E’ nota l’ammirazione che i modernisti hanno per Lutero. Invece del Savonarola non parlano o lo fanno un precursore di Lutero. E’ noto come essi disprezzino l’autorità del Papa e del Magistero della Chiesa. La loro ammirazione per Lutero è giustificata anche dal fatto che egli si ribellò all’autorità della Chiesa. Non si può dire dunque che i modernisti siano degli estimatori dell’obbedienza.
Per questo, il caso Savonarola li mette a disagio, in quanto egli ebbe pieno rispetto per il carisma petrino e la sua ortodossia è ineccepibile, mentre essi preferiscono non entrare nella questione dell’obbedienza o disobbedienza al Papa, sapendo che su questo tema non possono fare da maestri.
Ma anche alcuni cattolici, sinceri ma timidi e poco illuminati, decisi avversari di Lutero, si sentono a disagio nel trattare del Savonarola, in quanto, pur non nascondendo la loro ammirazione per lui, ritengono che abbia disobbedito al Papa, sebbene non in modo così grave come Lutero. Per questo, non vedono bene l’idea vecchia di secoli, soprattutto nell’Ordine Domenicano, di promuovere la Causa di Beatificazione di Savonarola. “Siamo in tempi di contestazione al Papa – essi dicono -: non è il caso di presentare un disobbediente come modello di santità”. Il che denota, come vedremo,che non sanno cosa vuol dire obbedire al Papa.
Ai modernisti, invece, le Cause di Beatificazione non interessano, perché non credono nella santità, almeno in quella ufficialmente canonizzata dalla Chiesa. Il loro ideale di cristiano, infatti, è appunto quello del contestatore, che per loro è l’uomo di Dio, il profeta e il progressista.
Sanno benissimo, nella maggioranza, che Lutero non potrà mai essere canonizzato, salvo forse rare eccezioni, come quella di un mio Confratello, negli anni ’80, del quale non faccio il nome, che mi disse candidamente, ma poco prudentemente, che la Chiesa dovrebbe far santo Lutero. Oppure si sforzano di concepire un ideale buonista, socialista, secolaristico e demagogico di santità, promovendo delle Cause, che certamente sono cause perse.
In realtà i modernisti insistono molto sull’obbedienza, in quanto, saliti oggi ad alti gradi di autorità, sono molto preoccupati che si obbedisca a loro, anche se obbedire a loro vuol dire in pratica ostacolare la diffusione della sana dottrina, e favorire la diffusione delle eresie.
Poco importa a loro se si disobbedisce al Papa; ma a loro si deve obbedire assolutamente e al riguardo sanno produrre i più elevati discorsi mistici di “Cristo obbediente fino alla morte ed alla morte di croce”. Mettono in croce i sudditi, i quali certo possono approfittarne per farsi santi, dimenticando però che si fa santo non chi crocifigge, ma chi è crocifisso.
Il confronto fra Savonarola e Lutero circa la questione dell’obbedienza al Papa è molto istruttivo, perchè oggi come sempre è viva la questione di distinguere nel Papa il suo ministero infallibile di Successore di Pietro e maestro nella fede dagli invitabili lati umani e quindi discutibili della sua persona.
Questa distinzione è essenziale per sapere che cosa si deve intendere per obbedienza al Papa e quali sono le condizioni della vera obbedienza e per conseguenza della disobbedienza. Ciò ci farà comprendere che esiste un’apparente disobbedienza che è obbedienza e, per converso, un’obbedienza ipocrita che nasconde una reale disobbedienza.
Savonarola infatti può sembrare ad alcuni un disobbediente, e invece studi storici recenti[1] hanno definitivamente dimostrato dopo secoli di discussioni e di scrupoli esagerati dei benpensanti o di speciosi pretesti dei suoi nemici, che non solo egli è stato un obbediente, ma addirittura modello di obbedienza al Papa, al Papa, s’intende, in quanto Papa, nel che sta la pratica cattolica dell’obbedienza, tanto che voci sempre più autorevoli auspicano che sia elevato agli onori degli altari.
