martedì 8 febbraio 2011

Quattro elementi che fanno la Chiesa

di Massimo Introvigne
07-02-2011

Consacrando in San Pietro sabato 5 febbraio cinque nuovi vescovi, Benedetto XVI ha pronunciato un'omelia molto significativa, di cui ha ripreso alcune idee anche nell'Angelus di domenica 6 febbraio.

Il vescovo è per la Chiesa, e la consacrazione di vescovi è dunque occasione per ricordare che cosa fa la Chiesa e che cosa alla Chiesa si chiede: «Portare agli uomini - ha detto il Papa - la luce della verità, liberarli dalla povertà di verità, che è la vera tristezza e la vera povertà dell’uomo. Portare loro il lieto annuncio che non è soltanto parola, ma evento: Dio, Lui stesso, è venuto da noi. Egli ci prende per mano, ci trae verso l’alto, verso se stesso, e così il cuore spezzato viene risanato».

Potrebbe sembrare che queste parole del Vangelo oggi siano diventate anacronistiche, e che il «lieto annuncio» all'uomo del 2011 non interessi più. Non è così, assicura il Pontefice. «"La messe è abbondante” – anche oggi, proprio oggi. Anche se può sembrare che grandi parti del mondo moderno, degli uomini di oggi, volgano le spalle a Dio e ritengano la fede una cosa del passato – esiste tuttavia l’anelito che finalmente vengano stabiliti la giustizia, l’amore, la pace, che povertà e sofferenza vengano superate, che gli uomini trovino la gioia. Tutto questo anelito è presente nel mondo di oggi, l’anelito verso ciò che è grande, verso ciò che è buono. È la nostalgia del Redentore, di Dio stesso, anche lì dove Egli viene negato».

Il desiderio di Dio è ancora presente nell'Occidente contemporaneo, almeno come nostalgia. Saper rispondere a questa nostalgia «non è una questione di management, della nostra propria capacità organizzativa». Riprendendo quanto affermato nel Messaggio alla II Conferenza Continentale Latino Americana delle Vocazioni, pubblicato il 1 febbraio, e nell'omelia del 2 febbraio per la Giornata della Vita Consacrata - due interventi di cui La Bussola Quotidiana ha dato conto - il Papa ha ribadito che la chiave della nuova evangelizzazione è la vita spirituale. Dio vuole entrare nella storia, ha detto, «attraverso la porta della nostra preghiera».

La Chiesa, a sua volta, entra «nella storia del mondo con il compito di risanare aprendo le porte del mondo alla signoria di Dio, affinché la volontà di Dio sia fatta sulla terra come in cielo». La missione dei sacerdoti e dei vescovi, in particolare, è una forma speciale di «cooperazione alla missione di Gesù Cristo, quale partecipazione al dono dello Spirito Santo, dato a Lui in quanto Messia, il Figlio unto da Dio. La Lettera agli Ebrei [...] completa ancora questo a partire dall’immagine del sommo sacerdote Melchìsedek, che è un rinvio misterioso a Cristo, il vero Sommo Sacerdote, il Re di pace e di giustizia».

Benedetto XVI ha poi voluto raccomandare, anche ai vescovi, lo studio del suo ciclo di discorsi per la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani di quest'anno, di cui pure La Bussola Quotidiana ha dato puntuale notizia. Questi discorsi, nel loro insieme, costituiscono un articolato commento del Papa al brano degli Atti degli Apostoli scelto come motto per la Settimana ecumenica di quest'anno: «Erano perseveranti nell'insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere” (At 2,42).

Il Pontefice ha ribadito il 5 febbraio che qui troviamo descritti «quattro elementi portanti dell’essere della Chiesa». «Tutti e quattro gli elementi sono tenuti insieme mediante l’espressione “erano perseveranti” – “erant perseverantes”: la Bibbia latina traduce così l’espressione greca προσκαρτερ?ω: la perseveranza, l’assiduità, appartiene all’essenza dell’essere cristiani». Il vescovo, ma in realtà ogni cristiano «non deve essere una canna di palude che si piega secondo il soffio del vento, un servo dello spirito del tempo», e deve avere al contrario «il coraggio di opporsi alle correnti del momento».

Il primo dei quattro elementi costitutivi della Chiesa è «“perseverare nell’insegnamento degli Apostoli” – la fede ha un contenuto concreto. Non è una spiritualità indeterminata, una sensazione indefinibile per la trascendenza. Dio ha agito e proprio Lui ha parlato. Ha realmente fatto qualcosa e ha realmente detto qualcosa. Certamente, la fede è, in primo luogo, un affidarsi a Dio, un rapporto vivo con Lui. Ma il Dio al quale ci affidiamo ha un volto e ci ha donato la sua Parola. Possiamo contare sulla stabilità della sua Parola. La Chiesa antica ha riassunto il nucleo essenziale dell’insegnamento degli Apostoli nella cosiddetta Regula fidei, che, in sostanza, è identica alle Professioni di Fede. È questo il fondamento attendibile, sul quale noi cristiani ci basiamo anche oggi. È la base sicura sulla quale possiamo costruire la casa della nostra fede, della nostra vita (cfr Mt 7,24ss)».

