giovedì 27 agosto 2015
Misericordia, umiltà e confessione spiegati da Albino Luciani
ANDREA TORNIELLI
Città del Vaticano
Nel trentasettesimo anniversario dell'elezione di Giovanni Paolo I, Papa per soli 33 giorni durante l'estate del 1978, è significativo ricordare alcune sue parole sulla misericordia e sull'umiltà alla vigilia del Giubileo straordinario indetto da Francesco. Sono rimaste scolpite nella memoria quelle che Luciani pronunciò durante la sua prima udienza generale, il 6 settembre di quell'anno, quando disse: «Mi limito a raccomandare una virtù, tanto cara al Signore che ha detto: “Imparate da me che sono mite e umile di cuore”. Io rischio di dire uno sproposito, ma lo dico: il Signore tanto ama l’umiltà che a volte permette dei peccati gravi. Perché? Perché quelli che li hanno commessi questi peccati, dopo pentiti restino umili. Non vien voglia di credersi dei mezzi angeli quando si sa di aver commesso delle mancanze gravi. Il Signore ha tanto raccomandato: siate umili. Anche se avete fatto cose grandi, dite: “Siamo servi inutili”».
Due mesi prima, il 29 giugno 1978, Luciani, allora cardinale patriarca di Venezia, aveva visitato per l'ultima volta Agordo, la cittadina a pochi chilometri dal suo paese natale, dove aveva iniziato a esercitare il suo ministero sacerdotale come cappellano. Nel corso dell’omelia aveva ricordato quegli anni come i più belli della sua vita: «Ho confessato tanto, quanto ho confessato!...». Lungo tutta la sua vita, ricordano molti testimoni che gli furono vicini, il futuro Giovanni Paolo I aveva ripetuto molte volte queste parole: «Come sbagliano, come sbagliano quelli che non sperano! Giuda ha fatto un grosso sproposito, poveretto, il giorno in cui vendette Cristo per trenta denari, ma ne ha fatto uno molto più grosso quando pensò che il suo peccato fosse troppo grande per essere perdonato. Nessun peccato è troppo grande, nessuno! Nessuno più della Sua sconfinata misericordia!».
Nel gennaio 1965, quando era vescovo di Vittorio Veneto, durante un corso di esercizi spirituali per sacerdoti provenienti da varie diocesi del Veneto, Luciani aveva commentato la parabola del Buon Samaritano: «Il Buon Samaritano è Gesù, lo sfortunato viaggiatore siamo noialtri. Historia salutis vuole dire questo: il Signore corre dietro agli uomini». Il futuro Papa citava sant'Agostino: «Riconosci dunque la grazia di Colui al quale sei debitore se non hai commesso certi peccati, non c’è peccato fatto da uomo, che un altro uomo non possa commettere, se viene meno l’aiuto di Colui che ha fatto l’uomo». Così Luciani chiosava queste parole di Agostino: «Il Paradiso è un po’ alto e noi stentiamo ad arrivarci. Ebbene, noi ci troviamo nella situazione di una piccolina, di una bambinetta che ha visto le ciliege, ma non arriva a prenderle; allora bisogna che venga il papà, la prenda sotto le ascelle e dica: su, piccola, su! Allora sì, la alza e lei può prendere e mangiare le ciliege. Così siamo noi: il Paradiso ci attrae, ma per le nostre povere forze è troppo alto. Guai a noi se non viene il Signore con la sua grazia! Lo stesso sant’Agostino ripeteva spessissimo una preghiera: “Da, Domine, quod iubes, et iube quod vis”. Signore, io non ci arrivo, dammi tu di fare quello che comandi, dopo comandami quello che vuoi, ma dopo che mi hai dato la grazia di farlo. Tutto è possibile con la grazia di Dio. Ci è necessaria la Sua grazia».
Sempre in quella occasione, il vescovo di Vittorio Veneto aveva parlato della pazienza di Dio: «Perché, vedete, è Lui che vuole incontrarci, e non si perde d’animo anche se scappiamo: “Voglio provare ancora, una dieci, mille volte...”. Alcuni peccatori non lo vorrebbero a casa loro. Andrebbero perfino a prendere il fucile per farlo morire e non sentir più parlare di Lui. Non importa, Lui aspetta. Sempre. E non è mai troppo tardi. È così, è fatto così... è Padre. Un padre che aspetta sulla porta. Che ci scorge quando ancora siamo lontano, e s’intenerisce, e correndo viene a gettarsi al nostro collo e a baciarci teneramente... Il nostro peccato allora diventa quasi un gioiello che gli possiamo regalare per procurargli la consolazione di perdonare... Si fa i signori, quando si regalano gioielli, e non è sconfitta, ma gioiosa vittoria lasciar vincere a Dio!».
Quanto al modello di confessore al quale si ispirava, è nota la venerazione di Luciani per padre Leopoldo Mandic, oggi santo, il frate cappuccino morto nel 1942, dal quale lui stesso, seminarista, si era confessato. Il 30 maggio 1976, il cardinale patriarca di Venezia aveva celebrato messa nella chiesa dei cappuccini a Padova, accanto alla celletta-confessionale del piccolo frate proclamato beato pochi giorni prima. «Ecco - aveva detto durante l'omelia - peccatori siamo tutti, lo sapeva benissimo il padre Leopoldo. Bisogna prendere atto di questa nostra triste realtà. Nessuno può a lungo evitare le mancanze piccole o grandi. “Però”, come diceva san Francesco di Sales, “se tu hai l’asinello, e per strada ti casca sul selciato, cosa devi fare? Mica vai là col bastone a spianargli le costole, poveretto, è già abbastanza sfortunato. Bisogna che tu lo prenda per la cavezza e dica: ‘Su, riprendiamo la strada. Adesso riprendiamo il cammino, faremo più attenzione un’altra volta’”. Questo è il sistema e padre Leopoldo questo sistema l’ha applicato in pieno. Un sacerdote, mio amico, che andava a confessarsi da lui, ha detto: “Padre, lei è troppo largo. Io mi confesso volentieri da lei, ma mi pare che sia troppo largo”. E padre Leopoldo: “Ma chi è stato largo, figlio mio? È stato il Signore a essere largo; mica io sono morto per i peccati, è il Signore che è morto per i peccati. Più largo di così con il ladrone, con gli altri come poteva essere!”».
Vatican Insider, 26/08/2015
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