Un giurista e padre di 14 figli demolisce le tesi del cardinale Kasper a favore della comunione ai divorziati risposati, non approvate dai padri sinodali ma già diventate pratica effettiva in molti luoghi
di Sandro Magister
ROMA, 19 maggio 2015 – Era stato facile profeta il cardinale sudafricano Wilfrid Napier, quando durante il sinodo dello scorso ottobre disse che ormai "il messaggio è partito e tutto quello che possiamo fare è solo tentare di limitare i danni".
Il "messaggio" era quello lanciato dai fautori di cambiamenti della pratica pastorale in materia di omosessualità e divorzio.
Tali cambiamenti, infatti, se pur non hanno raccolto lo scorso ottobre l'approvazione dei padri sinodali né la raccoglieranno verosimilmente nella prossima sessione del sinodo, hanno comunque conquistato un risalto incancellabile nel circuito dei media.
Ma soprattutto hanno conquistato una cittadinanza di fatto nella Chiesa. Se ne è parlato e se ne parla anche ai gradi più alti della gerarchia. Sono diventati materia discussa e quindi discutibile. Tra i vescovi, tra il clero, tra i teologi molti già teorizzano e operano di conseguenza.
Uno di questi, Basilio Petrà, presidente dei teologi moralisti italiani e autore di riferimento de "La Civiltà Cattolica", ha messo nero su bianco che "le cose sono cambiate" da quando il cardinale Walter Kasper – con l'avallo del papa – si espresse nel concistoro del febbraio 2014 a favore della comunione ai divorziati risposati.
Da allora – ha scritto Petrà sull'importante rivista "Il Regno" – "il magistero ha di fatto collocato nell'area del dubbio" ciò che fino ad allora era un divieto indiscutibile.
Con la conseguenza che ora "un confessore può serenamente ritenere dubbia la norma esclusiva e quindi può assolvere e ammettere alla comunione i divorziati risposati", senza nemmeno aspettare il permesso del suo vescovo, che "non è necessario".
Vista questa deriva, dallo scorso ottobre in poi papa Francesco ha anche lui "tentato di limitare i danni", per dirla con il cardinale Napier.
Non ha più detto una sola parola a sostegno delle "aperture" reclamate dai novatori.
Anzi, ha picchiato duro, con almeno quaranta interventi in meno di sette mesi, in difesa della dottrina e della prassi tradizionale della Chiesa cattolica in materia di aborto, divorzio, omosessualità, contraccezione:
> Diario Vaticano / Il passo doppio del papa argentino (17.3.2015)
> La porta chiusa di papa Francesco (11.5.2015)
Ma sui media questi interventi del papa hanno trovato pochissimo spazio. Ignorati e oscurati. Mentre nello stesso tempo i vescovi e il clero di Germania – ma non solo – continuano ad andare avanti imperterriti come se il via libera alla comunione ai divorziati risposati sia già un dato acquisito.
Nel testo che segue un giurista cattolico argentino analizza precisamente questo stato di cose a partire da ciò che l'ha innescato, la relazione del cardinale Kasper al concistoro del febbraio 2014, che sebbene non formalmente approvata dal sinodo dello scorso ottobre ha comunque ottenuto il risultato di diventare pratica effettiva, in molti luoghi.
L'autore del testo, José E. Durand Mendioroz, 59 anni, dell'arcidiocesi di Salta nel nordest dell'Argentina, di professione avvocato, insegna filosofia del diritto alla Universidad Católica dell'arcidiocesi (nella foto la basilica di San Francesco a Salta).
È padre di 14 figli. Da tre anni, con la moglie Inés e con la benedizione del suo arcivescovo Mario Antonio Cargnello anima a Salta un centro pro vita di aiuto alle donne tentate di abortire. È assessore per il nordest del dipartimento dei laici della conferenza episcopale argentina.
Il suo arcivescovo ha letto e apprezzato questa sua analisi, "come prova della libertà dei figli di Dio nel dibattito su questi temi".
Il brano qui riprodotto ne è una piccola parte. Il testo integrale apparirà tra pochi giorni in spagnolo e in inglese su "Catholic World Report", il magazine on line diretto da Carl E. Olson ed edito a San Francisco dalla Ignatius Press del gesuita Joseph Fessio:
> Catholic World Report
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KASPER E IL SINODO. IL PUNTO DI VISTA DI UN GIURISTA CATTOLICO
di José E. Durand Mendioroz
È facile constatare che la relazione finale dell'ultimo sinodo straordinario sulla famiglia ha dato generosa ospitalità alle tesi del cardinale Kasper.
