Siamo disposti a molto, a tanto, pur di farci curare dal migliore specialista; ma poi non facciamo alcun sacrificio per curare la nostra anima.
Le penitenze le abbiamo dimenticate. Le rinunce anche. Di impegno per migliorare e santificare la nostra anima, neanche a parlarne.
Ovviamente ci diciamo “cristiani” e non ci accorgiamo che, in questo modo di fare, di cristiano non c’è nulla.
Certo, il corpo va curato… eccome. La salute fisica va salvaguardata non solo per sé, ma anche per gli altri a cui la nostra persona serve, nel senso letterale di “servire”. Ma l’anima l’abbiamo quasi completamente dimenticata. Non c’impegniamo più di tanto per eliminare e odiare il peccato. E in questo modo viviamo da pagani, da pagani-cristiani, ma da pagani.
Eppure, se noi pensassimo prima alla nostra salute spirituale e poi a quella del corpo, il Signore ci darebbe grazie tanto per l’anima quanto per il corpo. L’importante è gerarchizzare.
Sentiamo cosa ci dice Jean-Baptiste Saint-Jure nel suo “Fiducia nella divina Provvidenza. Segreto di pace e felicità”:
(…) tu hai dei mali segreti molto più considerevoli di quelli di cui ti lamenti, mali da cui, nondimeno, non chiedi di essere liberato; se, per ottenere ciò, avessi rivolto la metà delle preghiere che hai fatto per essere guarito dai mali esteriori, già da lungo tempo il Signore ti avrebbe liberato dagli uni e dagli altri.
La povertà ti serve per tenere il tuo spirito, naturalmente orgoglioso, nell’umiltà, l’attaccamento estremo che hai per il mondo rende necessarie quelle maldicenze che ti affliggono; le malattie sono in te come una diga per proteggerti dalla tendenza che hai per piaceri, quella tendenza che ti trascinerebbe in mille malanni. (…) Se il Signore vedesse in te qualche premura per acquistare queste virtù, te le concederebbe senz’altro e non sarebbe più necessario chiedere il resto.”
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