sabato 19 gennaio 2019

Il ’68, sfida per i cattolici oggi. La lezione di Del Noce





Tra le tante letture critiche di quel ‘68 che ha rappresentato, come ebbe a dire Benedetto XVI, una vera e propria “cesura storica”, un posto a parte merita quella di Augusto Del Noce. Tanto il marxismo quanto la società tecnocratica quanto il ’68 ponevano quella per Del Noce era “la” questione innanzi alla quale i cattolici erano (e sono) chiamati a dire la loro: la questione antropologica.



Luca Del Pozzo*, 19-01-2019

Tra le tante letture critiche di quel ‘68 che ha rappresentato, come ebbe a dire Benedetto XVI, una vera e propria “cesura storica”, un posto a parte merita quella di Augusto Del Noce. Il filosofo torinese si occupò del fenomeno a più riprese e in diversi scritti, tutti connotati da un’analisi assolutamente originale e che oggi potremmo a buon diritto definire “politicamente scorretta”. Del Noce vide nel ’68 un fenomeno le cui radici culturali confemavano quella lettura della storia della filosofia e la conseguente interpretazione della storia contemporanea italiana che egli andava maturando in quegli anni e che rappresenterà uno, non l’unico, dei lasciti più importanti del suo percorso filosofico, ossia la problematizzazione della storia della filosofia e la critica di quella modernità atea e nichilistica che storicamente si è affermata, e la conseguente proposizione di una modernità altra, cioè di una filosofia cristiana che sempre partendo da Cartesio approdava non a Marx e Nietzsche bensì a Rosmini passando per Malebranche Pascal e Vico: era la linea di un pensiero cattolico nella modernità, la cui riscoperta per Del Noce era quanto mai necessaria per rispondere, muovendosi sullo stesso terreno del marxismo, cioè la storia, alla sfida lanciata dal razionalismo.

Ma questa era anche la sfida rappresentata, da un lato, dalla “società opulenta”; dall’altro, dalla cultura del ’68 nata in opposizione ad essa. Da qui la riflessione, muovendo da una prospettiva cattolica, circa il cosa fare di fronte ad una realtà, all’epoca solo incipente ma che di lì a poco avrebbe assunto i caratteri che oggi vediamo dispiegati alla massima potenza: dal pansessualismo alla tecnocrazia, dal clima totalitario in cui domina incontrastato un pensiero unico abilmente camuffato dietro le spoglie di un umanesimo tollerante e democratico, al relativismo assoluto che non ammette alcuna verità.

Tanto il marxismo quanto la società tecnocratica quanto il ’68 ponevano insomma quella che per Del Noce era “la” questione innanzi alla quale i cattolici erano (e sono) chiamati a dire la loro: la questione antropologica. Per il filosofo torinese di fronte ad una società che non aveva precedenti nella storia dell’umanità non vi era che un atteggiamento da assumere: quello della “risposta a sfida”. Si trattava cioè di vivere e approfondire con rigore la propria posizione di pensiero chiedendo all’avversario di fare altrettanto: sarebbe stata poi la storia a decretare il vincitore tra i due contendenti, nel momento in cui una delle due opzioni si fosse rivelata contraddittoria con le sue finalità. Qualora si avesse avuto chiaro che di ciò si trattava, e non di altro, dell’urto cioè tra due opposte antropologie, allora il cattolico avrebbe dovuto quanto meno sentire la necessità di muoversi in tutt’altra direzione. E in tal senso, l’atteggiamento della “risposta a sfida”, nella sua accezione positiva, si può riassumere nell’impegno culturale, quindi politico, per la “restaurazione dei valori”: contro l’esito catastrofico a cui era giunto il pensiero rivoluzionario, la sfida consisteva nella riproposizione del pensiero tradizionale ovvero affermazione del primato dell’essere, dell’intuizione intellettuale e del valore ontologico del principio d’identità, lungo una linea di pensiero che partendo da Cartesio arriva a Rosmini, alternativa a quella Cartesio-Nietzsche che storicamente ha prevalso.

