di Aldo Maria Valli 01/04/2019
Ho un debole per le storie dei convertiti da altre religioni e confessioni al cattolicesimo. Trovo che il convertito, nel narrare la sua vicenda interiore e il cammino di avvicinamento alla Santa Madre Chiesa cattolica, ci aiuti a riscoprire l’essenziale della nostra fede e a recuperare il senso della meraviglia.
Mi colpisce, in particolare, una parola che tutti i convertiti utilizzano: casa. Per spiegare che cosa lo spinge e che cosa prova nel suo intimo, il convertito ricorre sempre a questa espressione: è un ritorno a casa.
Mi viene in mente un bellissimo libro letto molti anni fa: Rome Sweet Home: Our Journey to Catholicism (nella traduzione italiana, edita da Ares, Roma dolce casa. Rome sweet home. Il nostro viaggio verso il cattolicesimo, di Scott e Kimberly Hahn), nel quale i coniugi Hahn, accompagnandoci attraverso le tappe del loro percorso di conversione dal protestantesimo al cattolicesimo, spiegano appunto come ciò che si avverte sia questo riavvicinarsi e tornare a casa. Una casa che era già lì, pronta ad accogliere, ma doveva essere scoperta.
Scott, pastore protestante, è il primo a rendersi conto del richiamo. La moglie impiega più tempo e fa più resistenza, ma infine anche lei avverte la chiamata e quando si tratta di spiegare che cosa è avvenuto ecco l’immagine della casa: “…ieri, il Mercoledì delle Ceneri, dopo molta meditazione e preghiera, mi è diventato chiaro che il Signore mi sta invitando a tornare a casa per Pasqua”.
Che cosa rende attraente la casa cattolica? I convertiti (pensiamo anche al grande cardinale Newman) non hanno esitazioni nel rispondere: la verità, l’amore dei fratelli e la bellezza, tutti elementi che trovano espressione e alimento nella liturgia. E anche su questo aspetto i cattolici “naturali”, coloro che sono cattolici dalla nascita, dovrebbero meditare.
Ma c’è un altro punto che vorrei sottolineare.
Scott e Kimberly fanno il loro ritorno a casa durante gli anni Ottanta del secolo scorso, quando il papa è Giovanni Paolo II, in una situazione molto diversa dall’attuale, per quanto riguarda sia il mondo in generale sia la Chiesa cattolica. Ma adesso farebbero lo stesso?
Non ho mai posto la domanda ai due coniugi americani (che hanno avuto sei figli e nel frattempo sono diventati nonni di diciotto nipoti), però una risposta in tal senso si trova nel racconto di un altro convertito. Mi riferisco a Luken Stitzel, scrittore, anche lui americano, entrato nella Chiesa cattolica giusto un anno fa, nella Pasqua del 2018, dopo aver vissuto a lungo da ateo.
Fondatore di una pagina cattolica su Instagram e studioso della Madonna di Guadalupe, Padre Pio e san Giuseppe, Stitzel ha fatto il punto del suo cammino spirituale in un intervento nel quale spiega che, in effetti, una delle domande che gli vengono poste più di frequente è proprio questa: come si fa a diventare cattolici adesso, in una Chiesa che appare infiacchita dagli scandali, con alcuni suoi alti esponenti finiti sotto processo e una crisi di credibilità in pieno svolgimento?
La mia conversione, dice lo scrittore, sembra davvero difficile da capire. “Oggi ciò che appare ovvio non è entrare nella Chiesa cattolica, ma evitarla come la peste. Tuttavia ho fatto il salto verso la fede senza compromessi, e non ce l’avrei fatta se avessi pensato che sia anche lontanamente possibile che il cattolicesimo abbia torto”.
Ed ecco, anche nel suo caso, l’uso della parola casa: “Dopo tutto questo scavo, una scintilla è stata accesa nella mia anima, un desiderio di trovare la mia casa”.
Ma perché in questa casa ci si sente tanto bene?
Di nuovo, anche nel racconto di Stitzel tornano gli elementi essenziali. Ci si sente bene perché è la casa della verità (“Sono cattolico perché la Chiesa cattolica è il cristianesimo di cui si parla negli Atti degli Apostoli. Non un concetto debole e confuso di cristianesimo come quello a cui oggi molti si aggrappano, ma qualcosa di tangibile, solido e incrollabile”, “Ho la ricchezza della conoscenza della Chiesa a mia disposizione, e posso trovare risposte reali alle mie domande, sia che si tratti di storia o teologia, e non potrei mai tornare indietro dalla Chiesa fondata dal vero Logos: Gesù Cristo”); perché è la casa dell’amore (“Nel protestantesimo della mia giovinezza ero mal equipaggiato per affrontare la sofferenza, la morte e il dolore”), perché è la casa della fraternità (“Anche se sono l’unico cattolico vivente della mia famiglia, non mi sento veramente solo, come mi ero sentito prima. Ho una legione di fratelli spirituali, che vivono in questo mondo e in Cristo, per pregare per e con me”) e perché è la casa della bellezza (“Mi è stato concesso solo un assaggio della bellezza e della gioia dell’amore divino di Dio”).
Per tornare a casa i convertiti devono spesso combattere contro le menzogne diffuse circa il cristianesimo e la Chiesa cattolica, ma è una prova necessaria, perché dona forza, e Stitzel lo spiega. Come ateo militante, racconta, era disgustato dal cristianesimo e lo odiava “credendo ingiustamente di sapere tutto su di esso, mentre era vero il contrario: non sapevo nulla”.
Con il racconto di Stitzel si potrebbe continuare a lungo, ma si è detto l’essenziale. Come nel caso di Paolo, ecco la trasformazione: da persecutore di Cristo ad apostolo. Ed ora è felice. Tanto che della data per lui davvero storica (il 31 marzo 2018, quando ricevette battesimo, confermazione e prima comunione) parla come del giorno che “per sempre adorerò”.
Vivere ogni giorno da convertiti, anche se, grazie a Dio, siamo cattolici dalla nascita. Ecco un esercizio che potrebbe essere salutare.
Il che, fra l’altro, ci consente di alimentare il senso di gratitudine (qualcosa che il sottoscritto, in questo preciso momento, avverte con forza). Come Stitzel dice molto bene: “In gran parte devo ringraziare le persone veramente sante che ho incontrato. Anche se resteranno senza nome, hanno giocato un ruolo immenso nell’aiutarmi a capire come vivere da cattolico. Grazie a loro, ora so che cosa ci vuole per vivere la fede cattolica, non solo per crederci. Sono sempre state lì per fornirmi un consiglio spirituale, preghiere e, soprattutto, amicizia. Servono da esempi di come Cristo vive attraverso le persone e come siamo tutti chiamati a vivere come modelli di Cristo”.
Aldo Maria Valli
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