Dopo la contraccezione, nel testo base Etica teologica della vita, la Pontificia Accademia per la vita avvia il processo anche per lo sdoganamento della fecondazione artificiale omologa. L'unico problema moralmente rilevante è quello degli embrioni sovranumerari, ma il testo base “semplifica” il tutto, stabilendo a priori che, laddove c’è un problema di sterilità, qualsiasi forma di PMA risulta lecita in quanto rapporto sessuale e generazione sono già stati separati dalla condizione di infertilità. Cosa già condannata dal Magistero che Paglia non vuole vedere o fa finta di non vedere.
Luisella Scrosati, 12-07-2022
Come anticipato martedì scorso (vedi qui), oltre alla contraccezione (vedi qui), la Pontificia Accademia per la Vita ha “avviato il processo” anche per lo sdoganamento della fecondazione artificiale omologa.
Così il § 173 (p. 305 del volume) del testo base Etica teologica della vita edito dalla Libreria Editrice Vaticana: «Nella procreazione assistita omologa nelle sue varie forme, ovviamente evitando di ottenere “embrioni sovrannumerari”, la generazione non viene artificiosamente separata dal rapporto sessuale, perché questo è “di per sé” infecondo. Al contrario, la tecnica agisce come una forma di terapia che permette di rimediare alla sterilità, non sostituendosi al rapporto, ma permettendo la generazione».
Dunque, via libera ad ogni forma di PMA omologa. L’unico problema moralmente rilevante sembra essere quello degli embrioni sovrannumerari, mentre invece sparisce l’idea che alcune forme della PMA presentano problemi morali a diversi livelli: la modalità di prelievo del seme, la prossimità con l’atto coniugale, il tipo di tecnica utilizzata per la fecondazione. Il testo base “semplifica” il tutto, stabilendo a priori che, laddove c’è un problema di sterilità, qualsiasi forma di PMA risulta lecita in quanto rapporto sessuale e generazione sono già stati separati dalla condizione di infertilità; per questa precisa stralunata ragione, non ci sarebbe più bisogno di verificare che l’intervento tecnico preservi l’inscindibilità del significato unitivo e di quello procreativo.
E’ ormai evidente che la PAV “Nuovo Corso”, organizzando questo seminario e nascondendosi dietro l’importanza dell’ascolto e del confronto, vuole in realtà sovvertire quanto il Magistero della Chiesa ha già stabilito. Nel testo dell’Istruzione Donum Vitae risultava infatti già ben chiaro il caso di sposi che, legittimamente, desiderano dei figli, ma non possono averli; come era altrettanto chiaro che il problema degli embrioni sovrannumerari è sì reale, ma pur sempre distinto da quello della tecnica di fecondazione artificiale utilizzata. Perché, per una valutazione morale, il procedimento tecnico utilizzato «deve essere giudicato in se stesso, e non può mutuare la sua qualificazione morale definitiva né dall'insieme della vita coniugale nella quale esso si iscrive né dagli atti coniugali che possono precederlo o seguirlo» (II, 5).
Importante la sottolineatura che, riprendendo Humanae Vitae, 14, ricorda che ogni singolo atto coniugale deve mantenere la connessione tra significato unitivo e procreativo, respingendo così il principio di globalità che alcuni teologi avevano sostenuto – e continuano a sostenere -, secondo il quale è sufficiente che nella vita matrimoniale globalmente intesa questa connessione sia mantenuta. Da qui l’idea che, per esempio, la contraccezione (unione volontariamente privata della procreazione) possa essere a volte lecita all’interno di una coppia globalmente aperta alla vita; così come la fecondazione artificiale (procreazione volutamente privata dell’atto unitivo) possa essere lecita perché la vita coniugale globalmente presa non è priva degli atti propri degli sposi.
E’ proprio considerando il procedimento «in se stesso» che la FIVET omologa non è mai moralmente accettabile, perché «anche nel caso in cui si mettesse in atto ogni cautela per evitare la morte degli embrioni umani, la FIVET omologa, attua la dissociazione dei gesti che sono destinati alla fecondazione umana dall'atto coniugale». Nella FIVET infatti la fecondazione «è attuata al di fuori del corpo dei coniugi mediante gesti di terze persone la cui competenza e attività tecnica determinano il successo dell'intervento», introducendo così una «relazione di dominio» che «è in sé contraria alla dignità e all'uguaglianza che dev'essere comune a genitori e figli».
