lunedì 9 luglio 2018

FIORETTI E VIRTÙ TRATTI DALLA VITA DI SAN MASSIMILIANO KOLBE







AMORE AL SANTO ROSARIO
L’amore al Santo Rosario in San Massimiliano M. Kolbe fu pari al suo amore all’Immacolata Mediatrice. Egli aveva una fiducia sconfinata nel Rosario, nella potenza salvifica del Rosario. E’ sua la massima consolantissima che dice:

«Quante corone recitate, tante anime salvate».

Per questo era molto facile vedere San Massimiliano con la corona del Rosario fra le mani. Anche sul campo della morte di Auschwitz il Rosario era la sua preghiera più continua.

«Mi sembra ancora di vederlo - ha scritto prigioniero - quando recitava il Rosario sulle dita, perché a Oswiciem, non era permesso tenere neppure una coroncina».

Un altro testimone ebbe la ventura di dormire accanto a San Massimiliano per alcune settimane, e si accorse che la sera il Santo si metteva in ginocchio a pregare. Lo avvertì che se le guardie lo avessero visto, l’avrebbero punito duramente.

«Dormi figlio… - rispose il Santo - io sono già vecchio, pregherò per voi!»

Anche prima dei pasti, senza paura, egli faceva il segno della Croce, non badando al pericolo di essere visto e percosso dalle guardie.


FEDE PROFESSATA E VISSUTA
Grande esempio di fede c’è stato dato da san Massimiliano M. Kolbe, grande apostolo dell’Immacolata e missionario instancabile. Nelle sue conversazioni egli portava volentieri gli interlocutori sugli argomenti di fede. Il suo modo di avvicinare gli altri era così delicato, che non ci si accorgeva nemmeno di entrare in soggetti teologici. Da queste sue conversazioni arguivano che egli era tutto compenetrato e animato da principi soprannaturali. Diceva spesso di non volere nulla, se non quello che vuole Iddio, e che, se avesse saputo che per divina volontà le due Niepokalanow, quella polacca e quella giapponese sarebbero cadute, Egli avrebbe accolto tale notizia con assoluta rassegnazione e stabilità (di spirito). Egli non desiderava nulla, se non che si compisse la volontà di Dio, e temeva una sola cosa, quella cioè, di sviare gli intendimenti divini, giacché si considerava, attraverso l’Immacolata, strumento nelle mani di Dio. Desiderava che il mondo intero accettasse la Fede, e riteneva che tutte le scoperte dovessero essere dirette alla diffusione della Fede e della gloria di Dio. La radio, le pellicole cinematografiche, gli aeroplani, dovrebbero servire in primo luogo alla gloria di Dio.

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Così lascia scritto il Signor Gniadek, compagno di cella di San Massimiliano:

«Al principio di Marzo del 1941, mi trovavo nella prigione di Pawiak, a Varsavia, nella cella 103, al Reparto II. Insieme con me vi era un ebreo di nome Singer. Dopo alcuni giorni nella stessa cella trasferirono il P. Kolbe, che era vestito con la tonaca da religioso e rasato… Dopo cinque giorni dal suo trasferimento tra noi, ricevemmo l’ispezione del capo-reparto (un nazista). Quando scorse P. Kolbe con l’abito religioso, mi sembrò come se gli venisse un colpo. L’odio di quell’uomo era non solo per la veste religiosa, ma anche e soprattutto per il Crocefisso e il Rosario (che pendeva dal cingolo). Dopo il rapporto fatto all’ebreo che era il più anziano della cella, il capo-reparto afferrò il Crocefisso di P. Kolbe e tirandolo gridava: “E tu credi a questo?”. Al che il P. Kolbe con la massima rispose: “Credo e come!”. Il tedesco allora divenne color paonazzo per l’ira. Senza por tempo in mezzo, colpì il P. Kolbe sul viso. Ripeté per tre volte la domanda e per tre volte riebbe la stessa risposta e tre volte lo schiaffeggiò... Nonostante ciò, P. Kolbe restò totalmente calmo, e, unico segno del fatto, restò la lividura lasciatagli sul viso. Dopo che il Capo-reparto fu uscito, il P. Kolbe si mise a passeggiare per la cella pregando. Noi eravamo più irritati di lui, il che è spiegabilissimo. Fu però il P. Kolbe che cercò di calmarci dicendo: “Non c’è alcuna ragione di irritarsi così; avete già motivi personali di preoccupazioni. Questa è una sciocchezza, è tutto per la Mammina!”».


POVERTA' FRANCESCANA
Non è possibile ridire quanto grande fosse l’amore di San Massimiliano M. Kolbe alla povertà; un amore degno del Serafico Padre S. Francesco. Nelle cose grandi come nelle minime, San Massimiliano si rivelò sempre fedele seguace del Poverello d’Assisi, distaccato con il cuore e con il corpo da ogni bene terreno, contento dello stretto necessario per vivere come un vero povero che nulla vuol possedere, perché è interamente posseduto da Dio, in proprietà assoluta dell’Immacolata. Il Santo non volle mai la proprietà:

«Perché la proprietà? – diceva - L’uso basta. Come San Francesco. Niente proprietà. Staremo in un luogo finché il padrone ci consentirà di starvi, quando ci dirà che non potremo rimanervi più, andremo altrove».

