo i “metodi naturali”. Perciò, come accade in questi metodi, che già si servono di tecniche specifiche e di conoscenze scientifiche, ci sono situazioni in cui due sposi, che hanno deciso o decideranno di accogliere figli, possono operare un saggio discernimento nel caso concreto, che senza contraddire la loro apertura alla vita, in quel momento, non la prevede. La scelta saggia verrà attuata valutando opportunamente tutte le tecniche possibili in riferimento alla loro specifica situazione ed escludendo ovviamente quelle abortive».
La contraccezione viene candidamente equiparata al ricorso ai periodi infertili della donna, in nome di una comune intenzione non contraccettiva da parte della coppia. Il testo base opera così un singolare, ma non nuovo chiasmo: come non si può ricorrere ai metodi naturali per evitare in ogni modo la procreazione (intenzione contraccettiva), così si può ricorrere alla contraccezione non abortiva, purché non si voglia evitare in assoluto la procreazione. Rimangono solo l’intenzione del soggetto e la valutazione delle circostanze, mentre viene meno radicalmente l’intenzionalità propria dell’atto.
L’atto coniugale ha infatti un’intrinseca capacità procreativa, sebbene non ogni atto, secondo il disegno di Dio sulla creazione, sia fertile; il significato unitivo e procreativo sono inscindibilmente collegati. Ora, la continenza periodica realizza pienamente questa verità, ricorrendo, mediante un dominio di sé, a quei periodi che non la propria decisione, ma Dio ha posto come infertili; nella contraccezione, invece, «i coniugi […] scindono questi due significati che Dio Creatore ha inscritti nell'essere dell'uomo e della donna e nel dinamismo della loro comunione sessuale, si comportano come «arbitri» del disegno divino e «manipolano» e avviliscono la sessualità umana, e con essa la persona propria e del coniuge, alterandone il valore di donazione “totale”» (Familiaris Consortio, § 32).
Per questo la stessa Esortazione Apostolica ricordava che tra metodi naturali e contraccezione, la differenza è «assai più vasta e profonda di quanto abitualmente non si pensi e che coinvolge in ultima analisi due concezioni della persona e della sessualità umana tra loro irriducibili». Si vede che Paglia e i suoi teologi devono averla dimenticata, dal momento che ne fanno solo un problema di intenzioni soggettive e ricorso a tecniche, che rendono nulla la differenza tra gli uni e l’altra.
L’insegnamento di Giovanni Paolo II approfondiva quanto Paolo VI aveva chiaramente insegnato in Humanae Vitae, 16: «La Chiesa è coerente con se stessa quando ritiene lecito il ricorso ai periodi infecondi mentre condanna come sempre illecito l’uso dei mezzi direttamente contrari alla fecondazione, anche se ispirati da ragioni che possano apparire oneste e serie» (HV 16), sottolineando altresì che «tra i due casi esiste una differenza essenziale».
La posizione del testo base non è dunque uno sviluppo, ma una palese contraddizione con l’insegnamento della Chiesa. Il «sempre illecito» di HV viene polverizzato in nome di quelle ragioni «oneste e serie» che Paolo VI escludeva essere capaci di mutare la specie morale della contraccezione e dunque la liceità morale di ricorrervi.
Nessun commento:
Posta un commento