Così nessuno può trovare nel Martire domenicano alcun pretesto per disobbedire al Papa, mentre nel contempo trova la meravigliosa parresia del figlio che, stando al suo posto di figlio, richiama giustamente il padre al suo dovere di padre, aiutando così il padre ad essere padre.
Invece Lutero, troppo impressionato dalla corruzione del papato e incapace di vedere nel Papa il Vicario di Cristo, pur praticando una giusta critica al Papa nei suoi aspetti umani, ha però finito per perdere la fede nell’infallibilità pontificia. Tuttavia la Chiesa, che è magnanima, con l’avvio delle attività ecumeniche, riconosce oggi ben volentieri i lati positivi della “riforma” luterana e la validità delle critiche che Lutero fece al papato del suo tempo nei suoi aspetti umani, quindi fallibili e discutibili.
Occorre invece sempre guardarsi da coloro, i quali idolatrano o esaltano eccessivamente, magari fraintendendo, certi aspetti semplicemente umani del Papa, mentre sotto sotto o anche apertamente disobbediscono nel campo della morale o della dottrina della fede, dove si misura la vera obbedienza al Vicario di Cristo.
Sono questi i modernisti. Meglio invece sarebbe una critica schietta al Papa laddove può essere criticabile, salvando la sua autorità apostolica, come facevano una S.Caterina da Siena o un S.Bernardo o un S.Pier Damiani, piuttosto che l’atteggiamento adulatorio di coloro che vorrebbero tirare il Papa dalla loro e trovare in lui l’avallo della loro mentalità e dei loro costumi mondani.
Ma che cosa è in generale l’obbedienza? L’obbedienza è quella virtù, parte della giustizia, detta legale, per la quale si esegue volentieri un comando giusto del superiore. Al dovere dell’obbedienza nel suddito, corrisponde, nel superiore, il dovere di impartire giusti comandi, parte, anche questa, della giustizia, detta regnativa o dirigenziale. Nel linguaggio ecclesiastico, preso dal Vangelo, si usa parlare di prudenza o saggezza pastorale. Nell’ordinamento giudiziario, abbiamo la giustizia legislativa, per la quale il legislatore emana buone leggi per la promozione del bene comune.
L’obbedienza è motivata in radice dall’umiltà, che è quella virtù per la quale siamo disponibili o propensi ad accogliere il vero e il bene, che ci viene proposto da un’autorità e a farlo nostro. L’umiltà ci dice dunque che è giusto e doveroso obbedire, obbedire che è altresì motivato immediatamente dalla fiducia nel superiore che ci comanda.
Quindi, l’umiltà ci porta ad avere fiducia nell’autorevolezza e competenza del superiore. E’ impossibile e stolto obbedire a chi non ci ispira fiducia, perché è una fondata fiducia, che ci porta alla certezza di far bene obbedendo. Questa fiducia, a sua volta, ci spinge ad obbedire, sapendo che è nostro bene, anche se non possiamo avere di ciò l’evidenza, ma compiamo un atto di fede.
Se il comando non è giusto, non vale e non deve essere obbedito. I comandi del superiore sono giusti e devono essere obbediti, quando il superiore inferiore obbedisce a un superiore maggiore o trasmette, eventualmente determinandoli, gli ordini superiori, fino a giungere all’autorità suprema, che è Dio.
Come l’obbedienza è un atto di virtù che mette in gioco l’umiltà, la fede e la giustizia, così la disobbedienza è un peccato dettato dalla superbia, dall’incredulità e dall’ingiustizia. Nel caso in cui si abbia ragione di sottrarsi ad un ordine ingiusto, si potrebbe parlare di disobbedienza giusta; ma è meglio riservare la parola “disobbedienza” alla disobbedienza come peccato, ossia alla volontaria ribellione ad un ordine giusto; mentre è meglio parlare di “resistenza” più che di disobbedienza giusta, nel caso ci si sottragga ad un ordine ingiusto, che è una specie di violenza o tirannide, dalla quale dobbiamo difenderci; per cui, se con l’obbedire permettessimo di subire violenza, peccheremmo contro noi stessi, avendo il dovere di rispettare la nostra dignità e di non usare violenza contro noi stessi
Infatti il disobbedire ad un ordine ingiusto è detto giustamente “resistenza”; comporta una forma di autodifesa dal danno che si riceverebbe obbedendo, in quanto l’ordine ingiusto spinge al peccato o proibisce un bene necessario, il che è un danno evidente.
