lunedì 28 febbraio 2011
Solo la liturgia ci pone dinanzi a Dio stesso
Pubblichiamo un ampio estratto dell'intervista che il cardinale prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei sacramenti, Antonio Cañizares Llovera, ha rilasciato al settimanale Vida Nueva.
di Antonio Pelayo
Lei è a Roma già da abbastanza tempo per fare un bilancio personale di questo periodo.
Sono stati due anni intensi, molto intensi; com'è ovvio, nella mia vita e nel mio agire personale al servizio totale della Chiesa c'è stato un grande cambiamento. Quanti fatti, quante esperienze nuove e significative, quante esperienze vissute di fede, profondamente ecclesiali, sono accadute in questi anni! Una tappa molto ricca in tutti i sensi, un tempo di grazia, un vero passaggio di Dio nella mia vita; solo Dio lo sa. Questo è il primo e principale aspetto.
Il bilancio, la valutazione di questi anni? Lo lascio nelle mani di Dio e della Chiesa. Comunque, con sguardo sereno e obiettivo, vedo questo tempo come un cammino aperto di speranza, con non pochi progetti che meritano tutta l'attenzione e la dedizione, volti tutti e nel loro insieme a promuovere un deciso e ampio movimento per ravvivare il genuino significato e lo spirito della liturgia nella Chiesa. Questo è ciò che mi è stato chiesto. E, con l'aiuto di Dio e gli altri aiuti di cui abbiamo tanto bisogno e che non mancano mai, stiamo cercando di portarlo a compimento.
La Curia l'ha delusa? La definirebbe un organismo necessario, efficace, rispettoso delle Chiese particolari?
Perché doveva deludermi se proprio presso di essa, senza volerlo né pretenderlo, mi hanno chiamato a lavorare come operaio nella vigna del Signore? Deludermi, in cosa, visto che non ho posto alcuna condizione, non ho chiesto nulla e nessun «salario»? Molto semplicemente, il mio inserimento nei lavori della Curia romana per collaborare con il Santo Padre e aiutarlo nella missione che mi ha affidato al servizio della Chiesa universale si sta dimostrando per me un dono di Dio. Qui si sentono e si vivono con un'intensità particolare la realtà e il mistero della Chiesa, la presenza del Signore in essa, le gioie, le speranze, le pene e le sofferenze dell'umanità intera; qui si allarga la visione ecclesiale e di fede. È vero che questo inserimento nella Curia è stato, in qualche modo, una novità nella mia vita di pastore. La mia esistenza ha assunto una direzione nuova e inattesa, ho vissuto l'esperienza innegabile di una certa spoliazione, e indubbiamente sento la mancanza del lavoro pastorale diretto e in trincea, per fare una similitudine con la lotta sempre inerente alla fede e alla missione. Dal di dentro si vedono l'importanza e il grande servizio che la Curia romana presta alle Chiese particolari, il lavoro ingente e silenzioso che si porta avanti, l'estrema cura che si pone nel rispondere alle loro richieste e necessità, l'enorme lavoro che si svolge. La Curia è necessaria, imprescindibile direi, come servizio di comunione e animazione. Sicuramente si potrebbero e si dovrebbero rinnovare varie cose per renderla più agile, rapida, «pastorale» e creare maggiore interazione e fecondità reciproca fra i suoi dicasteri e tra noi che in essa lavoriamo. Forse alcuni pensano che dovrebbe essere più energica e animare maggiormente, in un certo senso come il grande motore della Chiesa. Credo che lo sia e che possa e debba esserlo ancora di più, senza soffocare nulla.
C'è un regresso in materia liturgica? Quali sono le chiavi della «riforma della riforma»?
Non so se possiamo parlare di regresso, perché prima bisognerebbe sapere se c'è stato o no un avanzamento, o in quali punti e in quali aspetti c'è stato un progresso. È possibile che, in alcune occasioni e casi soggettivi, sia stato considerato o visto come un progresso ciò che in realtà non lo era, o non lo era abbastanza, o che non si fondava sulle basi su cui si sarebbe dovuto fondare. Nessuno può mettere in dubbio che il concilio Vaticano II abbia posto la sacra liturgia, con la Parola di Dio, al centro della vita e della missione della Chiesa. È molto significativo, nel linguaggio degli eventi attraverso i quali Dio parla, il fatto che la costituzione Sacrosanctum concilium sia stata il primo testo approvato; è innegabile, inoltre, che da quel momento si sia prodotto un grande rinnovamento liturgico.