Ecco il paragrafo 52:
“Si è riflettuto sulla possibilità che i divorziati e risposati accedano ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia. Diversi Padri sinodali hanno insistito a favore della disciplina attuale, in forza del rapporto costitutivo fra la partecipazione all’Eucaristia e la comunione con la Chiesa ed il suo insegnamento sul matrimonio indissolubile. Altri si sono espressi per un’accoglienza non generalizzata alla mensa eucaristica, in alcune situazioni particolari ed a condizioni ben precise, soprattutto quando si tratta di casi irreversibili e legati ad obblighi morali verso i figli che verrebbero a subire sofferenze ingiuste. L’eventuale accesso ai sacramenti dovrebbe essere preceduto da un cammino penitenziale sotto la responsabilità del vescovo diocesano....".
Questo testo si limita a constatare l'esistenza di due posizioni tra i padri sinodali riguardo alla materia in discussione.
La prima coincide con la disciplina "attuale" della Chiesa, che è costante e unanime nel magistero pontificio.
La seconda è precisamente quella promossa dal cardinale Kasper che, oltre che nuova, cerca di configurare e convalidare un'eccezione al principio stabilito dalla disciplina attuale. È corretto parlare di configurazione di un'eccezione al principio, visto che egli si schiera “per un’accoglienza non generalizzata alla mensa eucaristica, in alcune situazioni particolari ed a condizioni ben precise”.
Bisogna dire però che le caratteristiche speciali di queste situazioni non furono ben definite, né furono precisate le condizioni dalle quali dipenderebbero. Di certo non l'ha fatto Kasper, nonostante nel suo epilogo de "Il Vangelo della famiglia" si esprima così:
“Anche se una casistica non è possibile e nemmeno auspicabile, bisognerebbe dare ed annunciare pubblicamente i criteri vincolanti. Nel mio rapporto ho cercato di fare questo”.
Sta di fatto che le “condizioni ben precise” sono soltanto un'espressione di desiderio. Ecco perché attira la nostra attenzione il fatto che la "Relatio" accolga allo stesso livello – anche se al solo effetto di indicare le diverse posizioni entrate in conflitto nell'aula – sia la disciplina costante sia la proposta innovatrice, pur così scarsamente configurata.
In questi casi, sarebbe possibile sopprimere l'imputabilità e la responsabilità?
Il paragrafo 52 della "Relatio" dice nella sua parte finale:
“… Va ancora approfondita la questione, tenendo ben presente la distinzione tra situazione oggettiva di peccato e circostanze attenuanti, dato che 'l’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate' da diversi 'fattori psichici oppure sociali' (Catechismo della Chiesa cattolica, n. 1735)".
Sarebbe possibile far "scomparire" l'imputabilità di chi si trova nella situazione oggettiva di peccato di adulterio, in base a questa considerazione del Catechismo?
La risposta del Catechismo non lascia spazio ad alcun dubbio: “Ogni atto voluto direttamente è da imputarsi a chi lo compie” (Catechismo, n. 1736). E la lettura del testo completo del n. 1735 ci fa capire ancor meglio il rapporto tra questo basilare principio morale e le situazioni attenuanti ed esimenti:
“L’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate dall’ignoranza, dall’inavvertenza, dalla violenza, dal timore, dalle abitudini, dagli affetti smodati e da altri fattori psichici oppure sociali”.
Senza voler fare un'esegesi esaustiva, si può vedere che qui si prospetta un arco di possibilità, che vanno da una lieve diminuzione della responsabilità fino alla sua totale soppressione.
Ciò dipenderà, in ogni caso particolare, da quanto vi è coinvolto il libero arbitrio di chi agisce. Sicuramente a questo riguardo l'ignoranza (che ammette a sua volta diversi gradi) è un fattore fondamentale da tenere in considerazione.
La responsabilità, quindi, può diminuire quando i fattori di condotta (abitudini, affetti disordinati), psichici o sociali causano una insufficiente comprensione dell'azione che si compie e/o limitano in diversa misura la libertà. Ma soltanto in caso di perdita totale della comprensione dell'azione e/o della libertà si verificherebbe la soppressione dell'imputabilità e perciò anche della responsabilità di chi agisce.
Allora, perché i divorziati risposati in una seconda unione adultera possano non essere imputabili, bisognerebbe che siano totalmente ignari di quanto stanno facendo oppure che permangano nella loro situazione in uno stato di totale annullamento della loro libertà.
Quanto detto mette in evidenza l'inutilità di approfondire il ragionamento, dato che per definizione la "via per pochi" che Kasper propone ha bisogno di un accostamento pastorale ravvicinato di ogni singola persona (“trattare ogni caso particolare con discrezione, discernimento spirituale, saggezza e buon senso pastorale”) perché arrivi infine alla “conversione” dopo un impegnativo cammino penitenziale. In questo contesto, come potrebbe un battezzato sollevare la pretesa di una ignoranza e mancanza di libertà tali da sopprimere la sua imputabilità e la sua responsabilità riguardo al peccato di adulterio?
