mercoledì 25 luglio 2018

CINQUANTESIMO di Humanae Vitae: il compleanno di una profezia






L'enciclica Humanae Vitae, di cui ricorrono oggi i 50 anni dalla sua pubblicazione, è di capitale importanza perché approfondisce e chiarifica l’insegnamento della Chiesa sul matrimonio e l’amore coniugale. Dentro questo si comprende il no senza eccezioni alla contraccezione, e il carattere definitivo e infallibile dell'enciclica.


di Giorgio Carbone, 25-07-2018 

I fini del matrimonio



La Lettera enciclica di papa Paolo VI Humanae Vitae oggi compie 50 anni. È comunemente nota per l’insegnamento sulla «retta regolazione della natalità» (HV 5). Ma è di capitale importanza anche perché approfondisce e chiarifica l’insegnamento della Chiesa sul matrimonio e l’amore coniugale.


Nel corso del XX secolo si era discusso a lungo sui fini del matrimonio. Ad esempio il canone 1013 § 1 del Codice di diritto canonico del 1917 recitava: «Il fine primario del matrimonio è la procreazione e l’educazione della prole; il fine secondario è il mutuo aiuto e il rimedio della concupiscenza». Questa terminologia aveva dato luogo a equivoci: “secondario” era stato inteso nel senso di secondo ordine, superfluo, trascurabile, accidentale, e quindi in senso di degradazione. Quando invece “secondario” andava preso in senso strettamente letterale, cioè “di ciò che consegue dal primo”.

D’altro canto Pio XI nella Casti Connubi insegnava che «la prole fra i beni del matrimonio occupa il primo posto» (§ 12) e che «il matrimonio deve estendersi altresì, anzi mirare soprattutto a questo che i coniugi si aiutino tra loro per una sempre migliore formazione e perfezione interiore […] una tale vicendevole formazione interna dei coniugi con l’assiduo studio di perfezionarsi a vicenda in un certo senso verissimo si può dire anche primaria cagione e motivo del matrimonio» (§ 24).


E il Concilio Vaticano II nella Costituzione Gaudium et spes insegnava che «per sua indole naturale il matrimonio e l’amore coniugale, generoso e cosciente, sono ordinati alla procreazione e alla educazione della prole, e in questo trovano il loro coronamento. [...] Il matrimonio non è stato istituito soltanto per la procreazione […], ma Dio ha dotato il matrimonio di molteplici valori e fini. [... I coniugi] compiendo il loro dovere coniugale e familiare […] tendono a raggiungere sempre più la propria perfezione e la mutua santificazione e assieme rendono gloria a Dio» (§ 48 e 50).


La visione integrale, cioè soprannaturale, della persona umana

Paolo VI supera qualsiasi equivoco, si richiama alla «visione integrale dell’uomo e della sua vocazione, non solo naturale e terrena, ma anche soprannaturale ed eterna» HV 7. E per illustrare la dignità del matrimonio risale a Dio stesso, che è Amore: «L’amore coniugale rivela massimamente la sua vera natura e nobiltà quando è considerato nella sua sorgente suprema, Dio, che è “Amore”, che è il Padre “da cui ogni paternità, in cielo e in terra, trae il suo nome”. Il matrimonio non è quindi effetto del caso o prodotto della evoluzione di inconsce forze naturali: è stato sapientemente e provvidenzialmente istituito da Dio creatore per realizzare nell’umanità il suo disegno di amore. Per mezzo della reciproca donazione personale, loro propria ed esclusiva, gli sposi tendono alla comunione delle loro persone, con la quale si perfezionano a vicenda, per collaborare con Dio alla generazione e alla educazione di nuove vite. Per i battezzati, poi, il matrimonio riveste la dignità di segno sacramentale della grazia, in quanto rappresenta l’unione di Cristo e della Chiesa» HV 8.


Il matrimonio e l’amore coniugale diventano pienamente intelligibili solo alla luce dell’identità di Dio, solo se inseriti – come i tasselli di un grandioso mosaico – all’interno del disegno salvifico di amore che ha Gesù Cristo come compimento e centro: sono una via ordinaria alla santità, alla configurazione a Gesù Cristo. E in questo stesso disegno vanno letti gli aspetti oggettivi o essenziali del matrimonio, nel senso che sono una conseguenza derivante dalla realtà stessa del matrimonio, cioè l’aspetto unitivo e l’aspetto generativo. Sono aspetti inscindibili perché i due aspetti si realizzano, non mediante due atti distinti e separati, ma con un unico e identico atto: la stessa unione delle due persone secondo il modo proprio del sesso realizza simultaneamente i due aspetti.


Gli aspetti unitivo e procreativo sono inscindibili


I coniugi sono chiamati a «conformare il loro agire all’intenzione creatrice di Dio, espressa nella natura stessa del matrimonio e dei suoi atti, e manifestata nell’insegnamento costante della Chiesa» HV 10. Quindi, Paolo VI insegna che gli aspetti unitivo e procreativo sono inscindibili e questa inscindibilità non è una norma ecclesiastica – come quella sul digiuno prima della comunione eucaristica, norma rivedibile continuamente dalla Chiesa – ma è un principio morale che consegue dalla natura e dal fine del matrimonio. È una conseguenza delle esigenze caratteristiche dell’amore coniugale: «pienamente umano, vale a dire nello stesso tempo sensibile e spirituale» HV 9. Non è semplice sentimento, istinto o trasporto pulsionale, ma è impegno libero e volontario con il quale i coniugi diventano un’anima sola e un cuore solo e raggiungono la loro perfezione umana, totale: «gli sposi condividono ogni cosa senza indebite riserve o calcoli egoistici», fedele ed esclusivo fino alla morte, e fecondo. (Per approfondire si legga: Marina Bicchiega, Fertilità umana. Consapevolezza e virtù, ESD, Bologna).


