mercoledì 9 febbraio 2011

Il Motu Proprio per il culto divino


Arriva il Motu Proprio di Benedetto XVI che risistemerà la liturgia. La fede nasce da come si prega, dice il Papa. Che adesso vuole raddrizzare un po’ di storture del post Concilio

di Paolo Rodari

Dalla fine del Concilio vaticano II a oggi la liturgia della chiesa cattolica ha subìto abusi che sovente l’hanno trasformata, a tratti anche sventrata, nel suo nocciolo più profondo. Benedetto XVI ha denunziato più volte questi abusi, queste cattive interpretazioni di quanto i testi del Vaticano II avevano sancito – su tutti la “Sacrosanctum Concilium”, il primo documento conciliare – spiegando che se la fede della chiesa la si scopre in come prega (“lex orandi, lex credendi”) occorre tornare a una liturgia fedele alle regole, nuova come il Vaticano II ha sancito, senza però che sia sganciata da certe peculiarità del passato. Come ha detto recentemente anche il cardinale spagnolo Antonio Cañizares Llovera, prefetto della Congregazione del culto divino e della disciplina dei sacramenti, in un’intervista al Giornale, “ciò che occorre è un nuovo movimento liturgico, che riporti più sacralità e silenzio nella messa, e più attenzione alla bellezza nel canto, nella musica e nell’arte sacra”.

Il Papa questo nuovo movimento liturgico l’ha sponsorizzato dall’inizio del suo pontificato con l’esempio: le sue liturgie hanno perso molto di quella teatralità che era diventata un imprinting delle celebrazioni papali ai tempi di Wojtyla, e hanno guadagnato parecchio in silenzio, senso dell’orientamento, attenzione per i particolari.

E adesso, dopo quasi sei anni di pontificato, tutto il suo sforzo si convoglia in un Motu Proprio di imminente uscita. Il testo, atteso da tempo, serve per passare le competenze del matrimonio “rato ma non consumato” dalla congregazione per il Culto divino alla Sacra Rota. E, dunque, per snellire il Culto divino di tutti quegli impegni che non hanno a che fare direttamente con la liturgia. Lo scopo dichiarato è che sia d’ora in poi il Culto divino – è quanto in parte il Motu Proprio andrà a specificare – a lavorare affinché questo nuovo movimento liturgico trovi le energie necessarie e le giuste disposizioni per passare da un pio desiderio papale a una realtà.

L’idea di impiantare nella chiesa una sorta di “riforma della riforma” liturgica – nel post Concilio avvenne quella riforma che in parte tradì il volere dei padre conciliari – è un chiodo fisso del Papa. Egli, non a caso, ha voluto che la pubblicazione della propria “Opera omnia” iniziasse partendo dal volume undicesimo, quello dedicato alla liturgia, perché, scrive, è “nel rapporto con la liturgia che si decide il destino della fede e della chiesa. Cristo è presente nella chiesa attraverso i sacramenti. Dio è il soggetto della liturgia, non noi. La liturgia non è un’azione dell’uomo, ma è azione di Dio”.

Troppo spesso non è stato così. Troppo spesso la liturgia è stata ferita da deformazioni arbitrarie. In tante celebrazioni non si è più posto al centro Dio, ma l’uomo e il suo protagonismo, la sua azione creativa, il ruolo principale dato all’assemblea. Il rinnovamento conciliare è stato inteso come una rottura e non come uno sviluppo organico della tradizione. Per questo motivo Ratzinger ha riproposto l’orientamento dell’azione liturgica, la croce al centro dell’altare, la comunione in ginocchio, il canto gregoriano, lo spazio per il silenzio, una certa cura dell’arte sacra. Per questo motivo esce con un Motu proprio, una disposizione importante che va a sanare una lacuna divenuta oramai atavica.

Già da cardinale Joseph Ratzinger disse parole chiare in merito. Il 28 dicembre del 2001 intervenne sul quotidiano francese La Croix: “Alcuni addetti ai lavori vorrebbero far credere che tutte le idee non perfettamente conformi ai loro schemi sono un ritorno nostalgico al passato. Lo dicono solo per partito preso. Bisogna riflettere seriamente sulle cose e non accusare gli altri di essere partigiani di San Pio V. Ogni generazione ha il compito di migliorare e rendere più conforme allo spirito delle origini la liturgia. E penso che effettivamente oggi c’è motivo di lavorare molto in questo senso, e riformare la riforma. Senza rivoluzioni (sono un riformista, non un rivoluzionario), ma un cambiamento ci deve essere. Dichiarare impossibile a priori ogni miglioramento mi sembra un dogmatismo assurdo”.

Fonte:Foglio - mercoledì 9 febbraio 2011

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