martedì 25 luglio 2017

E' eutanasia, condita da falsa pietà






di Renzo Puccetti (25/07/2017)

Ieri abbiamo assistito ad una pagina drammatica e tristissima della lunga battaglia per la vita di Charlie Gard. L’incubo si è materializzato quando i genitori di Charlie hanno gettato la spugna rinunciando a proseguire nella causa in cui per mesi hanno lottato per la vita di loro figlio. Da quanto viene riportato gli esami hanno evidenziato una compromissione muscolare troppo avanzata per sperare che le cure sperimentali potessero essere tollerate. Con la rinuncia dei genitori, ora Charlie è solo, niente più si frappone tra lui ed il protocollo di morte eutanasica pervicacemente perseguito dai medici del Great Hormond Street Hospital.

A Charlie toglieranno l’aria che gli è necessaria a vivere e così avranno finalmente soddisfazione tutti coloro che in queste settimane hanno detto che la morte era il migliore interesse di quel bambino che è stato idealmente adottato da milioni e milioni di persone in tutto il mondo con la preghiera, la mobilitazione e col denaro necessario per dargli una possibilità di cura. Intervenendo prima Charlie avrebbe avuto una chance? Nessuno può rispondere con certezza, in questi giorni abbiamo potuto apprendere che da aprile i medici inglesi avevano cessato di monitorare l’evoluzione della malattia; si erano fatti una convinzione e nessuno doveva azzardarsi a metterla in discussione ed hanno fatto di tutto per impedire a Charlie cure possibili.

Il tempo trascorso ha giocato a loro favore, affinché oggi potessero dire: “avete visto? Avevamo ragione noi”. La proverbiale cinica ipocrisia britannica non avrebbe potuto trovare interpreti più degni. Ma a queste considerazioni si aggiunge lo sgomento che deriva dalla lettura di un documento di Chris Gard e Constace Yates diffuso alle 16,45 ora italiana sul profilo Fb di “Charlie’s Army”, da cui lo sforzo bioetico di chi ha affiancato i genitori di Charlie nella loro opposizione ai medici del GOSH fino a ieri risulta vanificato: “Non è cerebralmente morto (e non lo è mai stato). Ci risponde, persino ora”, scrivono i genitori di Charlie, che però aggiungono: “Ma dopo i risultati della recente risonanza magnetica muscolare, è stato ritenuto che i muscoli di Charlie si sono deteriorati ad un livello ampiamente irreversibile e, se anche il trattamento funzionasse, la sua qualità di vita non sarebbe ora quella che vorremmo per il nostro prezioso piccolo ragazzo”.

La bontà o meno di una posizione non è data da chi la sostiene, ma dal rispetto della realtà e la realtà non è mutata dal fatto che la speranza della terapia nucleosidica sia svanita, né dal fatto che ora siano i genitori di Charlie a rinunciare processualmente ad opporsi alla sospensione della ventilazione perché la qualità di vita è sotto il livello auspicato e auspicabile. Togliere la ventilazione a Charlie era un atto eutanasico ieri e continua ad esserlo oggi che a deciderlo si sono affiancati i genitori.

La giravolta di 180 gradi di oggi non salva la faccia al GOSH a cui i genitori di Charlie imputano un ritardo fatale ed imperdonabile dettato dall’errata prognosi infausta circa il danno neurologico, smentita dagli esperti del team internazionale. Nondimeno il tempo levigherà i particolari e sono sicuro che tra un po’ il GOSH rivendicherà di avere avuto ragione, che anche i genitori hanno riconosciuto che per Charlie non c’era niente da fare; confidando sulla memoria corta della gente, ritengono che conserveranno davanti al mondo la propria alta reputazione.

Tuttavia il fatto bioetico rimane e non si può esaurire in una mera divergenza diagnostica e prognostica: quello che ieri i medici del GOSH dicevano a causa della irreversibilità del danno neurologico, oggi i genitori di Charlie lo dicono a causa dell’irreversibilità del danno muscolare. È comunque un danno irreversibile a giustificare la preferenza per la morte. Non so se e quali siano state le pressioni esercitate sulla coppia, non so se ad un certo punto alla mamma e al papà di Charlie sono venute meno le energie nervose per sostenere la difesa del proprio bambino fino all’ultimo atto, ma se è indubbio che nessun genitore vorrebbe per il proprio figlio la qualità di vita di Charlie, nessun genitore può affermare che la bassa qualità di vita del proprio figlio lo rende inidoneo a ricevere cure proporzionate e a vivere.

Per un caso era un luglio come oggi, ma di 78 anni fa, quando Richard and Lina Kretschmar, i genitori di Gerhard, scrissero al Führer perché fosse loro permesso di uccidere quel loro bambino di cinque mesi, nato senza un braccio e una gamba, cieco e apparentemente demente, che loro ritenevano “un mostro”. Vi sono moltissime differenze da quel caso; a Gerhard fu dato attivamente del luminale per ucciderlo, a Charlie verrà attivamente tolta la ventilazione. Diversa è la motivazione, l’ideale della perfezione ariana a cui aspiravano di contribuire come devoti nazisti per i genitori del piccolo Gerhard, l’incapacità di fare tutte le cose che ogni genitore vorrebbe vedere fare al proprio bambino, per i coniugi Gard.

Diverso il tono ed i sentimenti, brutalmente sprezzante quello dei coniugi Kretschmar, pieno di affetto, di lacrime e di fierezza per il loro bambino quello oggi dei Gard. Tuttavia c’è un fatto che è maledettamente comune nelle vicende di Gerhard e di Charlie, esso è la paura dell’essere umano di fronte alla sofferenza, è la tentazione di fuggire, di dire “basta”, di voltare pagina trovando la giustificazione auto-lenitiva del meglio morto che così sofferente, è la “falsa pietà” che con somma carità indicava al mondo Giovanni Paolo II.

Ma è proprio questa fuga che non dobbiamo, non vogliamo, non possiamo accettare, perché la realtà non è quella barbarica pronunciata dal giudice Francis, la qualità di vita di Charlie, per quanto bassa essa sia, rende Charlie certamente un grandissimo disabile, un gravissimo ammalato, ma non una vita immeritevole di vita e non fa della morte il suo migliore interesse, perché, lo dico al giudice, ai medici del GOSH, ai loro simpatizzanti e anche ai genitori di Charlie con tutta la compassione e la fermezza che mi è possibile: non siete Dio, Charlie non è una proprietà, la sua dignità di persona è ontologica, non va via insieme alla bassa qualità di vita, ma permane con la vita e lo rende titolare del diritto ad essere sostenuto, non scartato. Lo diciamo oggi come ieri e come domani. Per il prossimo Charlie e per la nostra dignità.






fonte: La nuova Bussola Quotidiana 








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