Il secondo «pilastro dell’esistenza ecclesiale, san Luca lo chiama κοινων?α – communio». L'interpretazione di questa parola, ha detto il Papa, non è scontata. «Che cosa Luca voglia precisamente esprimere con tale parola in questo testo, non lo sappiamo. Possiamo quindi tranquillamente comprenderla in base al contesto globale del Nuovo Testamento e della Tradizione apostolica». La testimonianza degli apostoli ci assicura che con la venuta di Gesù Cristo «Dio si è reso per noi visibile e toccabile e così ha creato una reale comunione con Lui stesso. Entriamo in tale comunione attraverso il credere e il vivere insieme con coloro che Lo hanno toccato. Con loro e tramite loro, noi stessi in certo qual modo Lo vediamo, e tocchiamo il Dio fattosi vicino. Così la dimensione orizzontale e quella verticale sono qui inscindibilmente intrecciate l’una con l’altra. Con lo stare in comunione con gli Apostoli, con lo stare nella loro fede, noi stessi stiamo in contatto con il Dio vivente». E «a tale scopo serve il ministero dei Vescovi: che questa catena della comunione non si interrompa. È questa l’essenza della Successione apostolica: conservare la comunione con coloro che hanno incontrato il Signore in modo visibile e tangibile e così tenere aperto il Cielo, la presenza di Dio in mezzo a noi».

Il terzo pilastro della Chiesa è lo spezzare il pane. L'inclusione di questo gesto nell'elenco degli elementi fondamentali della Chiesa proposto dagli Atti degli Apostoli indica che «la santa Eucaristia è il centro della Chiesa». Ai vescovi e ai sacerdoti il Papa raccomanda: «Cerchiamo di celebrare l’Eucaristia con una dedizione, un fervore sempre più profondo, cerchiamo di impostare i nostri giorni secondo la sua misura, cerchiamo di lasciarci plasmare da essa». Ne nascerà anche un impegno sociale non puramente umanitario, ma veramente ispirato dalla fede.

Come quarto pilastro della Chiesa san Luca, l'autore degli Atti degli Apostoli, «menziona “le preghiere”. Egli parla al plurale: preghiere. Che cosa vuol dire con questo? Probabilmente pensa alla partecipazione della prima Comunità di Gerusalemme alle preghiere nel tempio, agli ordinamenti comuni della preghiera. Così si mette in luce una cosa importante. La preghiera, da una parte, deve essere molto personale, un unirmi nel più profondo a Dio. Deve essere la mia lotta con Lui, la mia ricerca di Lui, il mio ringraziamento per Lui e la mia gioia in Lui. Tuttavia, non è mai soltanto una cosa privata del mio “io” individuale, che non riguarda gli altri. Pregare è essenzialmente anche sempre un pregare nel “noi” dei figli di Dio. Solo in questo “noi” siamo figli del nostro Padre, che il Signore ci ha insegnato a pregare. Solo questo “noi” ci apre l’accesso al Padre». Così, «pregare, in ultima analisi, non è un’attività tra le altre, un certo angolo del mio tempo. Pregare è la risposta all’imperativo che sta all’inizio del Canone nella Celebrazione eucaristica: Sursum corda – in alto i cuori! È l’ascendere della mia esistenza verso l’altezza di Dio».

Questo vale per i vescovi e i sacerdoti, chiamati a essere «pescatori di uomini nell’oceano del nostro tempo». Ma vale per tutti i cristiani. Nell'omelia del 5 febbraio il Papa ricorda l'immagine del Papa san Gregorio Magno (ca. 540-604), che paragona la preghiera alla luce.

Sulla luce Benedetto XVI è tornato nell'Angelus del 6 febbraio, commentando il Vangelo della domenica in cui il Signore Gesù dice ai suoi discepoli: «Voi siete il sale della terra … Voi siete la luce del mondo» (Mt 5,13-14).
La luce, qui, è messa in una relazione con il sale che a noi può apparire piuttosto curiosa. Ma, spiega il Papa, «il sale, nella cultura mediorientale, evoca diversi valori quali l’alleanza, la solidarietà, la vita e la sapienza». Mentre «la luce è la prima opera di Dio Creatore ed è fonte della vita; la stessa Parola di Dio è paragonata alla luce, come proclama il salmista: "Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino" (Sal 119,105). E sempre nella Liturgia odierna il profeta Isaia dice: "Se aprirai il tuo cuore all’affamato, se sazierai l’afflitto di cuore, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio" (58,10)».

Alla fine le immagini del sale e della luce convergono nell'idea della sapienza cristiana. «La sapienza riassume in sé gli effetti benefici del sale e della luce: infatti, i discepoli del Signore sono chiamati a donare nuovo "sapore" al mondo, e a preservarlo dalla corruzione, con la sapienza di Dio, che risplende pienamente sul volto del Figlio, perché Egli è la "luce vera che illumina ogni uomo" (Gv 1,9). Uniti a Lui, i cristiani possono diffondere in mezzo alle tenebre dell’indifferenza e dell’egoismo la luce dell’amore di Dio, vera sapienza che dona significato all’esistenza e all’agire degli uomini».

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