lunedì 3 luglio 2017

Insieme a Charlie muoiono anche i popoli d'Europa





Anziché promuovere la cultura della vita, il Vecchio Continente si sta suicidando legittimando la cultura della morte


Magdi Cristiano Allam - Dom, 02/07/2017 


Il piccolo Charlie Gard incarna una realtà nuova nella cultura della morte che sta travolgendo questa Europa: si chiama «eutanasia di Stato». Sono i medici e i tribunali ad avere deciso che deve morire per soffocamento, staccando la spina del respiratore.

I suoi genitori sono contrari. Ma medici e tribunali hanno detto «no» al proseguimento dell'alimentazione e dell'idratazione artificiale; «no» al suo trasferimento negli Stati Uniti per sottoporlo a una cura sperimentale; «no» al suo ricovero in un centro di assistenza per malati terminali; «no» ad affidarlo ai genitori che hanno espresso il desiderio di portarlo a casa forse per un estremo saluto, dopo avergli fatto il bagnetto e sistemato amorevolmente nella sua culletta.

Pur essendo affetto da una rara patologia genetica, il piccolo Charlie non è in fase terminale. Ma per i medici non essendoci speranze, anche l'alimentazione e l'idratazione sarebbero accanimento terapeutico. Non solo la Chiesa cattolica, anche il nostro Comitato nazionale per la bioetica sostengono il contrario.

Il caso del piccolo Charlie è diverso da quello di Eluana Englaro, perché fu il padre Beppino che volle che la figlia morisse, riuscendo a far interrompere l'alimentazione e l'idratazione artificiale il 9 febbraio 2009 dopo il parere favorevole della Corte d'appello e della Cassazione.

Ebbene ora è lo Stato, attraverso la magistratura, che decide se una persona possa continuare a vivere o se debba morire. Lo si riscontra anche con il trattamento riservato agli anziani ricoverati, che non sono più considerati persone da curare, ma pazienti sgraditi perché si traducono in un peso economico che riduce le risorse di per sé insufficienti dell'«azienda ospedaliera». Al centro delle scelte dello Stato non c'è più la persona, ma la moneta.

L'eutanasia di Stato si consuma nel contesto della «dittatura del relativismo» che si è impossessata dell'Europa. Quando si relativizza il valore assoluto della vita dal concepimento alla morte naturale, si avvia un processo suicida che porta a legittimare ogni arbitrio contro la vita stessa. Vivere o morire diventerà una scelta condizionata dalle crisi esistenziali. Quando si eleva il desiderio soggettivo del singolo a legge oggettiva della collettività, si trasforma l'eccezione nella regola, facendo venir meno la sostanza della legge. Il diritto all'aborto fu affermato sostenendo che per tutelare primariamente la donna, solo in casi estremi diventava legittimo uccidere il feto. Invece da subito l'aborto si è rivelato quasi esclusivamente un mezzo per il controllo delle nascite, dove il feto viene ucciso semplicemente perché la donna non vuole farlo nascere.

Eppure quest'Europa che ha elevato ad apice della propria civiltà l'aborto, l'eutanasia, l'eugenetica, la fecondazione artificiale e l'omosessualismo, è destinata ad estinguersi demograficamente perché è l'area del mondo che in assoluto fa meno figli. Anziché promuovere la cultura della vita, si sta suicidando legittimando la cultura della morte.


Magdi Cristiano Allam


magdicristianoallam@gmail.com



Fonte: Il Giornale 









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