Ora, si può affermare che tutto quello che è stato fatto e si fa è il rinnovamento voluto dal Concilio? Il rinnovamento voluto e promosso veramente dal Concilio è penetrato in modo sufficiente ed è giunto agli aspetti essenziali della vita e della missione del Popolo di Dio? Si può chiamare rinnovamento conciliare e sviluppo tutto ciò che è venuto dopo? Dobbiamo essere umili e sinceri: il principale e grande invito del Concilio a far sì che la liturgia fosse la fonte e la meta, il vertice di tutta la vita cristiana, si sta realizzando nella coscienza di tutti, sacerdoti e laici o, al contrario, si è ancora lontani da ciò? Il popolo di Dio, fedeli e pastori, vive veramente della liturgia, la liturgia è al centro della nostra vita? Gli insegnamenti conciliari sono stati impartiti e assimilati, si è restati fedeli a essi, sono stati interpretati correttamente nella linea della continuità che il Papa chiede?
Le mie non sono domande retoriche e oggi è particolarmente necessario porsele. Le risposte non sempre ricondurranno alla stessa origine: il Concilio.
Per questo le chiavi per la cosiddetta «riforma della riforma» sulle quali verteva la sua domanda non sono altro che quelle date dal concilio Vaticano II nella Sacrosanctum concilium e dal successivo magistero dei Papi, che indicano e interpretano in modo autentico i loro insegnamenti secondo una «ermeneutica della continuità».
Questa è la nostra situazione attuale. Aggiungo che viviamo in una situazione drammatica caratterizzata dal dimenticarsi di Dio e dal vivere come se Dio non esistesse. Tutto ciò, com'è evidente e tangibile, sta avendo conseguenze gravissime. Solo la vita liturgica posta al centro di tutto, solo un rinnovamento liturgico profondo, solo il ridare alla liturgia, e in particolare all'Eucaristia, il posto che le corrisponde nella vita della Chiesa, dei sacerdoti e dei fedeli, così come la Chiesa l'intende, l'orienta e la regola, fedelmente alla sua natura e alla tradizione, potrà ricondurci veramente a Dio, porre Dio quale centro, fondamento, senso e meta di tutto, e rendere così possibile un'umanità nuova, fatta di uomini e donne nuovi che adorano Dio, aprire cammini di speranza e illuminare il mondo con la luce e la bellezza della carità che nasce dalla liturgia.
La liturgia ci pone dinanzi a Dio stesso, all'azione di Dio, al suo amore; potremo promuovere un'urgente e nuova evangelizzazione solo se la liturgia riacquisterà il posto che le compete nella vita di tutti i cristiani. È necessario, a mio parere, riconoscere che la liturgia oggi non è «l'anima», la fonte e la meta della vita di molti cristiani, fedeli e sacerdoti. Quanta routine e mediocrità, quanta banalizzazione e superficialità nella nostra vita! Quante messe celebrate senza attenzione o alle quali si partecipa senza una particolare disposizione. Da qui la nostra grande debolezza. È oltremodo necessario far comprendere ai fedeli che la liturgia è, prima di tutto, opera di Dio e che nulla si può anteporre ad essa. Solo Dio, la «rivoluzione di Dio», Dio al centro di tutti, potrà rinnovare e cambiare il mondo.
Si parla molto di una ristrutturazione del dicastero che lei presiede, il quale perderebbe tutto ciò che corrisponde alla disciplina dei sacramenti. Cosa ci può dire al riguardo?
Fra i progetti più immediati, nel quadro della risposta che la Congregazione deve dare alle sfide presenti, abbiamo quello della ristrutturazione del dicastero, che include, per esempio, la creazione di una sezione nuova per la musica e l'arte sacre al servizio della liturgia. Un altro aspetto di questa stessa ristrutturazione riguarda il trasferimento a un altro organismo della Santa Sede dell'«ufficio matrimoniale» per i casi di matrimonio rato e non consumato; anni fa è già passata al clero la dispensa dagli obblighi sacerdotali.
Si dice, come lei ha ricordato, che non si occuperà più dei sacramenti o che non sarà più di nostra competenza l'aspetto della «disciplina» dei sacramenti. Entrambe le cose sono impossibili, poiché liturgia e sacramenti sono uniti, sono la stessa cosa. Inoltre, la disciplina appartiene allo stesso nucleo dei sacramenti e della liturgia; la liturgia comporta sempre una regola, un regolamento, anche canonico, e questo è un aspetto che si deve curare e seguire con grande attenzione. In ultima analisi, si tratta del ius divinum, che è in gioco nella disciplina dei sacramenti. Ci sono norme da osservare, una legge da rispettare -- quella di Dio -- e anche abusi da correggere. Per questo, in nessun modo può scomparire dalla Congregazione la «disciplina dei sacramenti», che al contrario, verrà rafforzata. D'altro canto tutto ciò permetterà di dedicare e di concentrare la maggior parte dei non pochi sforzi e lavori necessari su tutto ciò che è in grado d'intensificare il movimento liturgico, ancora vivo, quale opera dello Spirito Santo, del concilio Vaticano II.