E un confratello, il P. Domenico Stella di Assisi, così commentò queste parole del Santo:

«Ciò diceva chiarezza di idee e vera persuasione. Era evidente che l’ideale puro della povertà in conformità perfetta alla mente del Serafico Padre era in cima ai suoi pensieri».

E anche quando andò in India, e il Vescovo di Ernaculam gli vorrà dare il terreno, una casa e una cappella, san Massimiliano l’accetterà «solo in usufrutto, perché non vogliamo proprietà».

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Fra Lorenzo Podwapinski racconta di san Massimiliano:

«Padre Massimiliano divideva con fra Zeno un paio di scarpe, un mantello, portando anche noi a limitare le nostre spese. Diceva spesso che un religioso francescano doveva accontentarsi anche di un paio di scarpe rattoppate e di un saio rammendato, ma non lesinare all’Immacolata nemmeno un aeroplano ultimo modello. Quando i fratelli vollero verniciargli il letto, ch’era di legno, e renderglielo un po’ più comodo, egli vi si oppose decisamente».

Fra Alberico, per indossare la tuta, doveva aspettare che il padre Melchiorre se la togliesse; fra Gabriele portava il mantello di fra Pasquale, e san Massimiliano riaveva le sue scarpe da fra Zeno solo ogni volta che andava a Varsavia e le due volte alla settimana che doveva raggiungere il paese di Losona, per tenervi le lezioni di religione. Fra Mansueto Marezewki parla del padre Kolbe e ci dice che «il suo abito era l’ultimo degli ultimi, la sua camera era modestissimamente arredata: un semplice letto con sotto una catinella, nella quale egli si lavava inginocchiato, un tavolo e un sedile; il suo pastrano era appeso ad un chiodo piantato nella parete. Egli non veniva mai a contatto con le offerte che giungevano a Niepokalanow e ammoniva tutti a ritenerle come una proprietà dell’Immacolata e quindi destinate ad essere spese solo per il Regno di Dio».


APOSTOLATO MISSIONARIO
Nel campo della morte a Auschwitz si potrebbe pensare che san Massimiliano fosse ridotto all’impotenza come sacerdote, in quell’inferno di aguzzini e di fili spinati. Tutt’altro. Sappiamo con certezza che il Santo fu sacerdote in azione prudente, ma audace. Tra i prigionieri o tra i ricoverati nell’ospedale, san Massimiliano ha molto confessato, molto predicato, ha molto illuminato e confortato i cuori. Quando gli facevano avere delle medaglie, subito le distribuiva tra i compagni di dolore. Ogni volta che poteva, radunava i gruppi di prigionieri per recitare insieme preghiere, per far conversazioni spirituali. I prigionieri andavano di nascosto dal padre Kolbe per confessarsi ed essere confessati. Nell’ospedale, era anche il padre Kolbe a strisciare per terra, per avvicinarsi agli ammalati da confessare e consolare. Sempre correndo il gravissimo rischio di pagarla cara, con la pena della fucilazione. Ricoverato nell’infermeria, venne collocato vicino alla porta d’ingresso; ne approfittò per impartire la benedizione e l’assoluzione sotto condizione ad ogni morto che portavano via.


CARITA' EROICA
Esempio ammirabile di carità divina verso il prossimo lo presenta San Massimiliano M. Kolbe, fondatore della Milizia dell’Immacolata, che ha offerto la sua vita non per un confratello o un amico, ma addirittura per uno sconosciuto, accrescendo in questo modo l’eroicità del suo atto di carità. Sentiamo la testimonianza di Francesco Gajowniczek, il salvato da San Massimiliano:

«Conobbi personalmente il P. Kolbe, durante l’estate dell’anno 1941. Dopo la fuga di un prigioniero dal nostro blocco, venimmo allineati in dieci file, durante l’appello della sera. Mi trovavo in una stessa fila con P. Kolbe; ci separavano 3-4 prigionieri. Il Lagerfuhrer Fritish (comandante del campo) si avvicinò, e cominciò a scegliere nelle file dieci prigionieri per mandarli a morte. Il fuhrere indicò anche me col dito. Uscii dalla fila e mi sfuggì un grido, che avrei desiderato rivedere ancora i miei figli. Dopo un istante, uscì dalla fila un prigioniero, offrendo se stesso in mia vece. Si avvicinò al Lagerfuhrer e cominciò a dirgli qualche cosa. Una guardia lo condusse al gruppo dei condannati a morte e mi fece rientrare nella fila».

In preda a forte emozione, il salvato Gajowniczek non sentì nulla, ma le preziose parole sono state invece capite e ricordate dal testimonio Dr. Niceto Wlodarski che si trovava a poca distanza da P. Massimiliano:

«Dopo la scelta dei dieci prigionieri - riporta questi- P. Massimiliano uscì dalla fila e togliendosi il berretto si mise sull’attenti. Questi sorpreso, indirazzandosi a P. Massimiliano disse: “Che cosa vuole questo porco polacco?” P. Massimiliano, puntando la mano verso Francesco Gajowniczek già prescelto per la morte, rispose: “Sono un sacerdote cattolico polacco; sono anziano, voglio prendere il suo posto, perché egli ha moglie e figli…” Il comandante meravigliato parve non riuscire a trovare la risposta per parlare. Dopo un momento, con un cenno della mano disse: “Fuori!”, ordinò a Gajowniczek di tornare nella fila lasciata un momento prima. In tal modo San Massimiliano prese il posto del condannato».
















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