“Ogni atto voluto direttamente è da imputarsi a chi lo compie”. Per questo, la Chiesa è materna con il fratello che, persistendo il vincolo sacramentale, si trova in situazione di seconde nozze civili, e lo accompagna da vicino e in modo fraterno e lo affida alla misericordia di Dio assumendo la realtà che a questa situazione si arriva non di raro in contesti molto difficili, in circostanze particolarissime, in cui è possibile che si configurino attenuanti alla sua piena responsabilità. Paradossalmente sarebbe meglio per qualcuno rimanere nell'ignoranza, piuttosto che ricevere un accompagnamento pastorale ravvicinato, che gli dia una chiara consapevolezza della gravità del suo peccato ma gli faccia anche pensare di essere esonerato da ogni "ritorno a prima" e nello stesso tempo gli faccia credere di essere in piena comunione con Cristo. […]
OBIETTIVI DI MINIMA E DI MASSIMA?
Dinanzi a una tradizione bimillenaria circa l'impossibilità di concedere la comunione sacramentale ai fratelli in situazione di adulterio, per la prima volta in molti secoli una posizione divergente è stata resa pubblica, denominandola pastorale della tolleranza, della clemenza e dell'indulgenza.
La "Relatio" sinodale ha confermato, con aria di neutralità, che ambedue le posizioni hanno trovato posto nell'aula del sinodo, senza una chiara definizione dell'una o dell'altra, il che da un punto di vista della comunicazione può essere facilmente interpretato come l'esistenza oggi nella Chiesa di due posizioni attendibili e di uguale importanza nella materia.
L'autore di "Il Vangelo della famiglia" è il campione della pastorale della tolleranza. E possono leggersi nell'opera del cardinale Kasper espressioni che denotano, riguardo la causa da lui intrapresa, l'aspettativa di obiettivi di massima e di minima.
L'“annuncio pubblico” di “criteri vincolanti” sarebbe l'obiettivo di massima:
“Anche se una casistica non è possibile e neppure auspicabile, dovrebbero valere ed essere pubblicamente dichiarati dei criteri vincolanti. Nella mia relazione ho cercato di farlo”.
Kasper non fa riferimento né alla forma canonica dell'annuncio ne all'autorità che lo renderebbe pubblico, ma non sarebbe sbagliato pensare che qualsiasi intervento del Santo Padre esaudirebbe questo obiettivo.
Si ipotizza poi una situazione intermedia:
"L'accesso ai sacramenti viene percorso in casi singoli con la tolleranza o con il tacito consenso del vescovo. Questa discrepanza tra l'ordinamento ufficiale e la tacita prassi locale non è una buona nuova situazione".
Ciò probabilmente implicherebbe una direttiva più o meno informale diretta a tutti i vescovi, il che sarebbe comunque un passo avanti rispetto alla situazione odierna.
Infine l'obiettivo di minima è spiegato testualmente in questo paragrafo:
"Dovremmo lasciare almeno uno spiraglio per la speranza e le aspettative delle persone. E dare almeno un segnale che anche da parte nostra prendiamo sul serio le speranze, come pure le domande, le sofferenze e le lacrime di tanti cristiani seri".
“Uno spiraglio per la speranza” e “almeno un segnale” sarebbero anch'essi un piccolo passo in là. Di certo questa ipotesi scarterebbe la pubblicazione di criteri vincolanti e perfino la direttiva informale ai vescovi. Sarebbe però sufficiente per mantenere la situazione di ambiguità che si può osservare ai nostri giorni; per cui chi sta già attuando al di fuori dalla disciplina la “tacita prassi pastorale” potrà andare avanti con la stessa, nella consapevolezza soggettiva di aver ricevuto un cenno d'assenso da parte della Santa Sede.
Certamente, la desiderabile eliminazione di ogni ambiguità e la riproposizione positiva della pastorale tradizionale in forma chiara e maggioritaria, con l'avallo del papa, significherebbe un rovesciamento di queste proposte innovatrici. […]
Davanti alla tacita prassi di dare la comunione sacramentale ad alcuni fratelli che vivono in adulterio e davanti alla confusione che questa situazione porta con sé per tutti i fedeli, oso chiedere con spirito filiale al Santo Padre che, se lo considera necessario, formuli una definizione solenne in questa materia. Riconosco sin d'ora che manco di competenza e di prudenza nel chiedergli qualcosa di simile. Ma a volte noi figli siamo fiduciosi all'eccesso e questo, senza dubbio, è il caso.
http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351052
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