domenica 17 luglio 2022

Eugenio e Francesco: qual era il Papa?





Eugenio Scalfari era il pontefice del mainstream cui tutti hanno finito per allinearsi, compreso il mondo cattolico: prima, nonostante Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, poi con la collaborazione di Francesco. Il Papa pensava di dialogare con un laico, senza accorgersi che era quest’ultimo a mettergli in bocca la sua dottrina.



di Stefano Fontana (16-07-2022)

Eugenio Scalfari, morto due giorni fa, non è stato solo un giornalista. È stato molto di più. È stato un Papa. Il suo giornale – la Repubblica – è diventato un nuovo vangelo da lui ispirato, guidato, e della cui dottrina era l’interprete ufficiale e il garante. Repubblica è stata la summa del radicalismo borghese irreligioso della postmodernità italiana. Sin da subito si è imposto come quotidiano militante, religioso nel suo laicismo dogmatico, più avanti del Manifesto o de L’Unità, perché completamente post-ideologico. Scalfari e Repubblica hanno confermato e sviluppato le istanze del modernismo nichilista della modernità italiana, hanno seminato l’età dei “nuovi diritti”, hanno esercitato un potere ideologico di interdizione, di scomunica, di estradizione nei confronti degli intellettuali non allineati all’autoritarismo del nuovo.


Scalfari era il Papa della chiesa dell’anti-Chiesa, rigida nei suoi assunti, per niente tollerante con i dissenzienti, inquisitoria, attiva nel proscrivere quanti non si allineavano. Repubblica era il nuovo vangelo letto dai preti e dalle suore postconciliari, cui erano abbonati i seminari di tutta Italia, poi copiato da Avvenire che, alla fine, divenne anch’esso un piccolo Repubblica. Oggi, tutti i giornali italiani, tolto qualche reprobo opportunamente vituperato dal sistema di potere mediatico, sono Repubblica.

Repubblica aveva conquistato alla propria ideologia anche il Corriere, ma Il Giornale che da quella consapevolezza nacque, alla fine tornò ad essere anch’esso una specie di Repubblica.

Pannella, Bonino, i radicali, i verdi, la sinistra cattolica, il Partito Democratico trasformatosi dal vecchio PCI, Renzi, i Cinque Stelle, tutti coloro che ora vogliono occupare il “centro”, il presidente Mattarella… null’altro esprimono se non l’ideologia di Repubblica e di Scalari: laicismo, soggettivismo radicale, nuovi diritti, cultura borghese allo stato puro, proceduralismo istituzionale.

Scalfari ha dettato l’orizzonte di comprensione dell’Italia di oggi, l’Italia del divorzio e dell’aborto, della legge Cirinnà e del ddl Zan, l’Italia anti-famiglia e anti-vita, l’Italia prona ai poteri forti internazionali, l’Italia che vuole + Europa e – Italia, l’Italia che reclama le “transizioni” presentandole come la salvezza. Scalfari era un Papa, era capo di una religione e annunciava la salvezza. Il mondo cattolico ne è stato catturato. Repubblica entrò nelle parrocchie. Ricordo quando Giovanni Reale chiamò Scalfari a parlare alla Cattolica di Milano per dire che noi uomini siamo come delle formichine sperdute nell’universo, senza senso, senza capo, senza un fine. Il cattolico che non leggesse Repubblica era considerato fuori tempo e fuori dal proprio tempo. Nessun quotidiano pensò mai, come Repubblica, di essere una nuova Bibbia. Nessun giornalista pensò mai, come Scalfari, di essere un nuovo evangelista.


Con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI Repubblica e Scalfari fecero man bassa tra i cattolici, ma era chiaro che ciò avveniva nonostante quei Pontefici. Comunione e Liberazione non leggeva Repubblica, la Comunità di Sant’Egidio, l’Azione cattolica e gli Scout leggevano Repubblica.

Con Francesco è come se tutti i cattolici leggano ora solo Repubblica. Tutti sono ormai allineati al nuovo credo. Oggi sono i cattolici a chiedere divorzio e aborto, sono i vescovi cattolici a volere la legge Cirinnà e il suicidio assistito. Nel Nuovo Testamento di Repubblica si incontrano le fedi di Cappato e di Avvenire.

Appena eletto Papa, Francesco cominciò ad incontrare Eugenio Scalfari. Francesco doveva essere il Papa, e Scalfari il laico. Invece Francesco era il laico e Scalfari il Papa. La religione di Scalfari era definita, a tutto tondo, con dogmi ben precisi, intollerante e capace di inquisizione, voleva convertire e fare proseliti anche Oltretevere, voleva far valere la propria superiorità argomentativa, provocare, dissacrare. Nei colloqui con Francesco, Scalfari interpretava lo stesso Francesco, che non rettificava, gli metteva in bocca le proprie parole, che l’altro pronunciava, gli faceva contraddire le verità di fede cattolica, e l’altro ubbidiva. Scalfari era il Papa che insegnava, esplicando il proprio magistero di Papa, senza paura e privo di un minimo senso ecumenico. Per lui – ateo, nichilista e disperato – la verità era una sola. Francesco giocava di rimando, non precisava quando l’altro, il Papa, gli faceva dire cose non da Papa, era interessato al dialogo anche se era a senso unico, si compiaceva di scandalizzare con le parole suggeritagli da Eugenio. Voleva essere laico, pensava di avere davanti a sé un laico, ma aveva un Papa, il Papa della nuova religione della irreligione.

