di Peppino Zola
24-01-2016
Caro direttore,
vorrei comunicarti le ragioni per le quali il 30 gennaio parteciperò con convinzione a Roma al Family day, promosso dal comitato “Difendiamo i nostri figli”. Sono stato educato, infatti, a darmi sempre le ragioni di ciò che faccio, verificandole con ciò che mi viene proposto. Ti premetto il contesto nel quale si pone la mia decisione, che prendo con piena responsabilità personale.
Nel discorso fatto alla Cei lo scorso maggio, papa Francesco, dopo aver invitato tutti ad andare contro corrente ed a difendersi «dalle colonizzazioni ideologiche che tolgono l’identità e la dignità umana», ha precisato che «i laici che hanno una formazione cristiana autentica, non dovrebbero avere bisogno del vescovo-pilota o del monsignore-pilota o di un input clericale per assumere le proprie responsabilità a tutti i livelli, da quello politico a quello sociale, da quello economico a quello legislativo». Ed il documento Apostolicam auctositatem del Concilio Vaticano II afferma che «i laici devono assumere il rinnovamento dell’ordine temporale come compito proprio e in esso…operare direttamente e in modo concreto» come cittadini e che «dappertutto e in ogni cosa devono cercare la giustizia del regno di Dio».
E allora, come fedele laico, in totale comunione con il Papa e con ogni mia autorità, ritengo doveroso assumermi le mie responsabilità. Del resto, mi sento confortato, in questa mia decisione, dalle stesse dichiarazioni di papa Francesco, che in queste ore ha raccomandato di non confondere la famiglia autentica con altre forme di unione, dalle ripetute affermazioni del cardinale Bagnasco, presidente della Cei, e da un importantissimo documento, che rischia di essere dimenticato. Si tratta delle “Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali” redatto dall’allora cardinale Ratzinger, approvato da san Giovanni Paolo II il 28 marzo 2003 e pubblicato il 3 giugno 2003 (è un documento di assoluta attualità e sembra fatto apposta per giudicare la situazione attuale). Detto questo, ti espongo, con molta trasparenza, i motivi che mi spingono ad andare a Roma e che ti enumero in modo sintetico. Essi tengono conto della complessità della mia vita e sono portati a unità dall’esperienza di appartenenza alla Chiesa.
1) Come cristiano, vorrei collaborare, anche pubblicamente, a testimoniare e a difendere la dignità del pensiero e dell’esperienza ultramillenaria della Chiesa, con riferimento alla verità circa la persona, la famiglia e il diritto naturale. Sono convinto che questo è il modo migliore e più efficace per operare per il bene comune. 2) Come cittadino, desidero ribadire la necessità di sostenere e difendere l’istituzione “famiglia”, madre di tutte le istituzioni. 3) Come avvocato, voglio riaffermare che il ddl Cirinnà è assolutamente anticostituzionale, perché contrasta in modo evidente con l’articolo 29 della nostra Costituzione.
4) Come marito, vorrei testimoniare la bellezza e la positività dell’esperienza di famiglia, che dura da quasi 49 anni. 5) Come nonno, pensando ai miei 7 nipoti, desidero riaffermare che non si può progredire senza partire da ciò che ci ha insegnato la tradizione. 6) Come uomo libero, voglio fortemente esortare tutti, anche con la mia presenza, a non piegarsi acriticamente al pensiero unico in atto, che tende ad omologarci per meglio possederci.
Alcune precisazioni. Tutto quanto finora scritto implica il massimo rispetto per ogni persona: non si va a Roma “contro” qualcuno, ma per affermare un positivo che dovrebbe coinvolgere anche le persone omosessuali. Si va a Roma per una testimonianza, parola che non deve, a mio parere, essere ridotta unicamente ai rapporti “personali”, come ricorda anche il documento del cardinale Ratzinger che ti ho prima citato. E la testimonianza implica anche un sacrificio: sarebbe più comodo (soprattutto alla mia età) e meno dispendioso rimanere a casa. Ma anche il metodo della testimonianza deve essere adeguato all’oggetto di cui si tratta: in questo caso si tratta di una legge che sconvolge una tradizione e la “piazza” mi sembra, quindi, adeguata, anche perché non contraddice la testimonianza di carattere privato e personale.
Il popolo che va a Roma deve esprimere con allegria, ma anche con precisione, il proprio punto di vista, senza preoccupazioni direttamente politiche. Il popolo dica ciò che pensa. I politici facciano con rigore ciò che spetta a loro. A ciascuno il suo mestiere. E a proposito di politici, continuo a non capire la fretta che Renzi ha di far approvare un ddl incostituzionale. Ma perché? E a chi obbedisce?
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