L’allontanamento di Enzo Bianchi, fondatore del “monastero” ecumenista di Bose, è una delle tante prove evidenti che quell’esperimento di nuovo (pseudo) monachesimo è destinato a fallire.
di Ines Angeli Murzaku (28-04-2021)
Il 18 febbraio 2021, sulla pagina del Monastero di Bose è stata pubblicata la seguente dichiarazione: “Con profonda amarezza la comunità di Bose ha preso atto che Fratel Enzo non si è recato a Cellole nel tempo indicato dal Decreto del Delegato Pontificio del 4 gennaio.”
Si tratta del più recente atto di disobbedienza da parte del fondatore di Bose, Fr. Enzo Bianchi, che con un Decreto Pontificio del 13 maggio 2020, gli è stato ordinato di lasciare definitivamente la comunità di Bose e trasferirsi a Cellole, fondata nel 2013, ma recentemente gli è stato ordinato di interrompere qualsiasi legame con Bose dopo che il fondatore e tre dei suoi seguaci dovevano vivere a Cellole extra domum – fuori casa. “Purtroppo la mano tesa” per spostare Bianchi fuori da Bose non è stata accettata, continua il comunicato del 18 febbraio 2021. A fine marzo, Crux riporta che Bianchi lascerà Bose al più presto da solo, quando la pandemia sarà finita e “non appena avrò trovato una sistemazione”.
Cosa era successo a Bose?
Nel 2019, i membri della comunità avevano espresso alla Santa Sede serie preoccupazioni riguardo all’esercizio dell’autorità del fondatore, che aveva portato a una situazione tesa e problematica nella comunità. Papa Francesco ha organizzato una Visita Apostolica (dal 6 dicembre 2019 al 6 gennaio 2020) alla comunità di Bose incaricando l’Abate Guillermo León Arboleda Tamayo, OSB, Padre Amedeo Cencini, e Madre Anne-Emmanuelle Devéche, OCSO, Badessa di Blauvac con il delicato compito di ascoltare e approfondire la situazione di tensione tra i membri di Bose.
Dopo un prolungato e attento discernimento e preghiera a seguito della visita la Santa Sede ha concluso che Fr. Enzo Bianchi, Fr. Goffredo Boselli, Fr. Lino Breda e Sr. Antonella Casiraghi, dovevano separarsi da Bose e trasferirsi in un’altra sede, venendo dimessi da tutte le loro attuali posizioni. La decisione è stata approvata “in forma speciale” dallo stesso Papa Francesco. Inoltre, la Santa Sede ha tracciato un percorso di futuro e di speranza per la comunità, proponendo alcuni principi guida per un processo di rinnovamento con la speranza di dare nuova vita e nuova direzione alla comunità.
Un nuovo monachesimo?
Nel 1963, quando era studente di ragioneria all’Università di Torino, Bianchi iniziò un gruppo serale di studio della Bibbia e di preghiera invitando studenti di diverse confessioni cristiane, tra cui cattolici, battisti e valdesi. Diversi seguaci iniziarono a trovare la vocazione per una vita di preghiera, comunità e celibato che portò Bianchi a cercare un posto tranquillo e remoto fuori dalla città di Torino. Affittò una piccola casa nell’isolato villaggio di Bose, dove lui e i suoi amici restaurarono la chiesa romanica di San Secondo di Magnano dell’XI secolo, che probabilmente faceva parte del convento benedettino.
Enzo Bianchi con l’abbé Pierre.
La comunità mista (uomini e donne), interconfessionale ed ecumenica di Bose iniziò quando finì il Vaticano II, l’8 dicembre 1965. Ovviamente, la comunità di Bose è un’interpretazione moderna del monachesimo cristiano, o una nuova forma di monachesimo ecumenico in cui i membri della comunità – uomini e donne di diverse confessioni – vivono una vita comunitaria di preghiera, lavoro e celibato. Secondo la regola 43 di Bose “la comunità non è confessionale ma è composta da membri di diverse confessioni cristiane. Ogni membro deve trovare nella comunità lo spazio per praticare la sua confessione di fede e l’accettazione della sua spiritualità”. Non c’è, secondo la Regola, bisogno di cambiare o convertirsi o cambiare denominazione, perché uno appartiene a Cristo attraverso la chiesa del suo battesimo fino alla fine. Di conseguenza, uno “riconosce i suoi pastori, i suoi ministeri nella loro diversità, e cercherà sempre di essere un segno di unità” (regola 41).