La storia di Francesco e di Eugenio Scalfari è la storia di una Chiesa che fa di tutto per essere laica e non più una religione e che non si accorge che il laicismo è la nuova religione e che non è per niente laico. Mentre il Papa gioca a non fare più il Papa, altri Papi ne occupano il ruolo. Mentre la Chiesa cattolica tollera e dialoga, le nuove chiese del laicismo postmoderno pontificano.

(Fonte: La Nuova BQ)

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L’intento di Scalfari: scalfarizzare il Papa


Le interviste del fondatore di Repubblica puntavano ad arruolare il Papa alla corte dell’opinionismo radical-chic. Così la figura del Vicario di Cristo diventava strumentale al “magistero scalfariano” fatto di dubbi e vaniloqui, ora dissolti di fronte alla Verità eterna.



di Tommaso Scandroglio (16-07-2022)

Il credente, quello autentico, quando ha notizia che un ateo, un laico incallito, un mangiapreti, un anticlericale muore, raccomanda la sua anima a Dio e poi, subito dopo, se lo figura davanti a Nostro Signore giudice. E se lo immagina come descritto dal Vangelo: muto. Tutti i suoi vaniloqui, le sue argomentazioni fatte di sabbia, i suoi sofismi, le sue astruserie da intellettualoide, sbriciolati in un sol colpo, vaporizzati come quando l’acqua tocca la lava, annientati, annichiliti di fronte all’abbacinante luminosità della Verità, ormai visibile senza filtri, senza quel muro del mondo sensibile che ci impedisce di vedere Dio faccia a faccia.

Ed Eugenio Scalfari, di recente scomparso, prima del faccia a faccia che altrettanto di recente ha avuto con Cristo, ne ha avuti molteplici con il Suo Vicario in terra, Papa Francesco.


Una buona fetta di lettori si ricorda di certo il papocchio vaticano che nacque dalle interviste di Scalfari con il Papa: Gesù non era Dio e Quest’ultimo di certo non è cattolico, ognuno si dia la morale che vuole, è tempo di svecchiare il celibato ecclesiastico, l’Inferno è vuoto perché pieno della misericordia di Dio che salva tutti, le priorità della Chiesa sono la disoccupazione giovanile e la solitudine degli anziani, eccetera. Le disse mai il Papa simili eresie? No, non erano virgolettate queste frasi. Sì, lo erano. Sì, lo erano ma le virgolette non furono mai chiuse. Erano solo sinossi scalfariane. La Sala Stampa smentisce, poi precisa e infine alcune interviste vengono pubblicate dalla Libreria Editrice Vaticana. Insomma uno, nessuno e centomila e, pure, così è se vi pare.

L’intento del padre di Repubblica era palese: portare il Santo Padre dalla propria parte (glielo disse anche lo stesso Francesco), scalfarizzare il pontefice e la dottrina cattolica, convertire Papa, Chiesa e fedeli al credo di Repubblica, ossia un ateismo radical chic, un nichilismo politicamente ed esteticamente corretti, un liberalismo individualista e disperato, un’esaltazione per una modernità convintamente narcisista seppur ormai esausta di questo party chiamato secolarizzazione che si sta trascinando ormai da troppo tempo.

Ecco allora domande dal sapore relativistico, come quella sul bene e sul male, altre di matrice soggettivistica in cui la coscienza vanterebbe un’autonomia di giudizio assoluta e poi osservazioni tese a politicizzare la Chiesa e il suo mandato, a rendere filantropica la carità e un mero eroe Gesù. Insomma la classica operazione di livellare verso il basso il trascendente, di mutarlo in un immanente dominato dalla Storia.

Scalfari non può che apparire allora come una star anche per molti cattolici che elevano il dubbio a dogma e degradano il dogma a dubbio (a tal proposito, dall’articolo di Alberto Melloni del 14 luglio su Repubblica si alzano fumi d’incenso), come un sacerdote che sull’altare del laicismo offre come sacrificio la Verità al caos. Infatti Scalfari ebbe a dire in un’intervista con Papa Francesco che lui credeva in una «energia caotica ma indistruttibile e in eterna caoticità. [L’uomo] contiene anche dentro di sé una risonanza, un’eco, una vocazione di caos». L’eterno mito dionisiaco-mefistofelico, teso al disordine, che si oppone all’armonia apollinea. Un altro modo per esprimere il dinamismo dialettico hegeliano tra tesi e antitesi. Un altro modo per sillabare la parola “progressismo”.

Le interviste rilasciate da Francesco al fondatore di Repubblica assomigliano ad un incontro tra un Papa e un anti-Papa, perché quest’ultimo, forte anche di una fisionomia michelangiolesca da Dio Padre, si presentava davvero come pontefice di una chiesa altrettanto cattolica, ossia universale, perché esprimeva compiutamente, quasi incarnava, lo spirito del nostro tempo che ad ogni latitudine chiede il riconoscimento morale, giuridico e culturale di qualsiasi desiderio, di qualsiasi voglia, che non sopporta nessuna gerarchia, nessuna autorità se non quella del flusso caotico della Storia, da scriversi sempre con la “esse” maiuscola, che antepone l’Io a tutto, Dio compreso (Scalfari nella prima intervista pare quasi congratularsi con Descartes – quello del cogito ergo sum – per avergli fatto perdere la fede).

In un’intervista con il Papa, Scalfari dichiarò di non credere nell’anima. Preghiamo allora, proprio per questo motivo, per l’anima di Scalfari perché, come gli rispose il Papa, anche se lui non credeva di possederla, l’aveva comunque.

(Fonte: La Nuova BQ)









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