Alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale non si insegna la dottrina tradizionale della Chiesa sull’omosessualità. È il caso del corso di Morale speciale del prof Fumagalli dove quello omosessuale è chiamato “amore”. Emerge così che niente è peccato, tutto è "grazia". Con questi corsi si formano i preti che diventeranno parroci e, alcuni di loro, vescovi. E la nuova morale della nuova Chiesa entrerà nelle diocesi dalla porta principale.
Stefano Fontana, 17-11-2019
Esiste una dottrina tradizionale della Chiesa sull’omosessualità. Alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, però, non la si insegna, se ne insegna un’altra, diversa da quella tradizionale. È il caso del corso di Morale speciale, tenuto dal prof. Aristide Fumagalli (nella foto in basso), e dedicato a “Amore omosessuale e fede cristiana”. Dalla presentazione del corso, che si può leggere nell’annuario 2019-2020 della Facoltà, emerge che l’attività didattica partirà “dall’ascolto dell’esperienza omosessuale”, quindi si ricorrerà alle “variegate interpretazioni delle scienze umane al fine di pervenire ad una comprensione il più possibile accorta e complessiva”. Infine si ricorrerà “all’insegnamento tradizionale della Chiesa” per “chiarire quanto esso intercetti effettivamente e quanto invece non colga adeguatamente l’attuale esperienza omosessuale di persone credenti”. Ciò permetterà il dialogo e, “sulla scorta di una rinnovata interpretazione e valutazione cristiana dell’amore omosessuale, si provvederà a indicare i criteri morali che devono orientare la vita amorosa di persone omosessuali affinché anch’essa corrisponda al comandamento nuovo dell’amore di Cristo”.
Queste righe sono sufficienti per capire il cambiamento. Quello omosessuale è chiamato “amore”, esattamente come quello eterosessuale. La realtà di questo “amore” è fatta emergere dalla esperienza e dalle indagini empiriche delle scienze sociali e non dalla rivelazione né dalla ragione. Ad essere messo in discussione, appunto a partire da queste fonti, è l’insegnamento tradizionale della Chiesa e non il contrario: si dovrà valutare non quanto l’esperienza sia conforme all’insegnamento della Chiesa ma quanto quest’ultimo sia conforme all’esperienza omosessuale. Ad essere normativa è quest’ultima e non l’insegnamento della Chiesa. Infine, da questa interpretazione, che viene senza mezzi termini detta “nuova”, si provvederà ad indicare “i criteri morali della vita amorosa di persone omosessuali”, il che significa che la relazione omosessuale non è immorale, ma contiene una sua moralità e può corrispondere “al comandamento nuovo dell’amore di Cristo”.
Ecco qui un esempio del “nuovo paradigma” teologico di oggi, che sembra a tutti gli effetti espressione di una “nuova Chiesa”. Innanzitutto la dimensione storicistica: non ci sono principi morali assoluti, ma tutti gli insegnamenti della Chiesa devono essere giudicati alla luce dell’esistenza e dell’esperienza, che quindi diventano co-produttrici di dottrina. Secondariamente, un nuovo concetto di tradizione: non più come qualcosa di vero sempre, ma come qualcosa di passato e da aggiornare. In terzo luogo l’idea che Cristo ci abbia dato degli ideali e che tutti siano in cammino verso di essi, anche se qualcuno è più avanti e altri sono più indietro. La relazione omosessuale può piacere quindi a Dio ed eventuali criteri morali non la devono condannare ma farla crescere. Infine l’idea che Dio si comunica nell’esistenza, quindi si comunica a tutti e in tutte le situazioni, con la conseguente scomparsa dell’idea di peccato. Niente è peccato, tutto è grazia, anche se in misura diversa. Tutti questi elementi si trovano codificati nell’esortazione apostolica Amoris laetitia. Faccio anche notare, di striscio, che se questa è l’impostazione della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, esistono possibilità molto vicine alla certezza che diventi anche l’impostazione del nuovo Istituto Giovanni Paolo II per le Scienze su Matrimonio e Famiglia, dato il nuovo statuto e il travaso di professori dall’una all’altra.