E’ bene precisare che non si tratta di un’opinione teologica di qualche teologo, ma di un pronunciamento morale contrario «in conformità con la dottrina tradizionale relativa ai beni del matrimonio e alla dignità della persona».
Per quanto riguarda l'inseminazione artificiale omologa, essa non può essere ammessa «salvo il caso in cui il mezzo tecnico risulti non sostitutivo dell'atto coniugale, ma si configuri come una facilitazione e un aiuto affinché esso raggiunga il suo scopo naturale» (II, 6). Anche in questo caso, l’Istruzione ricorda che questo giudizio «non è soltanto espressione di circostanze storiche particolari, ma si fonda sulla dottrina della Chiesa in tema di connessione fra unione coniugale e procreazione, e sulla considerazione della natura personale dell'atto coniugale e della procreazione umana». Perché è questo livello che l’inseminazione artificiale propriamente detta viene ad intaccare. Ogni mezzo tecnico che faciliti o aiuti l'atto coniugale può essere moralmente accolto; al contrario, ogni intervento tecnico che si sostituisca all'atto coniugale – quel preciso atto coniugale - dev’essere respinto.
La contraddizione tra l’insegnamento della Chiesa e il testo base è evidente a chiunque abbia un minimo di rettitudine e capacità di intendere. Il primo valutava dal punto di vista morale il procedimento tecnico in se stesso, il secondo invece ritiene che l’unico problema morale della PMA omologa riguardi gli embrioni sovrannumerari. Da qui la conclusione che, per Donum Vitae, ogni fecondazione in vitro omologa e ogni inseminazione artificiale che dissoci unione e procreazione non sono moralmente accettabili, mentre invece, per il testo base, una volta escluso il problema degli embrioni in sovrannumero, ogni PMA omologa è sempre lecita all’interno del matrimonio (per ora).
E’ semplicemente grottesco che i teologi estensori del testo base sostengano che se una coppia è sterile allora non esistono problemi etici, dal momento che unione e coniugale e procreazione sarebbero già separati. Evidentemente gli estensori hanno ritenuto che, quando Giovanni Paolo II aveva approvato l’Istruzione, che sosteneva una posizione diametralmente opposta, pensava che fossero le coppie feconde a ricorrere alla PMA...
Il punto è che l’unione coniugale di una coppia sterile non è affatto priva del significato procreativo, sebbene questo atto non sia di fatto fecondo. Al contrario, la fecondazione artificiale in se stessa scinde questi due significati. E’ questo il problema che quel mondo che ruota attorno al grande demolitore della teologia morale, Mons. Vincenzo Paglia, non vuole vedere o fa finta di non vedere.
Così il § 173 (p. 305 del volume) del testo base Etica teologica della vita edito dalla Libreria Editrice Vaticana: «Nella procreazione assistita omologa nelle sue varie forme, ovviamente evitando di ottenere “embrioni sovrannumerari”, la generazione non viene artificiosamente separata dal rapporto sessuale, perché questo è “di per sé” infecondo. Al contrario, la tecnica agisce come una forma di terapia che permette di rimediare alla sterilità, non sostituendosi al rapporto, ma permettendo la generazione».
Dunque, via libera ad ogni forma di PMA omologa. L’unico problema moralmente rilevante sembra essere quello degli embrioni sovrannumerari, mentre invece sparisce l’idea che alcune forme della PMA presentano problemi morali a diversi livelli: la modalità di prelievo del seme, la prossimità con l’atto coniugale, il tipo di tecnica utilizzata per la fecondazione. Il testo base “semplifica” il tutto, stabilendo a priori che, laddove c’è un problema di sterilità, qualsiasi forma di PMA risulta lecita in quanto rapporto sessuale e generazione sono già stati separati dalla condizione di infertilità; per questa precisa stralunata ragione, non ci sarebbe più bisogno di verificare che l’intervento tecnico preservi l’inscindibilità del significato unitivo e di quello procreativo.
E’ ormai evidente che la PAV “Nuovo Corso”, organizzando questo seminario e nascondendosi dietro l’importanza dell’ascolto e del confronto, vuole in realtà sovvertire quanto il Magistero della Chiesa ha già stabilito. Nel testo dell’Istruzione Donum Vitae risultava infatti già ben chiaro il caso di sposi che, legittimamente, desiderano dei figli, ma non possono averli; come era altrettanto chiaro che il problema degli embrioni sovrannumerari è sì reale, ma pur sempre distinto da quello della tecnica di fecondazione artificiale utilizzata. Perché, per una valutazione morale, il procedimento tecnico utilizzato «deve essere giudicato in se stesso, e non può mutuare la sua qualificazione morale definitiva né dall'insieme della vita coniugale nella quale esso si iscrive né dagli atti coniugali che possono precederlo o seguirlo» (II, 5).