Nel caso che il superiore ci impartisca un ordine ingiusto, egli da amico che vuole il nostro bene – perchè si suppone che l’ordine sia benefico -, diventa nemico, che vuole il nostro male e vuole indurci al male. Ora, bisogna difendersi da chiunque voglia danneggiarci o voglia il nostro male o che commettiamo il male.
Il Savonarola non tenne conto della scomunica del Papa, perchè era ingiusta, surrettizia e quindi invalida, basata su informazioni calunniose e false sul conto di Savonarola, alle quali il Papa aveva imprudentemente creduto. Egli stesso, quando però era ormai troppo tardi, essendo il Savonarola stato giustiziato, ebbe a dire che quella scomunica era “al di fuori delle sue intenzioni” (praeter mentem suam) e, se avesse saputo la verità, non l’avrebbe irrogata e che anzi avrebbe volentieri fatto santo il Savonarola[2].
Resta tuttavia la grave imprudenza di Alessandro VI, considerando l’altissimo ufficio di Sommo Pontefice, che tutto sommato svolse dignitosamente e legittimamente dando testimonianza del carisma dell’infallibilità. Egli, comunque, avrebbe dovuto vagliare meglio la credibilità di coloro che lo informavano sul Savonarola, persone evidentemente malevole. Ciò induce a pensare che il Papa stesso si fosse lasciato prendere da un’ingiusta animosità nei confronti del Frate.
Noi infatti, se siamo prevenuti contro qualcuno, diamo retta facilmente alle calunnie che ci vengono raccontate sul suo conto. Forse infatti che il Papa, se fosse stato prudente e sereno nell’animo, non avrebbe avuto informatori obbiettivi? Certamente! E sarebbero stati moltissimi! Ma non li volle ascoltare.
E questa animosità è facilmente spiegabile con la condotta gravemente viziosa ed immorale di Alessandro VI, ambizioso, volubile, prepotente e schiavo delle passioni, più preso da uno sfrenato desiderio di dominio temporale e da una volontà di render potente la sua famiglia, che di curare con giustizia gli interessi della religione e di sovvenire ai bisogni della Chiesa facendola avanzare sul cammino della santità.
Restava il fatto che il Papa fruiva del carisma di Pietro come maestro della fede e pastore del gregge di Cristo, per cui il Savonarola, da buon credente, non gli negò mai queste funzioni sacre, ne ebbe il massimo rispetto, e gli fu sempre obbediente sotto questo aspetto, nè mai il Papa ebbe ragione valida di redarguirlo in materia dottrinale e morale, se non con vaghe, perfide e false accuse, non dimostrate, suggeritegli dai nemici del Domenicano.
Anche quando il Profeta fiorentino ebbe parole di aspro rimprovero per i costumi corrotti del Papa, minacciando imminenti castighi, come era giusto che facesse, fruendo di santo ardimento e di zelo per la Chiesa, non ebbe mai una parola, che non esprimesse la più pura ortodossia ed obbedienza al Magistero della Chiesa, in toni ed accenti di alta sapienza, con esortazioni e direttive morali di estrema efficacia, fino a raggiungere le vette della mistica, che culminano nell’estremo sacrificio del martirio.
Quanta differenza da Lutero! Certamente Leone X non era neppure lui un modello di santità e Lutero non aveva tutti i torti nello scagliarsi contro lo spirito neopagano e la corruzione del papato e della corte romana, accusandola di avidità di ricchezze e di potere a danno dei Tedeschi.