La Facoltà di piazza Paolo VI a Milano è frequentata da molti sacerdoti provenienti da tutta l’Italia settentrionale, da Torino a Trieste. Costoro apprenderanno questa teologia che contrasta in modo evidente con tutto il magistero della Chiesa fino ad ora. Questi sacerdoti diventeranno parroci e nelle loro parrocchie verrà insegnata questa dottrina morale, la qual cosa non produrrà grandi effetti nella pastorale delle persone con orientamento omosessuale, ma riuscirà benissimo a demolire la concezione tradizionale della morale cristiana nei fedeli e specialmente nei giovani che frequentano quelle parrocchie. Poi qualcuno di questi sacerdoti diventerà vescovo e la nuova morale verrà impostata nelle diocesi, ove non lo sia già. E così ci troveremo davanti ad una “nuova Chiesa”, senza che ce ne accorgiamo, una Chiesa che sulla morale dimentica cosa dice il Catechismo, cosa dicevano i Padri e Dottori, cosa hanno insegnato Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, cosa c’è scritto nella Veritatis splendor. Una Chiesa senza memoria e senza tradizione, attenta a cosa dicono l’esperienza e le scienze sociali.
Nel discorso di Subiaco dell'1 aprile 2005, il cardinale Ratzinger aveva previsto che “ben presto non si potrà più affermare che l’omosessualità, come insegna la Chiesa cattolica, costituisce un obiettivo disordine nello strutturarsi dell’esistenza umana”. Forse non era giunto a prevedere che sarebbe stata proprio la Chiesa cattolica a smettere di insegnarlo, non perché costretta ma perché convinta.
Avevo pensato di richiamare in questo articolo tutti i principali documenti della Chiesa sull’omosessualità. Ma la situazione è tale che risulta inutile farlo. Quei documenti sono arcinoti, anche se papa Francesco ha dichiarato di non ricordare cosa dicesse il documento della Congregazione per la Dottrina della fede del 2003, ma si trattava certamente di un lapsus. Sono arcinoti e, quindi, vengono messi da parte in modo ultra-consapevole e sulla base di nuovi paradigmi teologici. Certo, spiace molto che vengano dimenticati e, soprattutto, che si cambino le carte in tavola senza spiegare la continuità col passato, ma richiamarli è inutile, meglio lavorare per difendere il paradigma teologico da cui erano nati.
La Facoltà di piazza Paolo VI a Milano è frequentata da molti sacerdoti provenienti da tutta l’Italia settentrionale, da Torino a Trieste. Costoro apprenderanno questa teologia che contrasta in modo evidente con tutto il magistero della Chiesa fino ad ora. Questi sacerdoti diventeranno parroci e nelle loro parrocchie verrà insegnata questa dottrina morale, la qual cosa non produrrà grandi effetti nella pastorale delle persone con orientamento omosessuale, ma riuscirà benissimo a demolire la concezione tradizionale della morale cristiana nei fedeli e specialmente nei giovani che frequentano quelle parrocchie. Poi qualcuno di questi sacerdoti diventerà vescovo e la nuova morale verrà impostata nelle diocesi, ove non lo sia già. E così ci troveremo davanti ad una “nuova Chiesa”, senza che ce ne accorgiamo, una Chiesa che sulla morale dimentica cosa dice il Catechismo, cosa dicevano i Padri e Dottori, cosa hanno insegnato Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, cosa c’è scritto nella Veritatis splendor. Una Chiesa senza memoria e senza tradizione, attenta a cosa dicono l’esperienza e le scienze sociali.
Nel discorso di Subiaco dell'1 aprile 2005, il cardinale Ratzinger aveva previsto che “ben presto non si potrà più affermare che l’omosessualità, come insegna la Chiesa cattolica, costituisce un obiettivo disordine nello strutturarsi dell’esistenza umana”. Forse non era giunto a prevedere che sarebbe stata proprio la Chiesa cattolica a smettere di insegnarlo, non perché costretta ma perché convinta.
Avevo pensato di richiamare in questo articolo tutti i principali documenti della Chiesa sull’omosessualità. Ma la situazione è tale che risulta inutile farlo. Quei documenti sono arcinoti, anche se papa Francesco ha dichiarato di non ricordare cosa dicesse il documento della Congregazione per la Dottrina della fede del 2003, ma si trattava certamente di un lapsus. Sono arcinoti e, quindi, vengono messi da parte in modo ultra-consapevole e sulla base di nuovi paradigmi teologici. Certo, spiace molto che vengano dimenticati e, soprattutto, che si cambino le carte in tavola senza spiegare la continuità col passato, ma richiamarli è inutile, meglio lavorare per difendere il paradigma teologico da cui erano nati.
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