lunedì 16 gennaio 2017

Il Vaticano emette un francobollo in onore di Lutero





Vivaio, Febbraio 2017 gennaio 14, 2017


di Vittorio Messori, Il Timone

Mi capita in mano la rivista dove la Bolaffi (la più antica e la maggiore azienda filatelica) dà notizia dei francobolli che saranno emessi quest’anno. Vedo la pagina dedicata alle poste della Città del Vaticano, dove si annuncia una emissione "che stupisce", come scrive l’estensore del pezzo: nientemeno che un francobollo della Santa Sede che celebra i cinquecento anni dall’inizio della Riforma. Ovviamente, l’immagine a colori che sta sopra il quadratino di carta vaticano è quella di Martin Lutero.

Se i laici della Bolaffi si “ stupiscono “ non succede altrettanto ai cattolici che sanno come papa Bergoglio abbia voluto volare in Svezia (dove, tra l’altro, l’introduzione forzata del luteranesimo, per mere ragioni economiche, per metter cioè le mani sulle proprietà della Chiesa, fu brutalmente antipopolare e fece molti martiri), volare in Svezia, dunque, per onorare il “ coraggio “ di quel frate che osò sfidare la Chiesa indegna del XVI secolo. Noi, dunque, non ci stupiamo più.

Ma, a proposito di fratel Martino, trovo un breve, e incompleto, elenco, delle espressioni che quel “meritevole riformatore“ riservò nei suoi scritti al pontefice romano. Lo chiamò, dunque: "Porco. Anticristo. Tosatore di greggi. Spargitore di sangue. Lupo. Cane. Pervertitore della Sacra Scrittura. Empio e perverso bestemmiatore. Avversario di Cristo. Deformatore di Gesù. Crocifissore del Signore. Diavolo. Satana. Sacrilego. Ignorante. Muso da prostituta. Autore di ogni empietà. Bestemmiatore. Ipocrita. Maestro di frodi e di imposture. Briccone. Pestifero. Corrotto". E la simpatica litania potrebbe continuare….

E’ importante notare che con questa cascata di ingiurie e di improperi, Lutero (come egli stesso precisò) non intendeva riferirsi solo agli odiati pontefici regnanti ai suoi tempi ma a chiunque – nel passato, nel presente, nel futuro – avesse occupato o occupasse la sedia papale.
Eppure in Svezia, Francesco è stato ricevuto con ostentata cordialità dai massimi responsabili di quanto resta – ben poco – della comunità luterana. Comunità che non ha mai rinnegato gli insulti del suo fondatore. Grande ipocrisia, dunque, da parte di gente che guarda a Lutero come l’inviato da Dio e del quale ogni parola non è solo da prendere sul serio ma da venerare. Quale verità poteva esserci, nei festeggiamenti fatti a un papa, dai seguaci di colui che non trovò mai nome abbastanza offensivo per insultarlo? E quanto cristianesimo autentico poteva esserci in questi festeggiamenti, come se niente fosse, visto che per il Cristo l’ipocrisia è tra i peccati maggiori ?

A proposito di Lutero. Questi proclamò più volte: "La ragione è direttamente opposta alla fede, perciò si deve abbandonarla. Nei credenti deve essere uccisa e sepolta". L’apologetica, dunque, era bandita e considerata blasfema in quanto cercava di conciliare fede e ragione.
Questa la replica ironica del cattolico convertito dal protestantesimo, Jacques Maritain: "Lutero donava così all’umanità una grande liberazione. Ci liberava, tutti, dall’intelligenza e dalla riflessione. Ci liberava da quella faticosa, incessante necessità di pensare. E a pensare, per giunta, secondo logica".