Quanta ragione e perspicacia, degne del Successore di Pietro, ebbe però Papa Leone a condannare gli errori di Lutero e a scomunicarlo! Scomunica valida, che avrebbe ottenuto le sue finalità salutari, se i provvedimenti pontifici non avessero incontrato in Germania un episcopato latitante, vaste zone delle popolazioni già pronte per la ribellione e la perfidia dei prìncipi bramosi di impossessarsi dei beni della Chiesa col pretesto della “riforma”.
Ciò non significa che le attività ecumeniche promosse dal Concilio Vaticano II non siano state ispirate dallo Spirito Santo e non diano bene a sperare che il fraterno confronto ricostruisca la concordia perduta edificando una Chiesa, nella quale maggiormente risplenda la luce di Cristo e l’ardore della carità.
Col diffondersi del protestantesimo, tuttavia, come è noto, nacquero le premesse per una falsa Chiesa e per il sorgere di falsi pastori, non più dipendenti da Roma, ma dal prestigio dei teologi, dei profeti e dei visionari del momento. Il luteranesimo, che era nato sotto il segno della “libertà del cristiano” dal giogo di Roma, si è organizzato in una comunità, coi propri “pastori”, che esigono un’obbedienza indiscreta, degna alla fine di un regime tirannico, cosa che poi ha dato origine in seno alla Chiesa cattolica al modernismo. Si sono così invertite le sorti.
Se prima erano gli ortodossi che perseguivano gli eretici, anche se forse con troppa severità, ma almeno su di un fondamento giuridico, adesso sono gli eretici che perseguitano gli ortodossi, senza motivi legali e in barba alla S.Sede, pretendendo che si obbedisca a loro. Un’obbedienza sbagliata o meglio una costrizione, che crea vittime innocenti, che vogliono solo servire la verità: un’obbedienza forzata, dalla quale speriamo che lo Spirito Santo presto ci liberi. Qui vale veramente il detto di S.Pietro: “E’ meglio obbedire a Dio che agli uomini”.
[1] Soprattutto il Luotto, il Ridolfi, l’Accademia d’Oropa, il Dezani, lo Scaltriti e il d’Amato.
[2] Queste notizie sono reperibili nei citati Autori.
Libertà e persona 9 mag '15
Per questo, il caso Savonarola li mette a disagio, in quanto egli ebbe pieno rispetto per il carisma petrino e la sua ortodossia è ineccepibile, mentre essi preferiscono non entrare nella questione dell’obbedienza o disobbedienza al Papa, sapendo che su questo tema non possono fare da maestri.
Ma anche alcuni cattolici, sinceri ma timidi e poco illuminati, decisi avversari di Lutero, si sentono a disagio nel trattare del Savonarola, in quanto, pur non nascondendo la loro ammirazione per lui, ritengono che abbia disobbedito al Papa, sebbene non in modo così grave come Lutero. Per questo, non vedono bene l’idea vecchia di secoli, soprattutto nell’Ordine Domenicano, di promuovere la Causa di Beatificazione di Savonarola. “Siamo in tempi di contestazione al Papa – essi dicono -: non è il caso di presentare un disobbediente come modello di santità”. Il che denota, come vedremo,che non sanno cosa vuol dire obbedire al Papa.
Ai modernisti, invece, le Cause di Beatificazione non interessano, perché non credono nella santità, almeno in quella ufficialmente canonizzata dalla Chiesa. Il loro ideale di cristiano, infatti, è appunto quello del contestatore, che per loro è l’uomo di Dio, il profeta e il progressista.
Sanno benissimo, nella maggioranza, che Lutero non potrà mai essere canonizzato, salvo forse rare eccezioni, come quella di un mio Confratello, negli anni ’80, del quale non faccio il nome, che mi disse candidamente, ma poco prudentemente, che la Chiesa dovrebbe far santo Lutero. Oppure si sforzano di concepire un ideale buonista, socialista, secolaristico e demagogico di santità, promovendo delle Cause, che certamente sono cause perse.
