domenica 18 settembre 2011

Il Card. Piacenza: le donne prete, il celibato e il potere di Roma




Intervista al Prefetto della Congregazione per il Clero



di Antonio Gaspari

ROMA, domenica, 18 settembre 2011 (ZENIT.org).-Il Cardinale Mauro Piacenza, Prefetto della Congregazione per il Clero, raramente interviene nel dibattito pubblico. Rifugge, infatti, ogni demagogia e presenzialismo ed è noto come uomo di silente e indefesso lavoro nonché efficace osservazione di tutti i fenomeni che solcano la cultura contemporanea.

Ci ha straordinariamente concesso questa intervista su temi “scottanti”, in un clima di rara cordialità, mostrando quella creatività pastorale che sempre ci si attende da un autentico e fedele Pastore della Chiesa.

Eminenza, con sorprendente e puntuale ciclicità, da vari decenni, riemergono nel dibattito pubblico alcune questione ecclesiali, sempre le stesse. A cosa è dovuto tale fenomeno?

Cardinal Piacenza: Sempre nella storia della Chiesa ci sono stati “movimenti centrifughi”, tendenti a “normalizzare” l’eccezionalità dell’Evento di Cristo e del suo Corpo vivente nella storia, che è appunto la Chiesa. Una “Chiesa normalizzata” perderebbe tutta la sua forza profetica, non direbbe più nulla all’uomo ed al mondo e, di fatto, tradirebbe il Suo Signore. La grande differenza dell’epoca contemporanea è sia dottrinale sia mediatica. Dottrinalmente si pretende di giustificare il peccato, non affidandosi alla misericordia, ma confidando in una pericolosa autonomia che ha il sapore dell’ateismo pratico; dal punto di vista mediatico, negli ultimi decenni, le fisiologiche “forze centrifughe” ricevono attenzione ed inopportuna amplificazione dai mezzi di comunicazione che vivono, in certo modo, di contrasti.

L’ordinazione sacerdotale delle donne è da ritenersi “questione dottrinale”?

Cardinal Piacenza: Certamente e, come tutti sanno, la questione è stata affrontata chiaramente sia da Paolo VI, sia dal beato Giovanni Paolo II e, questi, con la Lettera Apostolica Ordinatio Sacerdotalis del 1994 ha chiuso definitivamente la questione. Vi si afferma infatti: «Al fine di togliere ogni dubbio su di una questione di grande importanza, che attiene alla stessa divina costituzione della Chiesa, in virtù del mio ministero di confermare i fratelli, dichiaro che la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l'ordinazione sacerdotale e che questa sentenza deve essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli della Chiesa». Taluni, arrampicandosi sugli specchi, hanno parlato di una “definitività relativa” alla dottrina fino a quel momento, ma francamente la tesi è così inusuale da essere priva di qualsiasi fondamento.

Allora non c’è posto per le donne nella Chiesa?

Cardinal Piacenza: Al contrario, le donne hanno un ruolo importantissimo nel Corpo ecclesiale e potrebbero averne uno, ancora più evidente. La Chiesa è fondata da Cristo e non possiamo determinarne noi uomini il profilo, quindi la costituzione gerarchica è legata al Sacerdozio ministeriale, che è riservato agli uomini. Ma assolutamente nulla impedisce di valorizzare il genio femminile in ruoli non strettamente legati all’esercizio dell’ordine sacro. Chi impedirebbe, ad esempio, che una grande economista fosse a capo dell’Amministrazione della Sede Apostolica? O che una competente giornalista divenisse portavoce della Sala Stampa Vaticana? Gli esempi si possono moltiplicare per tutti gli uffici non legati all’ordine sacro. Ci sono compiti nei quali il genio femminile potrebbe dare un determinante contributo! Altra cosa è concepire il servizio come un potere e pretendere, come fa il mondo, le “quote” di tale potere. Ritengo inoltre che la svalutazione del mistero grande della maternità, che viene operata dalla cultura dominante, abbia un ruolo rilevante nel generale disorientamento al riguardo della donna. L’ideologia del profitto ha ridotto e strumentalizzato le donne, non riconoscendo il più grande contributo che esse, incontrovertibilmente, possono dare alla società ed al mondo. La Chiesa, poi, non è un Governo politico nel quale è giusto rivendicare adeguate rappresentanze. La Chiesa è ben altro, la Chiesa è il Corpo di Cristo e, in essa, ciascuno è membro secondo quanto Cristo ha stabilito. Inoltre nella Chiesa non è questione di ruoli maschili e ruoli femminili bensì di ruoli che comportano per divina volontà l’ordinazione o no. Tutto ciò che può fare un fedele laico lo può fare anche una fedele laica. L’importante è avere la preparazione specifica e l’idoneità, poi essere uomo o donna non ha rilevanza.

