Aldo Maria Valli
«Il matrimonio continua a essere indissolubile, ma non infrangibile». Così ha detto di recente un vescovo abile nel giocare con le parole. Geniale, davvero.
Fa piacere che anche nella Chiesa ci sia chi si diletta con i giochi linguistici, molto utili, fra l’altro, nel curare i disturbi dell’apprendimento.
Un altro bell’esempio arriva dai vescovi dell’Emilia Romagna, che nelle loro preziose «Indicazioni sul capitolo ottavo dell’Amoris laetitia», in particolare nella sezione intitolata «Il discernimento sui rapporti coniugali», dimostrano di essere già piuttosto avanti nell’uso della ludoterapia linguistica.
Quei saggi pastori, giocando con le parole, ricordano che per i divorziati risposati «la possibilità di vivere da fratello e sorella per poter accedere alla confessione e alla comunione eucaristica» è contemplata da Amoris laetitia e coincide con l’insegnamento sempre indicato dalla Chiesa e confermato da Familiaris consortio. Bene, fin qui tutto nella norma. Tuttavia, ecco il guizzo creativo, si tratta di un’eventualità che va «presentata con prudenza, nel contesto di un cammino educativo finalizzato al riconoscimento della vocazione del corpo e del valore della castità nei diversi stati di vita». Che vuol dire? Non ha importanza. L’importante è che «questa scelta», ovvero vivere come fratello e sorella, «non è considerata l’unica possibile, in quanto la nuova unione e quindi anche il bene dei figli potrebbero essere messi a rischio in mancanza degli atti coniugali».
Come dite? Sostenere che la scelta «di vivere da fratello e sorella per potere accedere alla confessione e alla comunione eucaristica […] non è considerata l’unica possibile, in quanto la nuova unione e quindi anche il bene dei figli potrebbero essere messi a rischio in mancanza degli atti coniugali», è qualcosa che contrasta nettamente con la fede cattolica?
Come dite? Che una tale affermazione è falsa perché chiama «atti coniugali» quelli di persone che non sono sposate davanti a Dio?
Come dite? Che non è mai lecito fare il male perché ne venga il bene, e che, come spiega Paolo VI nell’Humanae vitae, non è mai lecito «fare oggetto di un atto positivo di volontà ciò che è intrinsecamente disordine e quindi indegno della persona umana, anche se nell’intento di salvaguardare o promuovere beni individuali, familiari o sociali»?
Come dite? Che per la fede cattolica ci sono atti intrinsecamente cattivi, i quali, se compiuti con piena avvertenza e deliberato consenso, restano tali in qualunque circostanza?
Come dite? Che i vescovi emiliano-romagnoli lasciano intendere che in certi casi non ci sarebbe altra possibilità che peccare, senza tener conto della promessa di Dio di non lasciarci mai privi di aiuto contro il peccato?
Ma voi, scusate tanto, ponendo queste domande dimostrate di non riuscire ad apprezzare le potenzialità dei giochi linguistici, dove ciò che conta non è la dottrina, figuriamoci, né la logica, ma è il funambolismo liberatorio, l’intuizione creativa che, uscendo dalla gabbia del «sì sì, no no», ci introduce nel magico mondo della fantasia, dove tutto è possibile, come sanno bene i bambini quando giocano a «facciamo che io adesso ero e tu eri».
Abbiamo già avuto modo di sottolineare in altre occasioni come questa Chiesa del «sì ma anche no, no ma anche sì» apra prospettive particolarmente originali e inedite su un mondo nel quale è possibile tutto e il contrario di tutto, all’insegna del bi-pensiero. L’immagine che viene alla mente è quella dell’abile prestigiatore che fa apparire e scomparire gli oggetti utilizzando l’arte del deviare l’attenzione, ma invece di dire «a me gli occhi, please!», il pastore dirà «a me il discernimento!», dopo di che, mescolando le parole nel cilindro, ne potrà trarre vocaboli molto utili a confondere la platea, come «accoglienza», «accompagnamento», «apertura», «integrazione» .
Il gioco linguistico è così liberante che si potrebbe introdurre, perché no, anche nel rito stesso del matrimonio, di modo che, quando il sacerdote interroga gli sposi, la risposta sia adeguata.
Immaginiamo la scena.
«Siete venuti a celebrare il matrimonio senza alcuna costrizione, in piena libertà e consapevoli del significato della vostra decisione?»
«Gli sposi rispondono: sì e no».
«Siete disposti, seguendo la via del matrimonio, ad amarvi e a onorarvi l’un l’altro per tutta la vita?»
«Gli sposi rispondono: sì e no».
«Siete disposti ad accogliere con amore i figli che Dio vorrà donarvi e a educarli secondo la legge di Cristo e della sua Chiesa?»
«Gli sposi rispondono: sì e no».
Poi, al momento di prendersi per mano, la formula recitata dallo sposo potrebbe essere: «Io N., accolgo te, N., come mia sposa, ma fino a un certo punto. Con la grazia di Cristo prometto di esserti fedele più o meno sempre, per quanto umanamente possibile, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita tranne quando avrò il calcetto».
E la sposa potrebbe rivolgersi allo sposo con queste parole: «Io N., accolgo te, N., come mio sposo, ma senza esagerare. Con la grazia di Cristo prometto di esserti fedele quasi sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita, tranne quando avrò l’emicrania».
Come potete ben capire, questi non sono che spunti sui quali lavorare, nel segno, ovviamente, di una pastorale accogliente, di una Chiesa in uscita eccetera.
Tornando alla dimensione del gioco, nei corsi di preparazione al matrimonio potrebbe essere utile proporre alcuni insegnamenti di san Giovanni Paolo II (per esempio, «l’uomo e la donna nel matrimonio si uniscono tra loro così saldamente da divenire, secondo le parole del Libro della Genesi, “una sola carne”», oppure «il matrimonio è indissolubile: questa proprietà esprime una dimensione del suo stesso essere oggettivo, non è un mero fatto soggettivo», oppure «l’incomprensione dell’indole indissolubile costituisce l’incomprensione del matrimonio nella sua essenza») e vedere se qualcuno riesce a non ridere. Certo, occorre esercitarsi. Ma statene certi: una volta aperto, questo nuovo paradigma (altra bella parola per giocare un po’) conduce verso orizzonti inesplorati, oltre che molto divertenti.
Aldo Maria Valli
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