Importante la sottolineatura che, riprendendo Humanae Vitae, 14, ricorda che ogni singolo atto coniugale deve mantenere la connessione tra significato unitivo e procreativo, respingendo così il principio di globalità che alcuni teologi avevano sostenuto – e continuano a sostenere -, secondo il quale è sufficiente che nella vita matrimoniale globalmente intesa questa connessione sia mantenuta. Da qui l’idea che, per esempio, la contraccezione (unione volontariamente privata della procreazione) possa essere a volte lecita all’interno di una coppia globalmente aperta alla vita; così come la fecondazione artificiale (procreazione volutamente privata dell’atto unitivo) possa essere lecita perché la vita coniugale globalmente presa non è priva degli atti propri degli sposi.
E’ proprio considerando il procedimento «in se stesso» che la FIVET omologa non è mai moralmente accettabile, perché «anche nel caso in cui si mettesse in atto ogni cautela per evitare la morte degli embrioni umani, la FIVET omologa, attua la dissociazione dei gesti che sono destinati alla fecondazione umana dall'atto coniugale». Nella FIVET infatti la fecondazione «è attuata al di fuori del corpo dei coniugi mediante gesti di terze persone la cui competenza e attività tecnica determinano il successo dell'intervento», introducendo così una «relazione di dominio» che «è in sé contraria alla dignità e all'uguaglianza che dev'essere comune a genitori e figli».
E’ bene precisare che non si tratta di un’opinione teologica di qualche teologo, ma di un pronunciamento morale contrario «in conformità con la dottrina tradizionale relativa ai beni del matrimonio e alla dignità della persona».
Per quanto riguarda l'inseminazione artificiale omologa, essa non può essere ammessa «salvo il caso in cui il mezzo tecnico risulti non sostitutivo dell'atto coniugale, ma si configuri come una facilitazione e un aiuto affinché esso raggiunga il suo scopo naturale» (II, 6). Anche in questo caso, l’Istruzione ricorda che questo giudizio «non è soltanto espressione di circostanze storiche particolari, ma si fonda sulla dottrina della Chiesa in tema di connessione fra unione coniugale e procreazione, e sulla considerazione della natura personale dell'atto coniugale e della procreazione umana». Perché è questo livello che l’inseminazione artificiale propriamente detta viene ad intaccare. Ogni mezzo tecnico che faciliti o aiuti l'atto coniugale può essere moralmente accolto; al contrario, ogni intervento tecnico che si sostituisca all'atto coniugale – quel preciso atto coniugale - dev’essere respinto.
La contraddizione tra l’insegnamento della Chiesa e il testo base è evidente a chiunque abbia un minimo di rettitudine e capacità di intendere. Il primo valutava dal punto di vista morale il procedimento tecnico in se stesso, il secondo invece ritiene che l’unico problema morale della PMA omologa riguardi gli embrioni sovrannumerari. Da qui la conclusione che, per Donum Vitae, ogni fecondazione in vitro omologa e ogni inseminazione artificiale che dissoci unione e procreazione non sono moralmente accettabili, mentre invece, per il testo base, una volta escluso il problema degli embrioni in sovrannumero, ogni PMA omologa è sempre lecita all’interno del matrimonio (per ora).
E’ semplicemente grottesco che i teologi estensori del testo base sostengano che se una coppia è sterile allora non esistono problemi etici, dal momento che unione e coniugale e procreazione sarebbero già separati. Evidentemente gli estensori hanno ritenuto che, quando Giovanni Paolo II aveva approvato l’Istruzione, che sosteneva una posizione diametralmente opposta, pensava che fossero le coppie feconde a ricorrere alla PMA...
Il punto è che l’unione coniugale di una coppia sterile non è affatto priva del significato procreativo, sebbene questo atto non sia di fatto fecondo. Al contrario, la fecondazione artificiale in se stessa scinde questi due significati. E’ questo il problema che quel mondo che ruota attorno al grande demolitore della teologia morale, Mons. Vincenzo Paglia, non vuole vedere o fa finta di non vedere.
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