Ma può esserci reale partecipazione alla vita della Chiesa senza attribuzione di potere effettivo e di responsabilità?

Cardinal Piacenza: Chi ha detto che la partecipazione alla vita della Chiesa è una questione di potere? Se così fosse, sarebbe smascherato il reale equivoco nel concepire la Chiesa stessa non quale essa è, divino-umana, ma semplicemente come una delle tante associazioni umane, magari più grande e nobile, vista la sua storia; essa sarebbe pertanto da “amministrare” spartendosi il potere. Nulla di più lontano dalla realtà! La gerarchia nella Chiesa, oltre ad essere di diretta istituzione divina, è sempre da intendere come un servizio alla comunione. Solo un equivoco, derivante storicamente dall’esperienza delle dittature, potrebbe far pensare alla Gerarchia ecclesiastica come all’esercizio di un “potere assoluto”. Lo chieda a chi ogni giorno è chiamato a collaborare con la responsabilità personale del Papa per la Chiesa universale! Sono tali e tante le mediazioni, le consultazioni, le espressioni di reale collegialità che praticamente nessun atto di governo è il frutto di un’unica volontà, ma sempre l’esito di un lungo cammino, in ascolto dello Spirito Santo e del prezioso contributi di molti. Primi tra tutti i Vescovi e le Conferenze episcopali del mondo. La Collegialità non è un concetto socio-politico ma deriva dalla comune eucaristia, dall’affectus che nasce dal cibarsi dell’unico Pane e dal vivere l’unica fede; dall’essere uniti a Cristo: Via, Verità e Vita; e Cristo è lo Stesso ieri, oggi e sempre!

Non è troppo il potere di Roma?

Cardinal Piacenza: Dire “Roma” significa semplicemente dire “cattolicità” e “collegialità”. Roma è la città che la provvidenza ha eletto come luogo del Martirio degli Apostoli Pietro e Paolo e la comunione con questa Chiesa ha sempre significato nella storia, comunione con la Chiesa universale, unità, missione e certezza dottrinale. Roma è al servizio di tutte le Chiese, ama tutte le Chiese e, non di rado, protegge le Chiese più in difficoltà dal potere del mondo e di Governi non sempre pienamente rispettosi di quell’imprescindibile diritto umano e naturale che è la libertà religiosa. La Chiesa deve essere guardata a partire dalla Costituzione dogmatica Lumen Gentium del Concilio Vaticano II, inclusa ovviamente la Nota previa al Documento. Lì è descritta la Chiesa delle origini, la Chiesa dei Padri, la Chiesa di tutti i secoli, che è la nostra Chiesa di oggi, senza discontinuità; che è la Chiesa di Cristo. Roma è chiamata a presiedere nella Carità e nella Verità, uniche reali fonti dell’autentica Pace cristiana. L’unità della Chiesa non è il compromesso con il mondo e la sua mentalità, bensì l’esito, donato da Cristo, della nostra fedeltà alla verità e della carità che saremo capaci di vivere. Mi pare indicativo, a tale riguardo, il fatto che oggi solo la Chiesa, come nessuno, difenda l’uomo e la sua ragione, la sua capacità di conoscere il reale e di entrare in rapporto con esso, insomma l’uomo nella sua integralità. Roma è al pieno servizio dell’intera Chiesa di Dio che è nel mondo ed è una “finestra aperta” sul mondo. Finestra che dà voce a tutti coloro che non hanno voce, che chiama tutti a continua conversione e per questo contribuisce, spesso nel silenzio e con sofferenza, pagando di proprio, anche in impopolarità, alla costruzione di un mondo migliore, alla civiltà dell’amore.