In realtà i modernisti insistono molto sull’obbedienza, in quanto, saliti oggi ad alti gradi di autorità, sono molto preoccupati che si obbedisca a loro, anche se obbedire a loro vuol dire in pratica ostacolare la diffusione della sana dottrina, e favorire la diffusione delle eresie.
Poco importa a loro se si disobbedisce al Papa; ma a loro si deve obbedire assolutamente e al riguardo sanno produrre i più elevati discorsi mistici di “Cristo obbediente fino alla morte ed alla morte di croce”. Mettono in croce i sudditi, i quali certo possono approfittarne per farsi santi, dimenticando però che si fa santo non chi crocifigge, ma chi è crocifisso.
Il confronto fra Savonarola e Lutero circa la questione dell’obbedienza al Papa è molto istruttivo, perchè oggi come sempre è viva la questione di distinguere nel Papa il suo ministero infallibile di Successore di Pietro e maestro nella fede dagli invitabili lati umani e quindi discutibili della sua persona.
Questa distinzione è essenziale per sapere che cosa si deve intendere per obbedienza al Papa e quali sono le condizioni della vera obbedienza e per conseguenza della disobbedienza. Ciò ci farà comprendere che esiste un’apparente disobbedienza che è obbedienza e, per converso, un’obbedienza ipocrita che nasconde una reale disobbedienza.
Savonarola infatti può sembrare ad alcuni un disobbediente, e invece studi storici recenti[1] hanno definitivamente dimostrato dopo secoli di discussioni e di scrupoli esagerati dei benpensanti o di speciosi pretesti dei suoi nemici, che non solo egli è stato un obbediente, ma addirittura modello di obbedienza al Papa, al Papa, s’intende, in quanto Papa, nel che sta la pratica cattolica dell’obbedienza, tanto che voci sempre più autorevoli auspicano che sia elevato agli onori degli altari.
Così nessuno può trovare nel Martire domenicano alcun pretesto per disobbedire al Papa, mentre nel contempo trova la meravigliosa parresia del figlio che, stando al suo posto di figlio, richiama giustamente il padre al suo dovere di padre, aiutando così il padre ad essere padre.
Invece Lutero, troppo impressionato dalla corruzione del papato e incapace di vedere nel Papa il Vicario di Cristo, pur praticando una giusta critica al Papa nei suoi aspetti umani, ha però finito per perdere la fede nell’infallibilità pontificia. Tuttavia la Chiesa, che è magnanima, con l’avvio delle attività ecumeniche, riconosce oggi ben volentieri i lati positivi della “riforma” luterana e la validità delle critiche che Lutero fece al papato del suo tempo nei suoi aspetti umani, quindi fallibili e discutibili.
Occorre invece sempre guardarsi da coloro, i quali idolatrano o esaltano eccessivamente, magari fraintendendo, certi aspetti semplicemente umani del Papa, mentre sotto sotto o anche apertamente disobbediscono nel campo della morale o della dottrina della fede, dove si misura la vera obbedienza al Vicario di Cristo.
Sono questi i modernisti. Meglio invece sarebbe una critica schietta al Papa laddove può essere criticabile, salvando la sua autorità apostolica, come facevano una S.Caterina da Siena o un S.Bernardo o un S.Pier Damiani, piuttosto che l’atteggiamento adulatorio di coloro che vorrebbero tirare il Papa dalla loro e trovare in lui l’avallo della loro mentalità e dei loro costumi mondani.
Ma che cosa è in generale l’obbedienza? L’obbedienza è quella virtù, parte della giustizia, detta legale, per la quale si esegue volentieri un comando giusto del superiore. Al dovere dell’obbedienza nel suddito, corrisponde, nel superiore, il dovere di impartire giusti comandi, parte, anche questa, della giustizia, detta regnativa o dirigenziale. Nel linguaggio ecclesiastico, preso dal Vangelo, si usa parlare di prudenza o saggezza pastorale. Nell’ordinamento giudiziario, abbiamo la giustizia legislativa, per la quale il legislatore emana buone leggi per la promozione del bene comune.