Questo insegnamento è infallibile

Il carattere infallibile non dipende dal genere letterario del documento, ma dal fatto che nell’atto di magistero ricorrono le condizioni descritte nella Costituzione Pastor Aeternus perché un insegnamento del papa sia infallibile, abitualmente dette ex cathedra.


Paolo VI stava compiendo «il suo ufficio di pastore e maestro di tutti i cristiani»: se leggiamo la Terza Parte dell’Enciclica, intitolata Direttive pastorali, noteremo che Paolo VI non si rivolge a un gruppo particolare di credenti, ma si rivolge agli sposi e ai genitori (HV 21), agli sposi cristiani (HV 25), agli «educatori e di quanti assolvono compiti di responsabilità in ordine al bene comune dell’umana convivenza» (HV 22), a chi ha la responsabilità del governo della cosa pubblica (HV 23), agli «uomini di scienza» (HV 24), ai «medici e al personale sanitario» (HV 27), ai sacerdoti (HV 28) e ai vescovi (HV 30) e infine a «tutti gli uomini di buona volontà» (HV 31). Questi scarni richiami penso siano sufficienti a provare che Paolo VI vuole compiere «il suo ufficio di pastore e maestro di tutti i cristiani».


Paolo VI stava «facendo uso della sua suprema autorità apostolica», sia in modo implicito – ad esempio in alcuni passi finali: «Non sminuire in nulla la salutare dottrina di Cristo, è eminente forma di carità verso le anime» (HV 29); «Venerati fratelli, dilettissimi figli, e voi tutti, uomini di buona volontà, grande è l’opera di educazione, di progresso e di amore alla quale vi chiamiamo, basati sulla fermissima dottrina della Chiesa, di cui il successore di Pietro è, con i suoi fratelli nell’episcopato cattolico, fedele depositario e interprete» – sia in modo esplicito: «Avendo attentamente vagliato la documentazione a noi offerta, dopo mature riflessioni e assidue preghiere, intendiamo ora, in virtù del mandato da Cristo a noi affidato, dare la nostra risposta a queste gravi questioni» (HV 6). Paolo VI invoca il mandato ricevuto da Cristo, cioè è consapevole di esercitare la sua suprema autorità di successore di Pietro.


Paolo VI stava definendo «una dottrina circa la fede e i costumi»: oggetto dell’Enciclica – scrive Paolo VI – riguarda i «principi della dottrina morale del matrimonio: dottrina fondata sulla legge naturale illuminata e arricchita dalla rivelazione divina. Nessun fedele vorrà negare che al magistero della chiesa spetti di interpretare anche la legge morale naturale» (HV 4). «Tale dottrina [qualsiasi atto coniugale deve rimanere aperto alla trasmissione della vita], più volte esposta dal magistero della Chiesa, è fondata sulla connessione inscindibile, che Dio ha voluto e che l’uomo non può rompere di sua iniziativa, tra i due significati dell’atto coniugale: il significato unitivo e il significato procreativo.


Infatti, per la sua intima struttura, l’atto coniugale, mentre unisce con profondissimo vincolo gli sposi, li rende atti alla generazione di nuove vite, secondo leggi iscritte nell’essere stesso dell’uomo e della donna. Salvaguardando ambedue questi aspetti essenziali, unitivo e procreativo, l’atto coniugale conserva integralmente il senso di mutuo e vero amore ed il suo ordinamento all’altissima vocazione dell’uomo alla paternità. Noi pensiamo che gli uomini del nostro tempo sono particolarmente in grado di afferrare quanto questa dottrina sia consentanea alla ragione umana»
(HV 12). Ripetutamente Paolo VI mette in luce l’intimo legame posto da Dio tra il disegno salvifico di amore, il sacramento del matrimonio, l’unione coniugale e l’apertura alla vita (per approfondire leggere il saggio ben documentato: Renzo Puccetti, I veleni della contraccezione, ESD, Bologna).


Nessun inganno e nessuna eccezione

Su questo tema è intervenuto san Giovanni Paolo II il 12 novembre 1988, per il ventesimo anniversario dell’Humanae Vitae in modo chiarissimo: «Paolo VI, qualificando l’atto contraccettivo come intrinsecamente illecito, ha inteso insegnare che la norma morale è tale da non ammettere eccezioni. Nessuna circostanza personale o sociale potrà né ora né mai rendere di per sé un tale atto lecito. Il fatto che esistano determinate norme concernenti il modo di agire dell’uomo nel mondo, dotate di una forza vincolante tale da non ammettere, per nessuna ragione, alcuna possibilità di eccezioni, è un insegnamento costante della Tradizione e del magistero della Chiesa, che non può essere messo in discussione dal teologo cattolico».















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