Questo ruolo di Roma non ostacola l’unità e l’ecumenismo?

Cardinal Piacenza: Anzi ne è il necessario presupposto. L’Ecumenismo è una priorità della vita della Chiesa ed una esigenza assoluta che scaturisce dalla stessa preghiera del Signore: «Ut unum sint», che diviene per ogni cristiano vero e proprio “comandamento dell’unità”. Nella preghiera sincera e nello spirito di continua conversione interiore, nella fedeltà alla propria identità e nella comune tensione alla perfetta carità donata da Dio, è necessario impegnarsi con convinzione perché non ci siano battute d’arresto nel cammino del movimento ecumenico. Il mondo ha bisogno della nostra unità; è dunque urgente continuare ad impegnarsi nel dialogo di fede con tutti i fratelli cristiani, perché Cristo sia lievito della società. È pure urgente impegnarsi insieme con i non cristiani, ovvero nel dialogo interculturale per contribuire insieme ad edificare un mondo migliore, collaborando nelle opere di bene e perché una nuova e più umana società sia possibile. Roma, anche in tale compito ha un ruolo di propulsione unico. Non c’è tempo per dividersi, il tempo e le energie devono essere spese per unirsi.

In questa Chiesa chi sono e che ruolo hanno i preti allora?

Cardinal Piacenza: Non sono assistenti sociali né tantomeno funzionari di Dio! La crisi di identità è maggiormente acuta nei contesti più fortemente secolarizzati, nei quali sembra che non ci sia spazio per Dio. I sacerdoti, invece, sono quelli di sempre; sono quello che sempre Cristo ha voluto che fossero! L’identità sacerdotale è cristocentrica e perciò eucaristica. Cristocentrica perché, come più volte ricordato dal Santo Padre, nel Sacerdozio ministeriale, “Cristo ci tira dentro di Sé”, coinvolgendosi con noi e coinvolgendoci nella Sua stessa Esistenza. Tale “reale” attrazione accade sacramentalmente, quindi in maniera oggettiva ed insuperabile, nell’Eucaristia, della quale i sacerdoti sono ministri, cioè servi e strumenti efficaci.

Ma è così insuperabile la legge sul celibato? Non si potrebbe davvero cambiare?

Cardinal Piacenza: Non si tratta di una semplice legge! La legge è conseguenza di una ben più alta realtà che si coglie solo nel vitale rapporto con Cristo. Gesù dice: “chi può capire capisca”. Il sacro celibato non è mai superato, anzi è sempre nuovo, nel senso che, anche attraverso di esso, la vita del prete è “rinnovata”, perché sempre donata, in una fedeltà che ha in Dio la propria radice e nella fioritura della libertà umana il proprio frutto. Il vero dramma è nell’incapacità contemporanea a compiere scelte definitive, nella drammatica riduzione della libertà umana che è divenuta così fragile da non perseguire il bene nemmeno quando è riconosciuto ed intuito come possibilità per la propria esistenza. Non è il celibato il problema, né possono essere le infedeltà e la debolezza di taluni Sacerdoti il criterio di giudizio. Del resto le statistiche ci dicono che fallisce oltre il 40% dei matrimoni. Tra i Sacerdoti siamo a meno del 2%, quindi la soluzione non sarebbe assolutamente nell’opzionalità del sacro celibato. Non sarà forse che si debba smettere di interpretare la libertà come “assenza di legami” e di definitività, ed iniziare a riscoprire che proprio nella definitività del dono all’altro e a Dio consista la vera realizzazione e felicità umana?

E le vocazioni? Non aumenterebbero abolendo il celibato?

