lunedì 10 luglio 2017

Il cardinale Meisner, Fatima, il rosario. E quella venerazione per Mindszenty






di Aldo Maria Valli  (10/07/2017)

Il 5 luglio oltre a Joaquín Navarro-Valls ci ha lasciati un altro Gioacchino: il cardinale Joachim Meisner, arcivescovo di Colonia. Un grande pastore che ha sempre difeso la fede e la Chiesa, fino alla decisione, presa con i confratelli Carlo Caffarra, Walter Brandmüller e Raymond Burke, di manifestare al papa i suoi «dubia» a proposito di «Amoris laetitia».

La morte l’ha colto nel sonno, con il breviario in mano, mentre pregava per prepararsi alla messa del mattino successivo e dopo una telefonata con il cardinale Gerhard Müller, pochi giorni prima allontanato da papa Francesco dall’incarico di prefetto della Congregazione per la dottrina della fede.

Per capire meglio il cardinale Meisner e tracciare un suo profilo è utile l’articolo «Cardinal Meisner’s Witness Concerning Fatima and the Dubia», scritto da Maike Hickson per il sito «onepeterfive», nel quale, fra l’altro, si rivela quanto riferito da un amico del cardinale, Michael Hesemann, storico della Chiesa tedesca.

In una lettera del 29 dicembre 2016 Meisner scrisse a Hesemann: «Viviamo in un periodo di confusione, non solo nella società, ma anche nella Chiesa». E poi, quasi come spiegazione sottintesa della sua decisione di rivolgersi al papa esprimendo i dubbi su «Amoris laetitia», aggiunse: «Il pastore è scelto da Cristo al fine di preservare il gregge dall’errore e dalla confusione».

Meisner, che incontrò più volte la veggente suor Lucia, in quella lettera parlò anche del messaggio di Fatima, esprimendo la speranza che la Madre di Dio non ci lasci in preda alla confusione e al peccato in questo nostro tempo nel quale, avendo perduto la memoria della creazione, non sappiamo più chi è l’uomo. Parole che hanno il sapore del testamento spirituale da parte di un pastore che soffrì molto a causa di attacchi ingiusti da parte della cultura laicista ma anche dei settori modernisti della Chiesa.

Di Meisner occorre ricordare poi il contributo, forse decisivo, nel conclave del 2005, per l’elezione di Joseph Ratzinger, un’esperienza che il cardinale, pur mantenendo il segreto, ricordava affermando di non aver mai combattuto tanto nel corso della sua vita.

Nato a Breslavia (Breslau per i tedeschi, Wrocław per i polacchi) nel giorno di Natale del 1933, Joachim Meisner nel 1945 fu costretto a fuggire con la mamma e i fratelli (il padre fu ucciso sul fronte russo in quello stesso anno) dinnanzi all’avanzata dell’armata sovietica e si rifugiò in Turingia, a Erfurt, dove per quarant’anni visse poi sotto il regime comunista della Repubblica Democratica Tedesca.

Dei giorni della fuga Meisner ricordava la fede indomita della mamma, che un giorno, del tutto priva di mezzi per garantire un pasto e un tetto ai figli, tirò fuori il rosario, si mise a pregare (recitò per tre volte una preghiera mariana tedesca, «Hilf Maria, jetzt ist Zeit») e si disse certa che l’aiuto sarebbe arrivato dalla Madonna. Cosa che in effetti avvenne, quando la famiglia fu invitata in casa da un uomo che aveva assistito alla scena.

Sotto la DDR (Deutsche Demokratische Republik) – questo un altro ricordo di Meisner – era impossibile anche solo accennare a Fatima, perché qualsiasi riferimento alle apparizioni, caratterizzate dalla richiesta di consacrare la Russia al Cuore immacolato di Maria, era considerato propaganda anticomunista e come tale veniva punito. Ma naturalmente i divieti non fecero che rinforzare nel futuro cardinale la devozione per la Madonna di Fatima, un luogo, spiegava Meisner, nel quale Nostra Signora ha creato una testa di ponte fra terra e cielo.

Dopo l’attentato del 1981 Giovanni Paolo II chiese a Meisner di celebrare una messa a Fatima, e l’arcivescovo di Colonia lo fece nel 1990, ringraziando Maria non solo per aver salvato la vita del papa ma anche per il crollo dell’impero sovietico.

