Sempre più distanti tra loro. La narrazione pubblica continua a dipingere il papa come un rivoluzionario. Ma i fatti provano il contrario
di Sandro Magister
ROMA, 15 maggio 2015 – Di papa Francesco ce ne sono ormai due e sempre più distanti tra loro: il Francesco dei media e quello vero, reale.
Il primo è arcinoto ed è andato in onda fin dalla sua prima apparizione sulla loggia della basilica di San Pietro.
È il racconto del papa che rivoluzione la Chiesa, che depone le chiavi del legare e del sciogliere, che non condanna ma solo perdona, anzi, nemmeno più giudica, che lava i piedi alla carcerata musulmana e al transessuale, che abbandona il palazzo per tuffarsi nelle periferie, che apre i cantieri su tutto, sui divorziati risposati come sui denari del Vaticano, che chiude le dogane del dogma e spalanca le porte della misericordia. Un papa amico del mondo, di cui già si magnifica l'imminente enciclica sullo "sviluppo sostenibile" prima ancora di vedervi cosa ci sarà scritto.
In effetti c'è parecchio, nelle parole e nei gesti di Jorge Mario Bergoglio, che si presta a questa narrazione.
Il Francesco dei media è un po' anche creazione sua, geniale, che nel volgere di un mattino ha miracolosamente capovolto l'immagine della Chiesa cattolica da opulenta e decadente a "povera e per i poveri".
Ma se appena si tocca con mano che cosa ha portato davvero di nuovo il pontificato di Francesco, la musica cambia.
La vecchia curia, a ragione o a torto così esecrata, è ancora lì tutta intera. Niente è stato smantellato o sostituito. Le novità sono tutte un di più: altri dicasteri, altri uffici, altre spese. I diplomatici di carriera, che il Concilio Vaticano II quasi stava per abolire, sono più al potere che mai, anche dove ci si aspetterebbe di trovare dei "pastori": come alla testa del sinodo dei vescovi o della congregazione per il clero. Per non dire dell'"inner circle" a contatto diretto col papa, privo di ruoli definiti ma influentissimo e con penetranti ramificazioni nei media.
Poi ci sono le questioni scottanti, che appassionano e dividono molto di più l'opinione pubblica. Il divorzio, l'omosessualità.
Papa Francesco ha voluto che se ne discutesse a viso aperto e lui per primo l'ha fatto, con poche, studiate, efficacissime battute, come quel "Chi sono io per giudicare?" che è diventato il marchio identificativo del suo pontificato, dentro e fuori la Chiesa.
Per mesi e mesi, tra le due estati del suo primo e secondo anno da papa, Bergoglio ha dato spazio e visibilità agli uomini e alle correnti favorevoli a una riforma della pastorale della famiglia e della morale sessuale.
Ma quando, nel sinodo dello scorso ottobre, ha verificato che tra i vescovi le resistenze a questa riforma erano molto più forti ed estese del previsto, ha corretto il tiro e da lì in poi non ha più detto una sola parola di sostegno ai novatori. Anzi, ha ripreso a martellare sui temi controversi, aborto, divorzio, omosessualità, contraccezione, senza più staccarsi di un millimetro dal rigido insegnamento dei suoi predecessori Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.
Da ottobre a oggi, Francesco è intervenuto su tali questioni non meno di quaranta volte, attaccando pesantemente soprattutto l'ideologia del "gender" e la sua ambizione di colonizzare il mondo, nonostante, ha detto, sia "espressione di una frustrazione e di una rassegnazione che mira a cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa". Passando dalle parole ai fatti, ha negato il "placet" al nuovo ambasciatore di Francia, perché omosessuale.
Anche sul divorzio Francesco si è irrigidito parecchio. "Con questo non si risolve nulla", ha detto recentemente riguardo all'idea di dare la comunione ai divorziati risposati, tanto meno, ha aggiunto, se loro la pretendono, perché la comunione "non è una coccarda, una onorificenza, no".
Sa che in questa materia le aspettative sono altissime e sa di averle lui stesso alimentate. Ma ne ha preso le distanze. "Aspettative smisurate", le definisce ora, sapendo di non poterle soddisfare. Perché dopo aver tanto annunciato un governo della Chiesa più collegiale, del papa con i vescovi insieme, è giocoforza che Francesco si allinei al volere dei vescovi, in grande maggioranza conservatori, e rinunci a imporre una riforma respinta dai più.
Nonostante tutto, i media continuano a vendere il racconto del papa "rivoluzionario", ma il vero Francesco ne è sempre più lontano.
http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351047
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