lunedì 11 novembre 2019

“Considerata in sé stessa, l’idolatria è il più grande dei peccati mortali”. Liberalismo e idolatria nella concezione del Card. San John Henry Newman



Indigeni Amazzonia pregano nei giardini vaticani 
04.10.2019 (screenshot da video Catholic sat)


Dopo che l’ufficio stampa del Sinodo dell’Amazzonia ha utilizzato un brano del Card. San John Henry Newman per giustificare l’uso della dea Pachamama e dei riti pagani svolti nei giardini vaticani, nella processione della Basilica di San Pietro e nella chiesa di Santa Maria in Traspontina, il prof. Michael Pakaluk verga un articolo che spiega che non è affatto così, e che si tratta di un vero e proprio travisamento del pensiero del santo cardinale .

Ecco il suo articolo, pubblicato su Crisis Magazine, che vi proponiamo nella traduzione di Riccardo Zenobi.




Michael Pakaluk*

“Considerata in sé stessa, l’idolatria è il più grande dei peccati mortali”. Così comincia nella vecchia Enciclopedia Cattolica la voce sul tema. Sono stato sorpreso nel leggere che questo è il più grande dei peccati mortali. E’ peggiore dell’omicidio? Ancora peggio dell’abuso sessuale su minore?

“Perché è, per definizione,” continua la voce, "una intromissione nella sovranità di Dio sul mondo, un attentato alla Sua divina maestà, un mettere una creatura sul trono che appartiene solo a Lui. Anche la simulazione dell’idolatria, fatta per evitare la morte durante le persecuzioni, è un peccato mortale, per via della perniciosa falsità che involve e lo scandalo che causa. Di Seneca il quale, contro la sua migliore sapienza, prese parte in adorazioni idolatriche, sant’Agostino disse: “Doveva essere condannato più per aver mendacemente fatto ciò che le persone credevano facesse sinceramente”.

Bene (ho pensato), questo è sensato.

Ciò che viola il Primo Precetto della Carità, e il Primo Comandamento, è ragionevolmente il peggior peccato. È così male, e così scandaloso, che anche la sua apparenza, mentre interiormente non si consente ad esso, è un peccato grave, secondo sant’Agostino. Migliaia e forse milioni di cristiani sono morti pur di non rendere offerte ad un idolo. È giusto che loro lo abbiano fatto. La Chiesa insegna che dobbiamo evitare l’idolatria anche al costo della nostra vita.

Questa verità stabilisce – se non un onere della prova per dimostrare il contrario – almeno una ragionevole richiesta al diritto di chiarificazione da parte di un cattolico laico. Mi riferisco all’inizio del Sinodo Amazzonico, quando un oggetto che sembrava un idolo è stato portato nei giardini vaticani e posto al centro di quella che sembrava una cerimonia religiosa con offerte e prostrazioni. La stessa immagine è stata poi messa in una chiesa. Inoltre, qualcosa che sembrava un’offerta a questa immagine – una ciotola con piante – è stata portata all’altare durante l’Offertorio, durante la Messa di chiusura del Sinodo, e posta sull’altare, dove è stata lasciata fino alla fine della Messa.

Nessuno che conosco ha preso parte a nulla di simile. Non è stata né mia iniziativa né dei miei conoscenti. Stavamo pensando ai nostri affari ma trovare queste scene e queste cose è stata una stoccata verso di noi. È sembrato che avessimo diritto di chiedere: cosa stava succedendo? Sembrava che un idolo fosse coinvolto in qualche modo. Per favore spiegateci perché quello non era un idolo.

“Considerate in sé stessa, l’idolatria è il più grande dei peccati mortali”. Prendete ogni altro peccato mortale, meno serio, e immaginate una cerimonia nella quale sembrava che tale peccato fosse commesso – per esempio, una non menzionabile pratica da un culto pagano inclusa in un rito non cristiano nei giardini Vaticani. Nessuno sarebbe disapprovabile se trovasse anche la sola apparenza di questa cosa oltraggiosa; se chiedesse una spiegazione sul perché non sarebbe, dopo tutto, ciò che sembrava; o se volesse sapere perché qualcosa che sembrava così oggettivamente sbagliato è stato ciononostante tollerato. Nessuna buona spiegazione è ancora stata offerta. Durante il Sinodo Amazzonico, il servizio informativo Vaticano si è riferito ad un paragrafo in Newman che suggeriscono giustifichi l’uso delle “Pachamama”. In un articolo della scorsa settimana su Crisis, ho esposto come quel paragrafo di Newman non dica nulla del genere. Semplicemente osservava, contro il protestantesimo della Chiesa Bassa, che la Chiesa Cattolica nel corso dei secoli ha incorporato vari tipi di pratiche religiose trovate nel paganesimo, come le candele, l’aspersione dell’acqua, e le figurette sul ciglio della strada. Newman stava argomentando contro l’idea che l’antica cristianità non aveva queste pratiche. Il suo punto di vista era che lo “sviluppo” della Chiesa ha incorporato vari tipi di pratiche pagane. Ovviamente, credeva anche che la Chiesa non lo avesse fatto quando ci fosse stata la possibilità di confusione tra il culto pagano e il culto cristiano, o se qualcuno potesse usare le pratiche cristiane per invocare divinità pagane. Come sempre, le pratiche sono state ricreate con un significato completamente differente nel cristianesimo.