L’affermazione, quindi, è che la pienezza della vita cristiana si raggiunge nella denominazione a cui si appartiene. Ma questo va contro il decreto del Vaticano II sull’ecumenismo, che spiega che “è solo attraverso la Chiesa cattolica di Cristo, che è il mezzo onnicomprensivo di salvezza, che possono beneficiare pienamente dei mezzi di salvezza”. È nella Chiesa cattolica che “sussiste la pienezza del corpo di Cristo unito al suo capo; ciò implica che essa riceve da lui la pienezza dei mezzi di salvezza” secondo il Catechismo della Chiesa Cattolica (#830). In pratica, i non cattolici di Bose, seguendo la Regola, non possono accedere alla pienezza dei mezzi di salvezza.
Anche l’Eucaristia non viene celebrata ogni giorno a Bose, a causa della sensibilità ecumenica. Così, anche i cattolici della comunità di Bose sono costretti ad accettare un mezzo di salvezza ridotto come dimostrazione di rispetto verso altre confessioni che non hanno la stessa comprensione dell’Eucaristia.
Ecumenismo di Bose?
Il focus della comunità di Bose è l’ecumenismo, ma non è un’autentica unità dove le differenze teologiche, ecclesiologiche e storiche vengono discusse, pregate e vissute. C’è una diluizione delle reali differenze confessionali in nome della sequela di Cristo e del Vangelo, che punta a una comunità universale nebulosa o a un’associazione privata di fedeli, ma non a un monastero e a una comunità monastica unita nel loro cammino verso la teosi. L’ecumenismo di Bose è un ecumenismo di tipo minimalista molto lontano dall’autentico ecumenismo espresso nei documenti del Vaticano II.
Enzo Bianchi con l’allora patriarca ortodosso di Costantinopoli Atenagora.
È ironico e triste, quindi, come una comunità di fratelli e sorelle, che si vanta di essere nata il giorno stesso della chiusura del Vaticano II con la missione di continuare e applicare le decisioni del Concilio, neghi e interpreti male il suo insegnamento. A proposito di ironie, il giorno (22 luglio 2014) in cui Papa Francesco ha nominato Fr. Bianchi consultore del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, ecco come Bianchi ha risposto all’inaspettata nomina: “Il Papa riformerà il papato, e questo favorirà le relazioni con gli ortodossi”, aggiungendo che “la riforma del papato significa un nuovo equilibrio tra sinodalità e primato… Questo aiuterebbe a creare un nuovo stile del primato papale e del governo dei vescovi.”
Quello che Bianchi propone, francamente, è una decostruzione e diluizione del papato a favore della sinodalità.
Il 7 novembre 1967, il vescovo locale (di Biella), proibì le celebrazioni eucaristiche a Bose, a causa delle irregolarità e della presenza di non cattolici tra i seguaci e gli ospiti di Bianchi nelle celebrazioni liturgiche. Il divieto fu revocato un anno dopo, nel 1968, dal cardinale di Torino, Michele Pellegrino, che celebrò la messa nella nuova comunità il 29 giugno 1968. Da allora la carriera del fondatore di Bose è stata in ascesa, ricoprendo alcuni degli incarichi più prestigiosi negli ambienti ecclesiastici tra cui una nomina accademica nel Consiglio di Amministrazione della Fondazione Giovanni XXIII per le Scienze Religiose (La scuola di Bologna).
Tempo di rinnovamento?
Il monachesimo è stato nel cuore della Chiesa per millenni. Non si può capire la storia del cristianesimo senza fare riferimento al monachesimo e all’ideale monastico, che ha creato la civiltà occidentale e ha portato il rinnovamento, la conservazione e la continuazione dell’Occidente. Il monachesimo è stato la fonte esistenziale della cultura europea, come ha sottolineato Papa Benedetto XVI nel suo discorso al mondo della cultura al Collège de berardins di Parigi nel 2008.
L’esperimento di Bose, che ha cinquantatré anni, sta avendo una crisi di mezza età. Ciò che è urgentemente necessario a Bose è l’istituzionalizzazione, la struttura all’interno della Chiesa, e una regola monastica approvata che guidi la comunità monastica. Solo allora un autentico rinnovamento e una vera guarigione inizieranno sul serio.
( catholicworldreport.com; traduzione: sabinopaciolla.com)
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