Dati gli esami di maturità al liceo classico e in attesa di iscrivermi all’università, risposi a un annuncio sul giornale e, ricevuta risposta positiva, me ne andai per un paio di mesi al Lido di Venezia: non come turista, bensì come aiuto del concierge di un albergo molto frequentato da gente di cinema, sovraffollato in occasione del famoso festival e dunque bisognoso di aiuti temporanei. Fui accettato perché me la cavavo con qualche lingua, cosa indispensabile visto che gli ospiti erano quasi tutti stranieri. Tra le prime cose che mi insegnò il portiere titolare fu di porre una domanda ai clienti giunti per la prima volta: "Vegeterian?". Se la risposta era positiva, occorreva aggiungere: “ Stricty vegeterian? “ che sarebbe poi il mangiare “vegano”, come si dice ora. E questo per dare istruzioni alla cucina, visto che l’albergo era fornito di ristorante. Quando cominciai a porre la domanda, restai molto sorpreso dalla quantità di “Yes “ che ricevevo in risposta, mentre da noi il vegetarianesimo sembrava una bizzarria di qualche eccentrico e quello radicale, vegano, era sconosciuto, tanto che non ne conoscevamo nemmeno il nome.

Notai che, soprattutto tra gli stricty vegeterian, i giacobini dell’alimentazione, c’era qualche inglese, ma la gran parte veniva dalla Germania e dai Paesi scandinavi. Cioè dalle terre che per secoli erano stata luterane e lo erano ancora, almeno ufficialmente.
Ben lontano com’ero allora da preoccupazioni religiose, non mi ero accorto del paradosso. Solo in seguito scopersi le maledizioni scagliate da Lutero contro quella vita monastica in cui aveva vissuto per tanti anni. Tra le cose che più lo indignavano c’erano quella che nel linguaggio dei religiosi erano dette “ penitenze “: i digiuni e, soprattutto, la dieta vegetariana. Dieta che era, purtroppo per lui, la pratica quotidiana, nel suo convento di Augustiniani della stretta osservanza. Liberatosi dal saio, definiva “ disumana “ l’astensione dalle carni non solo per i frati, ma anche per ciascun credente. Non appena ebbe in mano il potere per creare una nuova Chiesa, tra le prime misure ci fu il cancellare dal calendario i periodi quaresimali di digiuno e l’astensione, il venerdì, dalle carni. Così come sposò una monaca per, come diceva "fare un dispetto al diavolo che ha inventato la castità e l’ha imposta ai frati per mezzo del suo strumento, il papa romano", così mangiava wurstel ed arrosti a tutto spiano e nella Settimana Santa si faceva servire grandi bistecche.
Beh, non è curioso che il vegetarianesimo sia nato e sia diventato ormai di massa proprio nelle terre in cui mangiare sempre e comunque carne era, se non un precetto, una esortazione religiosa? Paesi in cui, tra l’altro, si è riscoperto pure il digiuno, come mezzo salutare ma anche estetico: quel digiuno anche tanto odiato dal frate sàssone?

A proposito di tedeschi, trovo in Friederich Hoelderlin – un poeta, non un teologo, un protestante, non un cattolico – una riflessione sorprendente: "L’impronta del divino è nell’eucaristia cattolica: sapere racchiudere il Massimo (Dio stesso) nel minimo, nel peso irrilevante dell’ostia consacrata".
Un altro poeta, stavolta francese, Charles Péguy che scriveva al principio del secolo scorso, ma già precorreva i tempi: "Il modernismo, con la sua ossessione del dialogo, pretende che noi rinunciamo a credere per non offendere l’interlocutore che non crede".
E ora un americano che scriveva in francese, un convertito dal protestantesimo al cattolicesimo, Julien Green, a un suo interlocutore agnostico: "Tu chiedi dei miracoli. Ma che altro è la tua indifferenza alla religione, cioè a ciò che è decisivo per la tua vita e per la tua eternità?".

Per un paio di mesi le elezioni negli Stati Uniti ci hanno ossessionati, con i media che non sembravano saper parlare d’altro. Mi è venuto in mente (ne fui testimone consapevole, compivo giusto vent’anni) quando, nel 1961, entrò nella White House il primo presidente “cattolico”, John Fitzgerald Kennedy. “Cattolico”, dicevamo: almeno ufficialmente perché, pur lasciando a Dio ogni giudizio, da quel che si vide durante il suo breve governo, il “ cattolicesimo “ kennediano fu ben poco testimoniato sia dalla vita privata che dagli atti di governo. Tra l’altro, la “leggenda rosa” creatagli attorno ha rimosso una sua mossa che costò lacrime, sangue e, alla fine, umiliazione per il suo Paese. Si dimentica, infatti che fu per decisione di Kennedy che cominciò la guerra in Vietnam, con ciò che questo ha significato: la prima sconfitta delle forze armate degli Stati Uniti. Ma si dimentica anche che a quella guerra, tanto sanguinosa quanto insensata, fu messo fine da quel Richard Nixon attorno al quale – al contrario – i media costruirono una “ leggenda nera “. Per tornare all’elezione del 1961.

