lunedì 3 ottobre 2011

Sacerdozio alle donne?



Pubblichiamo un altro interessante articolo di don Enrico Bini, redatto nel maggio del 1989.



di Don Enrico Bini (maggio 1989)


La riflessione sulla dignità e sulla promozione della donna nella società e nella chiesa sono ormai un tema costante nel magistero a partire dall'enciclica Pacem in terris fino alla recente lettera apostolica Mulieris dignitatem di Giovanni Paolo II.

In questo movimento crescente nascono qua e là voci, che pongono il problema dell'ammissione delle donne all'ordine sacro. In maniera molte volte esagitata, il problema è stato posto direttamente allo stesso Papa, che più volte ha ribadito il fermo «no» della chiesa.

Premetto che non intendo entrare nella diatriba cara alle femministe sul maschilismo della chiesa e della conseguente oppressione della donna. Vorrei invece esaminare altri problemi, che a mio avviso stanno al fondo della questione.

L'occasione di questa considerazione, mi è data dalla lettura della voce "Donna nella chiesa", comparso nel dizionario di teologia delle edizioni paoline. In questo testo si afferma che l'esclusione della donna dal sacerdozio ha una preoccupazione fondamentalmente ecumenica, che proviene dalla visione dell'uomo maschio come icona di Cristo, tipico della teologia orientale.

Si afferma infatti: «Non la rappresentazione e la contemplazione della forma è quella che trapassa la storia, ma piuttosto la prassi della carità... anche la simbolica sacramentale sembra più rapportarsi più al fare che al rappresentare». In questa affermazione troviamo il vero nocciolo della questione che investe un aspetto importantissimo della sacramentaria cattolica.

La stessa argomentazione di tipo storico sulla esclusione delle donne dal collegio apostolico ossia il dato di fatto che Cristo non abbia scelto donne, pur di grande valore, non può essere una prova decisiva. La risposta della chiesa si colloca ad un livello più profondo, non è un caso che san Tommaso, trattando l'argomento in questione non ha fatto riferimento ad argomentazioni storiche.

Quando la teologia afferma che il sacerdote agisce in persona Christi questa sua rappresentatività non è qualcosa di superficiale, una delega puramente estrinseca e giuridica. Come ebbe a scrivere san Bonaventura : «ordo non respicit anima tantum, sed anima ut est carni coniuncta».

L'atto liturgico del sacerdote che agisce in persona Christi, lo coinvolge nella totalità della sua vita, incide cioè nell'anima e nella carne. In questa totalità una parte essenziale spetta alla natura maschile del sacerdote, che rappresenta qui e ora nella sua azione sacramentale il Cristo storico, che nel disegno insondabile della provvidenza ha scelto di essere maschio.

Negando il concetto di rappresentazione per volerlo sostituire con i bisogni e le urgenze della prassi, si toglie un fondamento di tutta la sacramentaria cattolica. L'esclusione della donna dall'ordine sacro non avviene soltanto de necessitate praecepti, ma soprattutto de ratione sacramenti.

La donna-prete sarebbe un principio eversivo che aprirebbe la strada ad ogni arbitrio e bizzarria in campo sacramentale. Perché allora non permettere il matrimonio di coppie omosessuali, dal momento che deve aver il primato della prassi della carità?

Questo fatto oggi è impossibile non solo per ovvi motivi morali, ma perché manca la cosiddetta ratio sacramentalis. Infatti l'uomo e la donna rappresentano l'unione di Cristo con la chiesa, o come la chiama san Tommaso, res significata non contenta.

Molti altri sarebbero gli esempi di possibili conseguenze una volta negato la valenza del principio di rappresentazione. Appunto perché il sacramento non è costituito dalla res ma dal signum rei. Questo è il motivo per cui alla donna è attualmente precluso di principio ogni ministero sia laicale sia ordinato, come il diaconato.

La negazione del concetto di rappresentazione è l'ultimo tentativo di mettere in discussione la visione del sacerdozio cattolico imperniato sulla rappresentazione, sulla mediazione e sulla imitazione.

Si può facilmente vedere come questi principi siano nella prassi assai dimenticati. Basti pensare alla diffusa laicizzazione del clero, alla riduzione del clero ad un generico membro della comunità. La stessa consuetudine della moltiplicazione dei ministri straordinari dell'eucarestia, in cui si tende a dividere tra celebrazione e dispensazione del sacramento, idea estranea alla teologia classica (a tale proposito inviterei a leggere la posizione di san Tommaso nella Summa (3 q. 72, a.3), sono tutti tentativi di preporre la prassi alla realtà della rappresentazione.

In questo si può leggere l'ennesimo attacco di chi ama più l'anonimo funzionario che lo spirito del sacerdote, continuatore di una missione trascendente. Allora, il problema del sacerdozio femminile, non è altro che un banco di prova e di scontro, che tocca problemi speculativi che vanno oltre la promozione e la salvaguardia della dignità femminile, per assumere i connotati di un contrasto insanabile tra il primato dell'essere e il primato della prassi immanente.



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