L’obbedienza è motivata in radice dall’umiltà, che è quella virtù per la quale siamo disponibili o propensi ad accogliere il vero e il bene, che ci viene proposto da un’autorità e a farlo nostro. L’umiltà ci dice dunque che è giusto e doveroso obbedire, obbedire che è altresì motivato immediatamente dalla fiducia nel superiore che ci comanda.
Quindi, l’umiltà ci porta ad avere fiducia nell’autorevolezza e competenza del superiore. E’ impossibile e stolto obbedire a chi non ci ispira fiducia, perché è una fondata fiducia, che ci porta alla certezza di far bene obbedendo. Questa fiducia, a sua volta, ci spinge ad obbedire, sapendo che è nostro bene, anche se non possiamo avere di ciò l’evidenza, ma compiamo un atto di fede.
Se il comando non è giusto, non vale e non deve essere obbedito. I comandi del superiore sono giusti e devono essere obbediti, quando il superiore inferiore obbedisce a un superiore maggiore o trasmette, eventualmente determinandoli, gli ordini superiori, fino a giungere all’autorità suprema, che è Dio.
Come l’obbedienza è un atto di virtù che mette in gioco l’umiltà, la fede e la giustizia, così la disobbedienza è un peccato dettato dalla superbia, dall’incredulità e dall’ingiustizia. Nel caso in cui si abbia ragione di sottrarsi ad un ordine ingiusto, si potrebbe parlare di disobbedienza giusta; ma è meglio riservare la parola “disobbedienza” alla disobbedienza come peccato, ossia alla volontaria ribellione ad un ordine giusto; mentre è meglio parlare di “resistenza” più che di disobbedienza giusta, nel caso ci si sottragga ad un ordine ingiusto, che è una specie di violenza o tirannide, dalla quale dobbiamo difenderci; per cui, se con l’obbedire permettessimo di subire violenza, peccheremmo contro noi stessi, avendo il dovere di rispettare la nostra dignità e di non usare violenza contro noi stessi
Infatti il disobbedire ad un ordine ingiusto è detto giustamente “resistenza”; comporta una forma di autodifesa dal danno che si riceverebbe obbedendo, in quanto l’ordine ingiusto spinge al peccato o proibisce un bene necessario, il che è un danno evidente.
Nel caso che il superiore ci impartisca un ordine ingiusto, egli da amico che vuole il nostro bene – perchè si suppone che l’ordine sia benefico -, diventa nemico, che vuole il nostro male e vuole indurci al male. Ora, bisogna difendersi da chiunque voglia danneggiarci o voglia il nostro male o che commettiamo il male.
Il Savonarola non tenne conto della scomunica del Papa, perchè era ingiusta, surrettizia e quindi invalida, basata su informazioni calunniose e false sul conto di Savonarola, alle quali il Papa aveva imprudentemente creduto. Egli stesso, quando però era ormai troppo tardi, essendo il Savonarola stato giustiziato, ebbe a dire che quella scomunica era “al di fuori delle sue intenzioni” (praeter mentem suam) e, se avesse saputo la verità, non l’avrebbe irrogata e che anzi avrebbe volentieri fatto santo il Savonarola[2].
Resta tuttavia la grave imprudenza di Alessandro VI, considerando l’altissimo ufficio di Sommo Pontefice, che tutto sommato svolse dignitosamente e legittimamente dando testimonianza del carisma dell’infallibilità. Egli, comunque, avrebbe dovuto vagliare meglio la credibilità di coloro che lo informavano sul Savonarola, persone evidentemente malevole. Ciò induce a pensare che il Papa stesso si fosse lasciato prendere da un’ingiusta animosità nei confronti del Frate.
Noi infatti, se siamo prevenuti contro qualcuno, diamo retta facilmente alle calunnie che ci vengono raccontate sul suo conto. Forse infatti che il Papa, se fosse stato prudente e sereno nell’animo, non avrebbe avuto informatori obbiettivi? Certamente! E sarebbero stati moltissimi! Ma non li volle ascoltare.