Il fatto che il candidato Kennedy avesse l’etichetta di cattolico, scatenò una reazione di impressionante violenza , dove gli Stati Uniti mostrarono che la loro “ tolleranza “ non comprendeva i battezzati nella Chiesa romana. Fu un’ondata di odio, per la quale furono messe a disposizione somme ingenti, versate da magnati per i quali la “loro” America non poteva essere che protestante. Milioni di opuscoli per diffamare il cattolicesimo, milioni di lettere personali inviate agli elettori, migliaia di spot radiofonici e televisivi. L’isterismo fu tale che il reverendo Harvey Springer (un pastore protestante notissimo per la sue rubriche sui media e che aveva come nome di battaglia “ Il cowboy di Dio delle Montagne Rocciose “) giunse a chiedere pubblicamente che i cattolici fossero espulsi dagli Usa, fondati dai Padri Pellegrini, apostoli della Riforma.

E’ curioso che, pur partendo da queste premesse, Kennedy sia poi divenuto tanto popolare. Ma è accertato che questa svolta fu dovuta ai media, per i quali era una manna un Presidente giovane e bello, con grandi sorrisi degni di Hollywood, con una moglie e con dei figli altrettanto belli e con slogan che titillavano l’orgoglio nazionalista come quello della "nuova frontiera per gli Stati Uniti". Comunque, l’ostilità degli ambienti dell’integrismo protestante rimase. Sull’omicido di Dallas si sono avanzate milioni di ipotesi sui mandanti ma, stranamente, si è poco parlato di una “ pista religiosa “ che fu considerata dai servizi segreti tra quelle più meritevoli di indagini. La pista cioè, che sospettava un’iniziativa omicida dei fanatici della Riforma, che non sopportavano un “ papista “ al vertice dello Stato.

Un piccolo promemoria per chi non ha vissuto gli anni Settanta, forse i peggiori in quanto in essi si tentò – ovviamente con risultati disastrosi –di mettere in pratica le teorie del Sessantotto. Si ebbe modo, così, di avare conferma del detto del realista: chi vuol creare il paradiso in terra, come risultato sempre provoca l’inferno.
Quegli anni furono anche quelli di Franco Basaglia, lo psichiatra il cui nome suona funesto per migliaia di famiglie italiane, ma che allora fu acclamato come il non plus ultra del progressismo sociale. Era certamente di buona volontà e in buona fede: al contatto, come psichiatra, con gli ospiti dei manicomi si rese conto (del resto giustamente) che le cose andavano cambiate, in quella sorta di lager. Ma, allora, chi non si ispirava al marxismo era marchiato come un fascista. Comunque, questo psichiatra comunista lo era davvero: tra l’altro, fu tra gli intellettuali che firmarono il malfamato appello pubblicato su L’espresso in cui si dava dell’assassino al commissario Calabresi. Un documento ripugnante che fu una condanna a morte per quel poliziotto, uomo di un cristianesimo vissuto con convinzione e coerenza di vita. Basaglia elaborò, così, un metodo tutto teorico basato sullo slogan: la società fa impazzire ma la società – quella ovviamente anticapitalista – può far guarire. Prigioniero dell’estremismo cui lo portarono gli applausi di intellettuali e politici, giunse a predicare che la pazzia non esiste: c’è sempre e soltanto gente che, trattata con comportamenti sociali adeguati, ritorna “ normale “. Anzi, no: la normalità stessa, diceva, non esiste. Visto il clima politico del tempi, si arrivò nel 1978 all’abolizione dei manicomi con una legge che scaricava sulle famiglie il peso di figli, mariti, mogli, fatti uscire dalle case dove erano ricoverati e affidati ai parenti. Il manicomio, dicevano Basaglia e i suoi, è un ergastolo, dal quale tutti devono essere liberati: ma, in pratica, lo furono a spese degli sventurati consanguinei, visto che le sofisticate “strutture d’appoggio“ previste non furono realizzate o realizzate con grandi ritardi e carenze di personale adeguato e consapevole.

