lunedì 12 settembre 2011

I concelebranti laici


Siamo felici di pubblicare - per gentile concessione dell'autore - una serie di articoli dell'amico don Enrico Bini, sacerdote della Diocesi di Prato, redatti alcuni anni fa, ma che mantengono intatti tutto il loro interesse e la loro attualità.


di Don Enrico Bini


La scorsa estate entrando in una chiesa di questo mondo, ebbi il modo di partecipare alla Santa Messa di un giovane sacerdote. Con mio stupore, all'inizio della preghiera eucaristica, il celebrante invitò tutti i fedeli a dire insieme con lui le parole della consacrazione.

Mi immaginai la gioia delle vecchiette che da venti anni bisbigliano le parole del canone e il distaccato atteggiamento degli altri, che avranno creduto di partecipare ad un'altra tappa della riforma liturgica. L'invito del sacerdote venne fedelmente eseguito, con l' effetto di una vera e propria concelebrazione, e se ben ricordo qualcuno stese verso l'altare la mano destra. Ignoro i motivi di questo invito, che spero suggerito da un eccesso di zelo per la partecipazione attiva dei fedeli ai Santi Misteri.

In ogni caso, si tratta di un episodio che non credo abbia facilitato quei cristiani nella comprensione della distinzione tra il sacerdozio ministeriale e quello dei fedeli.

Forse il giovane sacerdote non ricordava le premesse del nuovo Messale al numero 5, dove si legge: "II sacerdozio regale dei fedeli ...raggiunge la sua perfezione attraverso il ministero dei presbiteri ... La celebrazione dell'eucaristia è infatti azione di tutta la Chiesa: in essa ognuno compie soltanto, ma integralmente, quello che gli compete, tenuto conto del posto che occupa nel popolo di Dio".

E il numero 55 così prosegue: "La preghiera eucaristica esige che tutti l'ascoltino con rispetto e in silenzio, e vi partecipino con le acclamazioni previste nel rito".

Non so se la citazione delle norme, e anche quella dei testi teologici, potrebbero convincere il giovane sacerdote, perché sarei accusato di fissismo. Il problema, infatti, non è quello di ribadire la dottrina della Chiesa, ma la teorizzazione pratica dell'arbitrio e del soggettivismo liturgico.

Molti sacerdoti si sentono dei piccoli prefetti della Congregazione del Culto divino; è forse la prima volta che spericolate e personali sperimentazioni sono state poi accettate dal Magistero? Con questo criterio si è aperta la strada ad ogni abuso, ed ogni fedele in questi anni avrebbe molte esperienze da raccontare.

Il coraggio che manca è quello di una rilettura critica di tutto quello che è avvenuto in questi anni. Sono crollati i muri dell'ideologia, ma la comunità ecclesiale rimane appiattita su una lettura acritica ed ottimistica del recente passato. Non sono in gioco le nuove disposizioni, e neppure il dubbio sulla loro validità.

Il vero nodo non ancora risolto è di sapere se l'uomo del ventesimo secolo è in grado di esprimere, non soltanto una liturgia ortodossa, ma anche una liturgia che riesca a comunicare la sacralità dei misteri che celebra. Quando si potrà scrivere con sufficiente distacco la storia della Chiesa di questo secolo, si vedrà con chiarezza l'ingenuità di tanti progetti riformatori, che hanno facilitato il distacco dal divino nel nostro occidente.

Novembre 1992

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