Non vi erano insomma che due alternative: “o Chiesa o il nichilismo”. Ma la riaffermazione dei valori tradizionali non significava affatto restaurazione di un ordine temporale cristiano sul modello delle società del passato; lungi dall’essere nostalgico della vecchia alleanza tra Trono e Altare, Del Noce mirava piuttosto ad un Risorgimento cattolico, ossia al recupero del cattolicesimo dentro e non contro la modernità, avendo a mente la frase di Joseph de Maistre secondo la quale «una controrivoluzione non è una rivoluzione di segno contrario, ma il contrario di una rivoluzione». A livello più strettamente politico ciò si traduceva nella proposizione di un progetto politico autenticamente democratico e liberale fondato su tre pilastri culturali: il rispetto della persona umana e della sua libertà, il rifiuto della violenza e il metodo della persuasione.

A differenza di Maritain Del Noce non considerava la democrazia di origine evangelica, ma un fatto storico e contingente; ciò nondimeno esistono dei valori che pur essendo immutabili quanto all’origine e al contenuto, hanno tuttavia “bisogno” di incarnarsi nelle diverse epoche storiche. Il rispetto della persona umana e della sua libertà, il rifiuto della violenza e il metodo della persuasione sono pertanto le condizioni che, se da un lato non rendono certo cristiana una democrazia, dall’altro sono in grado di garantire quello spazio necessario perché l’individuo possa liberamente aprirsi alla verità e ai valori che da questa discendono.

Il filosofo cattolico ebbe chiaro fin dall’inizio, come dato certo e indiscutibile, l’essenziale storicità della Rivelazione cristiana; ed è proprio nella riduzione del fatto religioso a foro interno che egli vide il segno del cedimento di tanta parte della cultura cattolica a quell’idea di modernità sviluppatasi lungo l’asse Cartesio-Nietzsche. Con la duplice conseguenza della protestantizzazione di fatto del cattolicesimo, da un lato, e della ricerca di chiavi interpretative della storia contemporanea altre rispetto a quella cattolica. Ma se all’opposto si tiene ben presente la storicità del cristianesimo, ne consegue che questo non può non avere anche una traduzione politica, nel senso cioè di farsi “polis”, mondo, storia.

In questo senso chi scrive ha voluto riassumere la proposta di Del Noce all’insegna di una “metafisica civile”: cioè una filosofia cristiana che implica e richiede un nesso indissolubile tra pensiero ed esperienza, interiorità ed esteriorità, onde una “propria e personale” riaffermazione del pensiero tradizionale in grado di tradursi, per sua natura, in una “polis” realmente degna dell’uomo. Al di là e prima di ogni programma politico e di quale organizzazione darsi, questa era, ed è, la sfida da assumere per i cattolici. Aggiungo: con un ruolo di primo piano per il laicato, tanto più ora e tanto più in questo frangente storico in cui ampi settori ecclesiali sembrano essere più interessati alla salvezza dell’economia che non all’economia della salvezza. Sfida da affrontare avendo sempre a mente il detto evangelico secondo cui “non è l’uomo per il Sabato ma il Sabato per l’uomo”, ciò che segna la distanza tra una visione ultimamente ideologica dove l’uomo è mezzo e strumento in vista di un fine, e una visione che, all’opposto, partendo dal principio di realtà, considera l’uomo che della realtà è il culmine, mai come mezzo ma sempre e soltanto il fine di ogni azione, sia essa economica sociale culturale e, ovviamente, politica.



*Luca Del Pozzo, giornalista e saggista, terrà una relazione sulla lettura critica del Sessantotto da parte del filosofo cattolico Augusto Del Noce, nell’ambito della giornata di studio “Il Sessantotto e Noi. Un percorso filosofico” che si terrà il 19 gennaio 2019 a Milano presso il Centro Culturale Francescano Rosetum. Aprirà i lavori M.or Luigi Negri, arcivescovo emerito di Ferrara-Comacchio, cui seguiranno gli interventi del Prof. Giancarlo Rovati, del Prof. Paolo Pagani, di Luca Del Pozzo e del Prof. Sante Maletta.











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