lunedì 19 settembre 2011

Il Diaconato Permanente


Pubblichiamo un altro interessante articolo di don Enrico Bini (sacerdote della diocesi di Prato), redatto nel giugno del 1988, ma che ancora oggi offre spunti di riflessione su un importante ministero ecclesiale.



di Don Enrico Bini


La rivalutazione del diaconato è uno dei risultati di maggiore rilievo scaturito dal concilio Vaticano II. Il diaconato è il grado inferiore della gerarchia ecclesiastica, che ha il triplice compito del servizio liturgico, della parola e della carità. Questo significa che il diacono ha la potestà di amministrare il battesimo, distribuire l’Eucaristia, benedire il matrimonio, presiedere i funerali, istruire i fedeli e l'assistenza ai poveri.

Come si può constatare le facoltà del diacono non sono di scarsa importanza. Prima del Concilio il diaconato pur presente era un grado transitorio e propedeutico al sacerdozio. Ora invece, questo grado del sacramento dell'ordine può essere conferito in forma permanente, anche a uomini sposati.

La presenza del diaconato nella vita della Chiesa risale all'ambiente del Nuovo Testamento e ai primi secoli della cristianità nascente. Questa è in sintesi la nuova impostazione che appartiene alla coscienza della Chiesa che vede nella verità dei servizi e ministeri un segno chiaro della sua verità e, aggiungerebbe S. Tommaso, della sua bellezza.

Nel presente intervento vorrei sottolineare, seppur brevemente, alcuni problemi connessi al ripristino di tale ordine. Non ci si meravigli se parlo di problemi, di ombre e di difficoltà. Questo rappresenta un fatto fisiologico in una seria discussione che vuole contribuire al bene della comunità ecclesiale.

Il primo quesito nasce dalla riflessione storica. Nessuno riesce a spiegare come mai la Chiesa abbia potuto rendere tanto insignificante un sacramento che risale alla comunità egli apostoli. Negli studi sull'argomento la decadenza del diaconato nei secoli passati non è trattata, se non in termini molto oscuri.

Nel libro del teologo bolognese Zardoni sul diaconato a pagina 50, si possono leggere delle affermazioni sbalorditive. L'autore per descrivere la decadenza del diaconato durante i secoli passati scrive: "La Chiesa rimase praticamente "defraudata" di un ministero voluto da Cristo".

Il verbo defraudare significa, secondo il vocabolario, togliere con inganno. Il suddetto dimentica che è stato il Concilio di Trento a stabilire la temporaneità del diaconato. Per cui risulterebbe che un concilio e poi tutta la Chiesa hanno tolto con inganno alla Chiesa stessa un sacramento. Affermazione che appare teologicamente grave e storicamente infondata.

Se la Chiesa ha stabilito nel passato una diversa modalità di conferire il diaconato corrisponde ad un suo legittimo potere. Sostenere questo è importante perché si fa leva su questa sedicente teoria della frode, per postulare la necessità del ripristino del diaconato. Mentre per esempio, le funzioni del diacono, nei compiti sopra descritti, possono essere svolte dal sacerdote che con il presbiterato non cessa di essere "servo".

Un'altra inesattezza si colloca sul piano teologico. Si tende a presentare il diaconato permanente come una necessità assoluta per la Chiesa. Si misura la maturità di una Chiesa locale e la lungimiranza del Vescovo dal numero di diaconi permanenti presenti in diocesi.

Al contrario il concilio vide il diaconato permanente come una mera possibilità (restitui poterit LG 29), da stabilire dietro decisione delle conferenze episcopali. Ad esempio, i vescovi polacchi non hanno ritenuto opportuno il ripristino del diaconato nella loro nazione. Si tratta di una scelta legittima e coraggiosa che rientra nello spirito del concilio che prudentemente mostra il carattere di concessione che il diaconato permanente riveste.