Il solito fallimento delle utopie, allorché si pretende di realizzarle. Se qui ne parliamo è perché, tra i miei ritagli, trovo un articolo di Basaglia proprio del 1978, l’anno dell’approvazione della sua legge. Mi sembra utile riportarne un brano per mostrare sino a che punto potesse giungere la perversione ideologica. Scriveva, dunque, lo psichiatra, “democratico“: "In Cina, la stragrande maggioranze dei cosiddetti “ matti “ è curata politicamente, con il pensiero di Mao. Glielo si legge o glielo si fa leggere. Una soluzione che può sembrare semplicistica a un occidentale ma alla quale va riconosciuto un grande vantaggio: quello di trattare i malati come tutti gli altri, dato che l’organizzazione cinese è un enorme sistema politico-pedagogico centrato sull’educazione del popolo".
No comment, ovviamente.

Monaco di Baviera, arcidiocesi con quasi due milioni di battezzati cattolici. Seminaristi nel 1959: 390. Seminaristi nel 2015: O . Ma sì, proprio zero. Neanche uno! L’ufficio di statistica diocesano – la Chiesa tedesca è tanto ricca di soldi e di organizzazione quanto è povera di prospettiva spirituale e di ortodossa – ha pubblicato un documento con un raffronto tra il 1959 (l’anno in cui Giovanni XXIII annunciò l’indizione di un concilio) e il 2015. Sono cifre impietose e impressionanti. Sacerdoti: 7.000 contro i 2015 attuali. Chiese: 3139 contro 1.200. Cattolici dichiarati nel 1959 quando la Baviera era considerata uno storico baluardo della fede: ben 99,8 per cento, dunque, in pratica, la totalità. Nel 2015: 48 per cento.
Il documento clericale informa che la metà delle chiese ancora aperte e attive chiuderà entro cinque anni. Il commento della Curia diocesana: "Se questo trend al ribasso continuerà nelle stesse proporzioni, la sopravvivenza della diocesi potrà essere garantita solo per i prossimi dieci anni". Ecclesia fuit.

La diocesi è governata da dieci anni da quel cardinal Reinhard Marx che è catalogato tra i vescovi “progressisti e che nel 2013 è stato nominato da papa Bergoglio membro del gruppo di cardinali chiamati a consigliarlo nel governo della Chiesa universale. Non siamo così sciocchi da ignorare che lo stato preagonico della Chiesa di Monaco si inquadra nella crisi che sappiamo. Va però detto, con sincerità, che ci chiediamo quali “ consigli “ per un rilancio potrà dare un cardinale Arcivescovo che nella sua diocesi, dopo dieci anni come vescovo, non ha neppure un seminarista e di cui egli stesso diagnostica la scomparsa a breve.

Tra gli appunti delle letture, trovo un piccolo testo di Joseph de Maistre che mi pare degno di riflessione. Eccolo: "Se Gesù Cristo non fosse Dio, Maometto dovrebbe considerarsi il maggiore apostolo e benefattore del genere umano, perché avrebbe strappato l’umanità dalla idolatria degli idoli. Egli avrebbe portato l’umanità a quella purezza del Dio unico annunciata sì dagli ebrei ma che soltanto l’islam avrebbe diffuso alla grande in ogni continente". Chissà se quegli occidentali che combattono il cristianesimo si rendono conto che abbassare questo significa innalzare al più alto livello la religione di cui Muhammad fu profeta e che ora li terrorizza?

Per finire, giusto al proposito. Vedo le previsioni dell’agenzia americana più quotata in sociologia religiosa. Ecco la situazione: i musulmani nel mondo sono un miliardo e seicento milioni, in continuo aumento. Almeno il 20 per cento di loro è radicale, legge alla lettera le parole del Corano coi suoi inviti a sterminare i miscredenti. Questo significa tra i 300 e i 400 milioni di coloro che noi chiamiamo “ terroristi “ e che per loro sono invece “gloriosi martiri“. Detto con un po’ di egoismo: ci sono buoni motivi, oggi, per rallegrarsi di essere vecchi e per compiangere il futuro dei giovani che non fanno parte dell’ Umma, la comunità maomettana.














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