Questo semplice fatto merita molta osservazione. È come se un cristiano dicesse che, come è vero, l’intercorso sessuale tra marito e moglie nel santo matrimonio ha un significato completamente nuovo. Supponete che prima fossero promiscui. La loro relazione casta significa qualcosa di diverso. Il sesso tra di loro (di per sé) non evoca i “falsi dèi” di amanti passati. – Poiché Dio è un Dio geloso, e qualsiasi cosa che includa lealtà a falsi dèi è completamente vietata da Lui. Ecco perché qui voglio dare seguito e sottolineare che il passaggio di Newman concretamente non dice nulla sugli idoli. Menziona “immagini”, ma ciò significa certamente che la Chiesa Cattolica, invece di rigettare le immagini scolpite come facevano gli Israeliti, ha fatto uso di immagini di Nostro Signore, della Beata Vergine, e dei santi.

La ragione è che Newman prende la storia di sane pratiche cristiane per riflettere sul proprio orrore dell’idolatria. Per Newman ed altri del movimento di Oxford, ogni cosa si incardinava sul se la Chiesa Romana fosse idolatra o no. Bisognava mostrare che aveva incorporato modelli pagani di culto, mentre in nessun modo flirtava con l’idolatria pagana. Allora, come per molti protestanti oggi, il fatto che la Chiesa a Roma si mostrasse indulgente verso l’idolatria era un argomento decisivo contro il diventare cattolico.

Uno dei più attraenti ricordi personali di Newman fu quello di William Lockhart, che, dopo la sua morte nel 1891, scrisse le sue memorie degli anni da studente ad Oxford cinquanta anni prima. “Quando Newman legge le Sacre Scritture dal leggio di St. Mary o a Littlemore”, rammenta Lockhart, “sentivamo più che mai che le sue parole erano le parole di un Veggente, che vedeva Dio, e le cose di Dio”.

C’era solo una particolare memoria a riguardo che Lockhart includeva nella sua collezione di ricordi: la reazione di Newman contro l’idolatria. “Ricordo la sua lettura del passaggio nel Libro della Sapienza riguardo la costruzione di idoli”, scrive Lockhart, “ed il sublime disprezzo con il quale leggeva dell’‘intagliare il blocco di legno e verniciarlo di vermiglione’ mi impressionava con la semplice stupidità di tentare di mettere l’idea di Dio sotto una forma materiale”.


Screenshot dalla cerimonia nei giardini vaticani del 4 ottobre 2019

Il “sublime disprezzo” di Newman verso gli idoli si trova acutamente espresso in contesti dove uno potrebbe antecedentemente aspettarsi qualche simpatia. Per esempio, nel suo sermone “La festa del Vangelo”, argomenta che la Scrittura ha sempre usato una festa come immagine della nostra relazione con Dio. Anche l’offerta pagana agli idoli della natura e del raccolto testimonia questa verità, e dice: “Questa sembra essere stata la comune nozione di comunione con Dio in tutto il mondo, comunque sia stata ottenuta; ossia che arriviamo al possesso dei Suoi doni invisibili con la partecipazione in Lui visibile”.

Ancora, Newman in nessun modo ammette che i pagani stiano facendo le stesse cose dei cristiani. Hanno testimoniato la verità, è molto chiaro, solo nella misura in cui, attraverso una festa, riescono a comunicare con i diavoli, proprio come i cristiani ora comunicano con Dio.

San Paolo sembra riconoscere che in quel modo [i pagani] comunicavano, anche se miseramente e timorosamente, con quegli idoli e con gli spiriti maligni che rappresentavano. “Le cose che i Gentili sacrificano, sacrificano ai diavoli e non a Dio; e non vorrei che tu mantenga la comunione con i diavoli ”. (1 Cor. x. 20) Qui, come prima, si parla di una festa come mezzo per comunicare con il mondo invisibile, sebbene, quando la festa era idolatra, essa era la compagnia degli spiriti maligni.

