Redazione UCCR
Qualche
tempo fa abbiamo riflettuto sui tanti non cattolici e non cristiani,
orgogliosamente “laici” che, tuttavia, non rinunciano a guardare con ammirazione
l’esperienza cristiana e la figura di Gesù Cristo.
Un esempio abbastanza noto è quello di
Corrado Augias: su 100 interventi, 95 hanno come tema la
religione, la Chiesa cattolica, la fede o il cristianesimo. Più della metà dei
suoi libri parlano esplicitamente di tematiche religiose, in particolare
nell’ultimo uscito, “Le ultime diciotto ore di Gesù”
(Einaudi 2015), Augias vorrebbe ricostruire l’ultima parte della vita di Gesù,
utilizzando i Vangeli canonici e gli apocrifi, come il Vangelo di Giuda. Avere
come fonte storica gli apocrifi è un errore da principiante, commesso ad esempio da Vito Mancuso. Dopo gli
enormi scivoloni sulla storicità del cristianesimo presenti nel libro scritto
con Mauro Pesce, “Inchiesta su Gesù”, questa volta Augias ha ammesso giustamente: «Questo libro è un
prodotto una storia di fantasia».
Ignorando volutamente l’aspetto teologico del
Nuovo Testamento, il noto giornalista si è concentrato «esclusivamente sulla
vicenda umana e politica di Gesù. La storia e la vita di un uomo che ne
delineano ancor più compiutamente la grandezza, in tutta la sua
evidenza. Gesù è un uomo che ha saputo mettere in gioco la propria vita, sino a
perderla, per un ideale di rinnovamento. Ci sono sempre stati a memoria d’uomo
esempi di grande determinazione. Per citarne solo due, Gandhi e Francesco
d’Assisi. La storia di Gesù conserva quel fascino irresistibile dove radici,
storia, cultura, filosofia e religione si intersecano. Potrei azzardare e dire
che dal punto di vista letterario la vita di Gesù è certamente tra le
storie più avvincenti che io abbia mai letto».
Molto apprezzabile questa profonda posizione, ben
lontana dall’ateismo sciatto e banale di tanti suoi colleghi. Anche Papa
Francesco ha ricordato che «il mondo secolarizzato
non mostra disponibilità verso la persona di Gesù: non lo ritiene né Messia, né
Figlio di Dio. Al più lo considera un uomo illuminato. Separa,
dunque, il messaggio dal Messaggero, il dono dal Donatore». Eppure il
fascino laico verso Gesù si rivela involontariamente un grave
torto verso lo stesso Messia, nonché una posizione poco razionale.
Un grave torto perché per affermare la grandezza
di Gesù bisogna censurare il grande tema dei miracoli e degli
esorcismi, non a caso sempre accuratamente evitato poiché lo
renderebbero immediatamente ben poco apprezzabile agli occhi di tanti moderni.
Preferiscono innamorarsi di un Gesù idealizzato. Come ha ben
spiegato John P. Meier, tra i più importanti biblisti
viventi: «per quanto sconcertante possa apparire alla sensibilità moderna, è
abbastanza certo che Gesù fu tra le altre cose, un esorcista ebreo del I secolo
e probabilmente dovette non poco della sua fama e del richiamo di seguaci alla
sua pratica di esorcismi (insieme al potere di compiere altri tipi di
miracolo» (J.P. Meier, Un ebreo marginale, vol.2, Queriniana 2003, p.
486). Il prof. Graham Twelftree, docente di Nuovo Testamento e
cristianesimo primitivo presso la Regent University, ha ancor meglio precisato:
«minimizzare od emettere l’importanza degli esorcismi e dei miracoli di Gesù
durante il ministero pubblico può rendere Gesù più comprensibile o accettabile
ai moderni, ma crea un’immagine distorta del Gesù storico»
(G. Twelftree, “Gospel Perspectives. The miracles of Jesus”, JSOT 1986,
p.361).
Proprio la capacità di compiere miracoli è una
delle caratteristiche più confermate, avvalorate e certe da parte degli studiosi
del Gesù storico, ed è proprio l’aspetto più trascurato dai diversi “atei
cristiani”: «liquidare i miracoli così in fretta non rende
giustizia all’ampia attestazione dell’attività taumaturgica di Gesù
praticamente in tutti gli strati della tradizione evangelica. Le narrazioni dei
miracoli di Gesù non si fondano affatto su congetture, né su una apologetica
cristiana posteriore», come d’altra parte constaterà anche Flavio Giuseppe.
«Un Gesù completamente senza miracoli, idea propagata da pensatori
dell’Illuminismo come Thomas Jefferson, è un eccellente esempio di
rimaneggiamento e rifusione di un profeta ebreo del I secolo
per adattarlo alla sensibilità di un’elité intellettualmente moderna» (J.P.
Meier, Un ebreo marginale, vol.2, Queriniana 2003, p. 24)
Ma non è soltanto questo aspetto a stridere con
la “mitologia di Gesù” da parte di tanti scettici e razionalisti, occorre anche
ricordare che è lo stesso Gesù che sostiene di scacciare i demoni con il
dito di Dio (Mt 12,22-30//Lc 11,14-23), -detto verificato come
autentico dalla maggioranza degli studiosi- attraverso il quale «afferma che
il regno di Dio è in relazione con la sua persona in quanto il Regno si fa
presente, diviene una realtà ora, attraverso di lui» (J.P. Meier, Un
ebreo marginale, vol.2, Queriniana 2003, p. 487-521). Egli si pone di fronte
al mondo come il Figlio di Dio, tanto da chiamarlo “papà” (“abbà”),
«un appellativo sconosciuto nella tradizione giudaico-palestinese
precristiana», egli si manifesta come colui che ha introdotto nella
realtà il regno di Dio.
Com’è dunque possibile per un non credente
ritenere un “uomo illuminato” una persona che afferma
esplicitamente di essere il Figlio di Dio, mandato da Lui per
annunciare il suo Regno e introdurlo tra gli uomini? Un falegname di Nazareth
che si proclama la Via, la Verità e la Vita, che dice di compiere esorcismi e
miracoli? Certo, lo abbiamo già fatto notare, l’ammirazione verso
Gesù da parte di coloro che sono lontani dalla fede è certamente una
posizione apprezzabile. Tuttavia non crediamo sia possibile
ammirare Gesù senza credere in quello che lui diceva di
essere. Davanti a lui vediamo solo due posizioni possibili: o Gesù
mentiva spudoratamente, e quindi non può essere ammirato in quanto completamente
pazzo e fuori di sé, oppure affermava il vero. Era quello che diceva di essere.
O è un pazzo scatenato o è il figlio di Dio. Posizioni intermedie, purtroppo,
non possono esistere.
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