«Come arma contro l’ateismo la Madre di Dio ci ha dato la preghiera, ma specialmente la preghiera del rosario», diceva Meisner, che conservava un ricordo molto vivido di un episodio avvenuto a Erfurt, nel 1975, quando un gruppo di turisti provenienti dal Kazakistan (allora nell’Unione Sovietica), rivelatisi come cattolici, gli dissero: «Da trent’anni non andiamo a messa e abbiamo tanta nostalgia della Chiesa!». Meisner ricordava in particolare la domanda che gli fece uno di quei cattolici: «Mi potrebbe dire quali dottrine di fede dobbiamo trasmettere ai nostri figli e nipoti così che essi possano ottenere la vita eterna?».

«Non mi era mai stata posta – diceva il cardinale – una domanda altrettanto importante, e nessuno me la fece più in futuro». A quell’uomo l’allora vescovo di Erfurt rispose che avrebbe dato a lui e ai suoi compagni la Bibbia e il Catechismo, ma l’ospite gli fece cortesemente notare che in un paese dell’Unione Sovietica non era permesso possedere quei libri. Allora il vescovo disse che gli avrebbe dato un rosario e quando l’uomo chiese il perché, Meisner rispose che lì c’è tutto quel che occorre: «Tutta la fede cattolica in una sola mano!», come esclamò, pieno di sorpresa e gratitudine, quel suo interlocutore.

Circa la sua morte, Meisner diceva: «Quando sarò morto, i canonici verranno e mi toglieranno l’anello, ma nel testamento ho scritto che dovranno lasciarmi il mio rosario! Voglio che sia messo nella bara, così che lo possa mostrare alla Madre di Dio e Lei possa mostrarmi, dopo questo esilio, Gesù, il frutto benedetto della sua vita!».

La vicenda umana di Joachim Meisner si può riassumere con due parole: fede e coraggio. Una combinazione che gli fece guadagnare il rispetto di molti, anche da parte degli avversari, come nel caso di una nota femminista tedesca, Alice Schwarzer, che alla morte del cardinale ha detto «Sì, mi è piaciuto» ed ha rivelato che durante il loro ultimo incontro, un anno fa, Meisner le regalò una preghiera di santa Teresa d’Avila.

Per completare il profilo di Joachim Meisner occorre poi parlare della sua speciale venerazione per il cardinale Jozef Mindszenty, il grande arcivescovo ungherese che resistette al comunismo. Nel maggio di quest’anno, durante un’omelia a Budapest, Meisner raccontò che aveva solo tredici anni quando, vedendo un quadro raffigurante Mindszenty sotto accusa davanti a un tribunale comunista, restò molto colpito da quell’immagine, perché gli fece pensare a Gesù accusato ingiustamente dal sinedrio. Quel ritratto dell’indomito cardinale ungherese fu così importante che lo volle appendere nella sua camera da letto e da allora, disse durante l’omelia, «ho sempre rivolto uno sguardo a Mindszenty prima di addormentarmi e al risveglio».

In effetti il primate d’Ungheria fu per Meisner «il modello di vescovo, ed è per questo che in me è cresciuto il desiderio di essere come lui, un testimone di Cristo che ha il coraggio di resistere ai potenti di questo mondo».

L’immagine di Mindszenty davanti al tribunale era conservata da Meisner anche nel suo breviario, lo stesso che aveva tra le mani il 5 luglio scorso, quando la morte l’ha colto nel sonno a Bad Füssing. «Quando i vescovi non sono più confessori della fede – diceva – il popolo di Dio non è in una buona situazione».

Il 4 aprile 2005, prima del conclave, il cardinale Meisner insieme all’amico Paul Badde, che ha rivelato l’episodio, andò a Manoppello per vedere il Volto Santo e ne restò profondamente toccato, tanto che nel libro degli ospiti scrisse: «Il volto è l’espressione del cuore. Sul Volto Santo il Cuore di Dio diventa visibile. Joachim Card. Meisner, Arcivescovo di Colonia, Pax Vobis!».

Come abbiamo detto all’inizio, la sera prima della sua morte Meisner parlò al telefono con il cardinale Müller. È stato lo stesso Müller a rivelarlo, alla «Passauer Neue Presse», spiegando che Meisner si dimostrò rattristato per il brusco allontanamento di Müller dalla Congregazione per la dottrina della fede, un licenziamento da lui considerato un danno per la Chiesa. Nella stessa intervista Müller ha raccontato che il papa gli ha comunicato la sua decisione di non rinnovarlo nella carica di prefetto della congregazione durante un’udienza durata un solo minuto, proprio nell’ultimo giorno del mandato, e senza fornire spiegazioni. «Uno stile – ha detto Müller – inaccettabile, perché anche il Vaticano, nel trattare con i propri dipendenti, dovrebbe applicare la dottrina sociale della Chiesa». Uno stile che certamente non era quello di Joachim Meisner.

Aldo Maria Valli
















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