Lo stesso padre Rahner nel suo famoso "votum" affermò al Concilio: "Il diaconato non deve essere per forza universale per tutta la Chiesa, ma condizionato a vere necessità concrete".

L'intenzione del concilio aveva come primo obiettivo di dare un aiuto alle terre di missione, stranamente invece il diaconato ha avuto un minore sviluppo proprio in quei luoghi di maggiore necessità. Il continuo lamentarsi che ancora 127 diocesi italiane non hanno diaconi permanenti, e presentare questo fatto come una sciagura e come una infedeltà al Concilio, non mi sembra corretto.

Vi sono dei problemi anche sul piano della logica. Infatti, si è stabilito che il diaconato può esser conferito a uomini sposati che abbiano più di 35 anni. Si tratta di una novità gravida di conseguenze e di molte considerazioni. La possibilità dei diaconi sposati può produrre confusione nei semplici fedeli che non riescono a distinguere, e giustamente, il perché debbono esserci dei diaconi uxorati e dei sacerdoti celibi, che servono allo stesso altare.

Se il celibato è conveniente all'ordine sacro deve valere per tutti o per nessuno. La totale dedizione all'apostolato e alla sequela di Cristo implica, anche se non necessaria, una dedizione ugualmente totale della vita, con un cuore indiviso. Un esempio in tal senso lo abbiamo dalla storia della Chiesa. Il Concilio di Trento stabilì che nelle Chiese maggiori vi fossero dei ministri che aiutassero i sacerdoti nelle varie mansioni del culto. Questi potevano essere anche sposati. Si tratta dei famosi "clerici coniugati". Ebbene questa normativa rimase lettera morta, oppure scarsamente applicata, perché la prassi rese evidente che senza un criterio omogeneo, le decisioni del concilio erano di fatto non realizzabili.

Si è voluto poi trasformare i diaconi in ministri ordinari dell'eucarestia come i sacerdoti ed i vescovi (can. 910), mentre la precedente normativa li definiva come ministri straordinari. Non si capisce come possano i diaconi avere lo stesso "potere" sul sacramento come i vescovi ed i presbiteri, dal momento che hanno come compito quello di conservare e distribuire il sacramento (LG 29).

Altre questioni nascono se passiamo ad esaminare i problemi inerenti all'impiego pastorale dei diaconi. Sarebbe un errore vedere il diaconato permanente come risposta al problema della scarsità di vocazioni sacerdotali. Inoltre, lo sviluppo della collaborazione dei laici alla vita della parrocchia ha di fatto assorbito molte funzioni tipicamente diaconali. Questo renderà molto spesso il diaconato assai più decorativo che nel passato.

Non bisogna dimenticare che la massa dei fedeli ignora che cosa sia il ministero dei diaconi, perché il modello che si è imposto nella chiesa latina si è incentrato sulla figura del sacerdote. Non si cambia una situazione millenaria con l'immissione dei diaconi permanenti sposati, senza una preparazione, che deve investire l'intera comunità ecclesiale, e non solo la piccola corte di gente che circonda ogni parroco. Questa preparazione dovrebbe durare, a mio avviso, per molto tempo, senza alcun timore di sentirsi inferiori a nessuno. Senza il rispetto di precise condizioni il diaconato permanente non aiuterà in alcun modo la Chiesa.

Per questo una Chiesa locale dovrebbe differire, nella attuale situazione, l'ordinazione dei diaconi permanenti fino a quando non si ripenserà a fondo lo status teologico-pastorale dei ministeri della Chiesa.

Vorrei concludere con due citazioni illuminanti tratte dagli interventi di due vescovi al concilio, che parteciparono al dibattito sul tema in questione. Il primo, Giuseppe Siri, affermò: "Niente c'è pertanto contro la verità (del diaconato), ma c'è qualcosa di non trascurabile contro l'opportunità". Il secondo, Mons. Giovanni Canestri, attuale arcivescovo di Genova, sottolineò con molta acutezza che il "diaconato permanente sarà più una preoccupazione che un aiuto".


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