Cardinal Piacenza: No! Le confessioni cristiane, dove non essendoci il sacerdozio ordinato non c’è la dottrina e disciplina del celibato, si trovano in stato di profonda crisi al riguardo delle “vocazioni” alla guida della comunità. Così come c’è crisi del sacramento del matrimonio uno ed indissolubile.

La crisi, dalla quale, in realtà, si sta lentamente uscendo, è legata, fondamentalmente, alla crisi della fede in Occidente. È a far crescere la fede che ci si deve impegnare. Questo è il punto. Negli stessi ambienti è in crisi la santificazione della festa, è in crisi la confessione, è in crisi il matrimonio etc… La secolarizzazione e la conseguente perdita del senso del sacro, della fede e della sua pratica, hanno determinato e determinano anche una importante diminuzione del numero dei candidati al Sacerdozio. A queste ragioni squisitamente teologiche ed ecclesiali, se ne aggiungono alcune di carattere sociologico: prima fra tutte, il vistoso decremento della natalità, con la conseguente diminuzione del numero dei giovani e, quindi, anche delle giovani Vocazioni. Anche questo è un fattore che non può essere ignorato. Tutto è legato. Talvolta si pongono delle premesse e poi non si vogliano accettare le conseguenze ma queste sono inevitabili. Il primo ed irrinunciabile rimedio al calo delle Vocazioni, lo ha suggerito Gesù stesso: «Pregate dunque il padrone della messe, perché mandi operai nella sua messe» (Mt 9,38). Questo è il realismo della pastorale delle vocazioni. La preghiera per le Vocazioni, un’intensa, universale, dilatata rete di preghiera e di Adorazione Eucaristica che avvolga tutto il mondo, è la sola vera risposta possibile alla crisi delle risposte alla Vocazione. Laddove un tale atteggiamento orante è stabilmente vissuto, si può affermare che sia in atto una reale ripresa. È fondamentale, inoltre, curare l’identità e la specificità nella vita ecclesiale, di Sacerdoti, religiosi – e questi nella peculiarità dei carismi fondazionali dei propri Istituti di appartenenza – e fedeli laici, affinché ciascuno possa davvero, in libertà, comprendere ed accogliere la vocazione che Dio ha pensato per lui. Ma ciascuno deve essere se stesso e ogni giorno deve impegnarsi sempre più a divenire ciò che è.

Eminenza, in questo momento storico, se dovesse dire una parola riassuntiva della situazione generale, cosa direbbe?

Cardinal Piacenza: Il nostro programma non può essere influenzato dal voler galleggiare ad ogni costo, dal volerci sentire applauditi dall’opinione pubblica: noi dobbiamo soltanto servire per amore e con amore il nostro Dio nel nostro prossimo, chiunque esso sia, consapevoli che il Salvatore è solo Gesù. Noi dobbiamo lasciarLo passare, lasciarLo parlare, lasciarLo agire attraverso le nostre povere persone e il nostro impegno quotidiano. Non dobbiamo mettere del “nostro” ma del “Suo”. Noi, innanzi alle situazioni, anche le più apparentemente fallimentari, non dobbiamo spaventarci. Il Signore sulla barca di Pietro c’è anche se sembra dormire; c’è! Noi dobbiamo agire con energia, come se tutto dipendesse da noi ma con la pace di chi sa che tutto dipende dal Signore. Dunque dobbiamo ricordare che il nome dell’amore, nel tempo è “fedeltà”! Il credente sa che Lui è la Via, la Verità, la Vita e non “una” via, “una” verità, “una” vita. Pertanto è nel coraggio della verità a costo di ricevere insulti e disprezzo, che sta la chiave della missione nella nostra società; è questo coraggio che fa un tutto unico con l’amore, con la carità pastorale, che deve essere recuperato e che rende affascinante più che mai oggi la vocazione cristiana.Vorrei citare il programma che sinteticamente formulò a Stoccarda il Consiglio della Chiesa evangelica nel 1945: “Annunciare con più coraggio, pregare con più fiducia, credere con più gioia, amare con più passione”.


fonte: www.zenit.org

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