sabato 25 giugno 2022

La sentenza della Corte suprema USA non è una fine ma un inizio










Di Stefano Fontana 25 GIU 25 2022

La sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti d’America che dichiara incostituzionale l’aborto, emanata nella Festa del Sacro Cuore di Gesù, apre provvidenzialmente una nuova epoca nella quale tutti i sostenitori della vita dovranno combattere più di prima: come hanno detto i vescovi degli Stati Uniti, non è la fine di qualcosa ma è un inizio. In questa nuova epoca ci sarà anche il nostro Osservatorio con il suo impegno.

Spesso, davanti ad alcune tendenze perverse dei nostri sistemi politici, così sistematicamente presenti ad ogni latitudine, rimaniamo sconfortati e pensiamo che le dinamiche di morte siano irreversibili perché tanti e troppi interessi materiali e ideologici le alimentano. Spesso parliamo di un “sistema” contro la vita, espressione di una “cultura della morte”, come scriveva Giovanni Paolo II, una cultura della morte che sembra corrodere ogni aspetto di bontà e bellezza e fare il vuoto attorno a sé.

Questa sentenza dimostra che questa presunta irreversibilità non esiste. È vero che la storia non può tornare indietro e che quanto è accaduto rimane come accaduto. È così anche per i milioni di bambini a cui è stata strozzata la vita nel grembo delle loro mamme. Però è possibile rileggere il passato e impostare il futuro su basi diverse, di bene anziché di male. È difficile, certo, richiede lotta, impegno e sacrificio, ma non è impossibile. La secolarizzazione, sia religiosa che morale, ossia la corrosione del senso della vita, non è irreversibile, essa dipende dalla volontà umana e dalla Provvidenza divina. Dipende, più precisamente, dalla libertà umana docile alla Provvidenza divina.

La sentenza della Corte suprema non dice la parola fine anche perché da questo momento gli Stati americani non sono più obbligati ad ammettere l’aborto, ma la decisione viene ricondotta agli Stati stessi. Insomma, la sentenza non vieta l’aborto in tutti gli Stati americani. In questo senso non è corretto dire che “rovescia” la Roe v. Wide, la sentenza che nel 1973 aveva imposto l’aborto a tutti gli Stati americani. Quindi di lavoro da fare ne rimane ancora molto negli Stati Uniti.

Ne rimane ancora molto – e forse di più – anche nelle altre parti del mondo, soprattutto nei Paesi europei ultra-secolarizzati dove l’elite di Bruxelles reagirà con forza, come aveva già fatto quando Trump aveva bloccato i finanziamenti pubblici per l’aborto e la UE li aveva aumentati per compensazione. Nei Paesi europei, e specialmente nell’Unione Europea, l’ortodossia ideologica contro la vita è perfino superiore che negli Stati Uniti.

Di lavoro da fare ne rimane molto anche nella Chiesa. Nonostante il comunicato del Presidente dei vescovi americani, l’arcivescovo Gomez di Los Angeles, dichiari senza mezzi termini il proprio ringraziamento al Cielo per la sentenza, si sa che su questo argomento i vescovi americani sono molto divisi e che il gruppetto di vescovi sostenuti oggi dal Vaticano sono su posizioni pastoralmente molto possibiliste sui temi della vita, della procreazione e della famiglia. Questa sentenza della Corte Suprema dividerà anche la Chiesa al proprio interno, o meglio farà emergere le divisioni profonde già fino ad oggi esistenti. Dovremo assistere ad un probabilmente triste gioco delle parti, con dichiarazioni via via più sfumate man mano che si scivola verso l’ala più progressista della Chiesa. Non dimentichiamo il grande appoggio dato dalla Chiesa universale alla elezione del presidente Biden e la grande e pregiudiziale avversione a Donald Trump. Con la sua sentenza la Corte suprema, pur non volendolo, dividerà la Chiesa cattolica, ma sarà una differenziazione salutare che bisognerà affrontare con amore per la Chiesa senza rinunciare all’amore per la Verità.

Alla fine a decidere sono state 6 persone contro 3. Non dobbiamo pensare che sia stato il popolo americano ad emanare questa sentenza. Questo esito è stato frutto delle recenti nomine attuate dal presidente Trump. La sua presidenza può essere valutata in molti modi. Non può tuttavia essere negato che si è trattato di una presidenza “di rottura” rispetto al “sistema”. Tra i principali motivi di questa rottura c’è stata anche la politica a favore della vita nascente e contro l’abominevole logica di Planned Parenthood, poi ripresa (purtroppo) da Biden e dalla Harris con il sostegno di molti cattolici. Anche questo è un elemento da tenere presente e che non chiude ma apre ad una nuova epoca di impegno. La garanzia la si avrà solo quando il modo di pensare della gente cambierà, quando alla cultura della morte che oggi viene diffusa con ogni mezzo si sostituirà la cultura della vita.

Stefano Fontana





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