L’assunzione base del romanzo di Newman ambientato nel terzo secolo, Callista, è che l’ostinato rifiuto dell’offerta agli idoli è la pietra di paragone del vero cristianesimo. I magistrati lo sapevano molto bene: “era solo in tempi critici, quando qualche atto idolatrico era insistito da parte dei magistrati, che la natura specifica del cristianesimo era controllata e testata. Così, alla lunga, sembrava differire da tutte le altre varietà religiose con quella irrazionale e disgustosa ostinazione, come si sentiva, che avrebbe preferito soffrire tormenti e perdere la vita che sottomettersi a qualche graziosa, o toccante, o alla fine insignificante osservanza che la tradizione dei tempi ha sanzionato”. Callista arriva a comprendere questo; non dirò altro per evitare spoiler.

In tali materie, Newman era molto informato nei suoi studi sui Padri e i “primi cristiani”. Osservando i seguaci di sant’Antonio, per esempio, dice, “Consideravano che la natura bruta fosse largamente sotto il potere degli spiriti; e, dall’altra parte, c’è stato un tempo quando lo stesso Spirito Creatore ha condisceso a manifestare Sé Stesso nella forma corporale di una colomba. Le loro nozioni riguardo le influenze demoniache locali esistenti negli oracoli e negli idoli, che erano sanzionate dalla Scrittura, confermava questa credenza”. Non c’è l’ottimistica celebrazione degli ‘spiriti’ venerati tra le tribù Amazzoniche, che uno trova nel documento finale del Sinodo.


Sant’Atanasio, scrivendo la sua Storia degli Ariani¸ un testo che Newman ha editato, prende l’introduzione di idoli nelle chiese nell’Egitto del quarto secolo come la peggiore malvagità possibile: “Quando mai è stato udita una simile iniquità? Quando mai un simile male è stato perpetrato, anche in tempo di persecuzioni? Erano i pagani che perseguitavano precedentemente; ma non portavano i loro idoli nelle chiese…Questo è un nuovo pezzo di iniquità. Non è semplice persecuzione, ma più che una persecuzione, è un preludio e la preparazione all’arrivo dell’Anticristo”.

Così pensavano; così, penso possiamo affermare, pensava Newman.

Newman aborriva così tanto l’idolatria che, nel suo più ampio pensiero, influenzato da Francesco Bacone, usa la parola “idolo” in un senso metaforico, per significare una falsa credenza mantenuta in materie importanti. Finiamo per servire questa menzogna – questo idolo – come se servissimo un falso dio. Se ci aggrappiamo a questo “idolo”, ci impedisce di avvicinarci al vero Dio.

È comunemente riconosciuto che Newman nel suo “discorso del Biglietto” alla fine della sua vita identifica il “liberalismo” nella religione come l’errore contro il quale ha speso la sua intera vita. Questo suo impulso è veramente l’elemento unificante nel suo pensiero. O, più semplicemente, l’elemento unificante è l’opposto del “liberalismo” – ossia, il suo impegno a ciò che chiama “il principio dogmatico”. Questo principio significa il credere che vi sia una sola verità nella religione, che cerchi con coraggio e tenacia, e che abbracci completamente quando la trovi, anche a costo della vita se necessario (nel caso di Newman, rinunciò alla sua posizione ad Oxford e alla sua reputazione nella società inglese).

Se vedi qualche analogia tra il Primo Comandamento e il “principio dogmatico” da una parte, e l’idolatria e il “liberalismo” nella religione, sei nel giusto. Un altro modo di dire le cose è che per Newman, il relativismo nella religione era lo stesso che il politeismo, e il politeismo è un tipo di relativismo. La sua battaglia co il liberalismo, e il suo odio dell’idolatria, erano una sola cosa.

Oppure si può dire che il “sublime disprezzo” di Newman verso l’idolatria, che ha imparato dai Padri, trovava espressione nella “ostinazione irrazionale e disgustosa” di questo grande vittoriano nell’affermare la verità assoluta nella religione. In ogni caso, non è facile trasformare un passaggio di Newman in una spiegazione di apparente idolatria.





*Michael Pakaluk è professore ordinario di etica e filosofia sociale presso la Catholic University of America. Studioso di Newman, sta lavorando ad un libro su Newman come filosofo. Il suo ultimo libro è Le Memorie di San Pietro: Una nuova traduzione del Vangelo secondo Marco (Regnery, 2019).














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