Benedetto XVI sta per compiere 84 anni e da quasi sei anni è a capo della Chiesa. Le chiedo di definire il suo maggiore contributo alla Chiesa.
Lei mi chiede di «definire» e ciò è impossibile. Sarebbe un'insolenza da parte mia. «Definire» è sempre ridurre.
E una personalità così ricca e un'opera così immensa e grandiosa come quella che il Papa sta portando avanti io non saprei «definirla» senza mutilarla e impoverirla. In ogni modo, osando molto, le dico che è il «Papa dell'essenziale», e che «l'essenziale», come ci ha detto nell'omelia della santa messa con la quale ha iniziato ufficialmente il suo Pontificato, è «fare la volontà di Dio», essere testimone di Dio e di ciò che Dio vuole, fare quello che Egli vuole, e la sua voce è molto chiara. È il Papa che sta ponendo Dio al centro di tutto, che ci ricorda permanentemente Dio, e la centralità di Dio, che ha un volto umano, il suo Figlio Unigenito, Gesù Cristo, che è Amore, e che la sua «passione» è l'uomo, totalmente inseparabile da Dio. È questo il punto più importante, sempre, e soprattutto in questo momento.
È a partire da tutto ciò che intendo il suo pontificato. Per esempio le sue tre encicliche, le sue esortazioni apostoliche, il suo massimo interesse e la sua attenzione per la liturgia e l'Eucaristia, per la Parola di Dio, il suo appello costante alla purificazione della Chiesa, alla conversione degli stessi cristiani nel significato radicale in cui egli la intende, il suo lavoro instancabile a favore dell'unità, e la sua difesa, superiore a qualsiasi altra, della verità e della ragione, e pertanto della libertà vera di ogni uomo.
In questo momento quali sono le maggiori preoccupazioni circa il futuro della Chiesa in Spagna?
L'ho detto molte volte e in diverse occasioni: la mia preoccupazione più grande è che gli uomini credano, perché credere o non credere non è la stessa cosa. Il problema principale della Spagna, che è alla base della situazione così grave che sta attraversando, come se si stesse dissanguando e svenando, ha la sua radice nel dimenticarsi di Dio, nel pretendere di vivere come se Dio non esistesse, e al margine di Dio, nella laicizzazione così grande e radicale voluta da alcune correnti o nella secolarizzazione interna della Chiesa stessa, nel dimenticarsi, da parte della Spagna, della sua identità e delle sue radici e del suo ricco apporto alla Chiesa e al mondo. Per questo la Chiesa in Spagna dovrebbe rileggere e meditare tutto ciò che il Papa ci ha detto nel suo recente viaggio nel nostro Paese e meditare nuovamente lo stesso magistero dei vescovi spagnoli, tanto ricco e suggestivo; per esempio, la loro istruzione del 2006, Orientaciones morales, o anche La verdad os hará libres, oppure Testigos del Dios vivo, per vedere che la grande sfida che abbiamo dinanzi è una nuova, pressante e coraggiosa evangelizzazione, un deciso rinnovamento di una nuova pastorale per l'«iniziazione cristiana», per fare cristiani.
In questo si riassume tutto, è tutto il suo futuro, le sue azioni improrogabili. Il Papa, in fondo, ci ha detto la stessa cosa che Giovanni Paolo II disse da Santiago all'Europa: «Spagna, sii te stessa». Con la ricchezza, la forza della tua fede, la capacità di evangelizzare e di creare cultura che questa fede e queste radici profondamente cristiane comportano.
Una grande sfida per la Chiesa in Spagna è quella di riacquistare il vigore di una fede vissuta capace di edificare un'umanità nuova, di avere più fiducia in se stessa, di non avere paura, di essere libera, di vivere in profonda unità, di rinnovare il tessuto della società, rinnovando contemporaneamente il tessuto delle nostre comunità. L'incoraggiamento e il vigore dei sacerdoti, le vocazioni sacerdotali, le vocazioni religiose, l'iniziazione cristiana, la presenza dei fedeli cristiani nella vita pubblica, non malgrado la loro fede ma proprio per la loro fede, la pastorale della santità, il rafforzamento dell'unità e della comunione: sono queste le sfide che abbiamo dinanzi a noi. Motivo di grande speranza è la Giornata mondiale della gioventù, un dono di Dio alla Chiesa in Spagna in questo momento. Il grande mandato è quello che ci ha lasciato Giovanni Paolo II nel suo ultimo viaggio nella nostra patria: «Spagna evangelizzata, Spagna evangelizzatrice. Questo è il tuo cammino».