E questa animosità è facilmente spiegabile con la condotta gravemente viziosa ed immorale di Alessandro VI, ambizioso, volubile, prepotente e schiavo delle passioni, più preso da uno sfrenato desiderio di dominio temporale e da una volontà di render potente la sua famiglia, che di curare con giustizia gli interessi della religione e di sovvenire ai bisogni della Chiesa facendola avanzare sul cammino della santità.
Restava il fatto che il Papa fruiva del carisma di Pietro come maestro della fede e pastore del gregge di Cristo, per cui il Savonarola, da buon credente, non gli negò mai queste funzioni sacre, ne ebbe il massimo rispetto, e gli fu sempre obbediente sotto questo aspetto, nè mai il Papa ebbe ragione valida di redarguirlo in materia dottrinale e morale, se non con vaghe, perfide e false accuse, non dimostrate, suggeritegli dai nemici del Domenicano.
Anche quando il Profeta fiorentino ebbe parole di aspro rimprovero per i costumi corrotti del Papa, minacciando imminenti castighi, come era giusto che facesse, fruendo di santo ardimento e di zelo per la Chiesa, non ebbe mai una parola, che non esprimesse la più pura ortodossia ed obbedienza al Magistero della Chiesa, in toni ed accenti di alta sapienza, con esortazioni e direttive morali di estrema efficacia, fino a raggiungere le vette della mistica, che culminano nell’estremo sacrificio del martirio.
Quanta differenza da Lutero! Certamente Leone X non era neppure lui un modello di santità e Lutero non aveva tutti i torti nello scagliarsi contro lo spirito neopagano e la corruzione del papato e della corte romana, accusandola di avidità di ricchezze e di potere a danno dei Tedeschi.
Quanta ragione e perspicacia, degne del Successore di Pietro, ebbe però Papa Leone a condannare gli errori di Lutero e a scomunicarlo! Scomunica valida, che avrebbe ottenuto le sue finalità salutari, se i provvedimenti pontifici non avessero incontrato in Germania un episcopato latitante, vaste zone delle popolazioni già pronte per la ribellione e la perfidia dei prìncipi bramosi di impossessarsi dei beni della Chiesa col pretesto della “riforma”.
Ciò non significa che le attività ecumeniche promosse dal Concilio Vaticano II non siano state ispirate dallo Spirito Santo e non diano bene a sperare che il fraterno confronto ricostruisca la concordia perduta edificando una Chiesa, nella quale maggiormente risplenda la luce di Cristo e l’ardore della carità.
Col diffondersi del protestantesimo, tuttavia, come è noto, nacquero le premesse per una falsa Chiesa e per il sorgere di falsi pastori, non più dipendenti da Roma, ma dal prestigio dei teologi, dei profeti e dei visionari del momento. Il luteranesimo, che era nato sotto il segno della “libertà del cristiano” dal giogo di Roma, si è organizzato in una comunità, coi propri “pastori”, che esigono un’obbedienza indiscreta, degna alla fine di un regime tirannico, cosa che poi ha dato origine in seno alla Chiesa cattolica al modernismo. Si sono così invertite le sorti.
Se prima erano gli ortodossi che perseguivano gli eretici, anche se forse con troppa severità, ma almeno su di un fondamento giuridico, adesso sono gli eretici che perseguitano gli ortodossi, senza motivi legali e in barba alla S.Sede, pretendendo che si obbedisca a loro. Un’obbedienza sbagliata o meglio una costrizione, che crea vittime innocenti, che vogliono solo servire la verità: un’obbedienza forzata, dalla quale speriamo che lo Spirito Santo presto ci liberi. Qui vale veramente il detto di S.Pietro: “E’ meglio obbedire a Dio che agli uomini”.
[1] Soprattutto il Luotto, il Ridolfi, l’Accademia d’Oropa, il Dezani, lo Scaltriti e il d’Amato.
[2] Queste notizie sono reperibili nei citati Autori.
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