La Chiesa spagnola le sembra preparata ad affrontare queste sfide?
Naturalmente sì. La Chiesa in Spagna ha una grande vitalità che, a volte, noi spagnoli non sappiamo riconoscere e apprezzare in modo adeguato. Siamo fatti così; dal di fuori si apprezza e si valorizza di più e meglio la forza interiore della Chiesa in Spagna, manifestata nella sua ripetutamente provata fedeltà al Vangelo, nella sua ineguagliabile attività evangelizzatrice e nella sua vasta presenza missionaria, in tante iniziative, in tante prese di posizione, in tanti impegni apostolici, nella sua grande storia, che, malgrado le lacune e gli errori umani, è degna di ammirazione e di stima. Questa storia dovrebbe fungere da ispirazione e stimolo nell'offrire l'esempio per andare avanti e migliorare il futuro.
Ritengo necessario ravvivare la fiducia nelle capacità della Chiesa in Spagna; non sono altro che quelle di Gesù Cristo presente in essa, il gran novero di santi e di martiri che riempiono la sua storia, le famiglie che hanno ancora principi e fondamenti cristiani, la ricchezza nascosta e la forza così straordinaria della vita contemplativa, la religiosità popolare, il suo ricco e vivo patrimonio culturale e sociale cristiano, il suo senso profondamente mariano, la scuola cattolica e le università della Chiesa… I timori e i complessi ci possono soffocare.
È il momento della fede e della fiducia; è il momento della verità e dell'essere liberi con la libertà di chi si appoggia a Dio; è il momento della speranza che non delude; il momento di vivere e di annunciare la sua grande e unica ricchezza, Gesù Cristo: questa non si può dimenticare, né tacere, né lasciar morire. Dobbiamo ricordarci, in questo preciso momento storico, delle incisive parole di Papa Giovanni Paolo II al suo arrivo all'aeroporto di Barajas nel suo primo viaggio: «Occorre che i cattolici spagnoli sappiano recuperare il vigore pieno dello spirito, il coraggio di una fede vissuta, la lucidità evangelica illuminata dall'amore profondo per il fratello». È questa la preparazione di cui si ha bisogno.
La stampa in generale, e quella che si occupa più specificatamente dell'informazione religiosa, è distratta da altri temi?
Alcuni sembrano essere distratti, non sanno o non vogliono sapere. I problemi di fondo spesso non sono laddove li segnalano. Per esempio, il problema non consiste nel fatto che il Governo detti questa o quella legge, o che faccia un gesto, dica una parola o abbia una reazione piuttosto che un altra. Non si gioca tutto sullo scacchiere della politica, né la Chiesa entra in tale gioco, né si può vedere tutto in chiave politica, e neppure ridurre tutto a una semplice interpretazione politica della presenza e delle relazioni della Chiesa con il mondo, con l'uomo di oggi. E neppure giudicare ogni cosa secondo lo schema conservatori o progressisti, moderni o estranei alla modernità che regna in questo ambiente. Non consiste neanche nelle questioni di «politica ecclesiastica» o nei commenti «clericali da sacrestia» che recano tanto danno e non costruiscono né seminano alcunché. No. Ciò non è entrare in quello che la Chiesa è e in quello che essa può e deve offrire alle persone e al nostro Paese. Riconosco che mi piacerebbe trovare una visione più ampia e aperta, più incentrata su ciò che è veramente importante, più profonda e approfondita delle questioni vere, che sono quelle che edificano e offrono un contributo.
L'episcopato spagnolo è diviso?
No, decisamente no. Grazie a Dio non è un episcopato monocromatico e neppure omogeneo. Ci sono pareri diversi e normali preferenze. Non si può però concludere che ci sia divisione. Nulla e nessuno, né dentro né fuori, dovrebbe attenuare o indebolire questa unione nella diversità. Tutto ciò che rafforza l'unità è fondamentale per una nuova evangelizzazione e per un futuro di speranza. Se prima ho detto «Spagna evangelizzata, Spagna evangelizzatrice, questo è il tuo cammino», ora aggiungo che è possibile percorrere questo cammino solo con una forte unità dell'episcopato. Credo che tutti ne siamo consapevoli.
L'Osservatore Romano - 28 febbraio - 1 marzo 2011
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