sabato 30 maggio 2015

Mons.Guido Pozzo a Torino : “La ripresa della antica Liturgia non è un elemento di disturbo o di minaccia dell'unità “






Omelia di S.E.R. Mons. Guido Pozzo * alla Santa Messa Prelatizia del 3 maggio scorso nella chiesa della Arciconfraternita della Misericordia a Torino.

OMELIA DELLA IV DOMENICA DI PASQUA
(Torino, 3 maggio 2015)


Sono veramente lieto di aver accolto l'invito a celebrare la Santa Messa in occasione del XXV anniversario della celebrazione secondo il Rito Romano Antico presso la Chiesa dell'Arciconfraternita della Misericordia. Quasi in segno profetico, la Vostra Confraternita ha anticipato quanto è stato poi confermato dal Motu Proprio Summorum Pontificum di Papa Benedetto XV, cioè la ripresa della antica liturgia, che non è un elemento di disturbo o di minaccia dell'unità, ma un dono che serve alla costruzione del corpo di Cristo che è la Chiesa.
La celebrazione della Messa nella forma straordinaria mette in risalto che la grandezza della liturgia consiste non nell'offrire un interessante intrattenimento spirituale, ma nel farsi toccare dal Mistero di Dio. La custodia della dignità e della sacralità nella liturgia sono dimensioni essenziali del Rito e ci aiutano a crescere nella contemplazione del mistero dell'unico sacrificio di Cristo che si ripresenta in ogni eucaristia.
Grazie per questo invito, a cui desidero far seguire ora qualche riflessione spirituale sul Vangelo appena proclamato.

Nella pagina evangelica di questa IV domenica di Pasqua, tratta dal vangelo di Giovanni, ci viene riproposto un brano del Discorso di Gesù nell'ultima Cena.
Nostro Signore parla quattro volte, con singolare insistenza, dello Spinto Santo.
E la qualifica essenziale che Gesù dà dello Spirito Santo per la Sua funzione nella Chiesa è: lo Spirito di verità, Colui che difende e mantiene nella verità e rende feconda la verità nella vita degli uomini. E allora poniamoci, cari fratelli, alcune domande.

1) Di quale verità si tratta ? Certamente si tratta della verità di cui parla tutto il Nuovo Testamento, ossia il fatto dell'Incarnazione.
La verità è la Rivelazione divina, il cui centro è l'Incarnazione e la cui fonte è il Mistero trinitario di Dio. La verità non è un sistema filosofico e non è un'ideologia (conservatrice o progressista o moderata che sia), ma è la Sapienza stessa di Dio che si è rivelata in Cristo Gesù.
2) Ma c'è un'altra domanda: che cos'è questa verità ?
La domanda è grave, perché la parola "Spirito di verità" è misteriosa e sta ben al di sopra delle cose sperimentabili e terrene che noi possiamo toccare e che sono alla nostra portata di mano. La domanda è la stessa che Pilato rivolge a Gesù: Che cos'è la verità ?
Evidentemente la mente di Pilato era talmente oscurata dalle filosofìe e dalla cultura pagana del suo tempo, che egli non ha capito che Gesù gli aveva già risposto con un'altra frase detta prima: "il mio Regno non è di questo mondo". La verità è qualcosa che non appartiene a questo nostro mondo, ma viene dall'alto, viene da ciò che l'uomo non può produrre o fabbricare con il suo ingegno o con le sue energie. E Gesù è venuto proprio per rivelare e rendere testimonianza alla verità, che è Dio, che è il Mistero di Dio. Gesù è venuto per portare agli uomini la gloria di Dio e questa verità, che l'uomo non è in grado di generare e di creare, entra nell'anima dell'uomo in virtù dello Spirito Santo, che muove l'uomo a conoscere e a credere alla verità e a entrare nel Regno di Dio.
3) E veniamo allora alla terza domanda. Perché il primo compito che è stato assegnato dalla Sapienza di Dio allo Spirito Santo verso gli uomini è quello che riguarda la verità? Non è forse vero che noi abbiamo pure il diritto di chiamare lo Spirito Santo l'Eterno Amore ? Qual è il rapporto tra verità e amore ?
La risposta a questa domanda si trova nel riconoscere che solo la verità illumina l'intelletto umano. L'errore, la fantasia, il sentimento rischiano di annebbiare la mente umana.
Ma una mente annebbiata non è una mente libera.
La mente annebbiata dalle false opinioni o dalle ipotesi umane impedisce all'uomo di agire per il bene e per raggiungere il vero scopo dell'esistenza umana.
Proprio perché lo Spirito Santo è lo Spirito di verità, egli è anche Spirito di Amore.
Un Amore che non portasse alla verità è una caricatura dell'Amore, è un falso e ingannevole amore. Proprio perché lo Spirito è il garante della verità, egli guida la Chiesa verso la conoscenza sempre più perfetta del Mistero di Dio e la riscalda con l'Eterno Amore di Dio perché tutti possiamo entrare in comunione con la vita intima della Santissima Trinità.
Nel nostro tempo noi viviamo una crisi della verità, possiamo parlare, senza paura di essere smentiti, di eclisse della verità; il concetto stesso di verità è scomparso dai dibattiti della cultura odierna e dalla pubblica opinione. Oggi tutto è opinione, e la religione cristiana stessa è considerata un'opinione equivalente a tante altre opinioni religiose o laiche.
E' la dittatura del relativismo, come l'ha mirabilmente definita Papa Benedetto XVI e come ha confermato Papa Francesco nella sua Esortazione Apostolica Evangelii gaudium.
Il Vangelo di oggi richiama noi tutti e la Chiesa intera a ritrovare il coraggio della verità, la passione della verità, che è innanzitutto il Mistero di Cristo rivelatore del Padre.
Nella società stanca e logora del nostro tempo, e così spesso ubriaca di tante false opinioni e di tante ingannevoli illusioni, l'efficacia dell'annuncio della verità della fede cristiana dipenderà in larga misura dalla nostra capacità di non cedere a compromessi, ma di far percepire come una scoperta inaudita la novità meravigliosa del Vangelo,che è l'incontro con la persona di Cristo.
Certo la verità non può essere imposta, ma sicuramente deve essere proposta, mostrando la bellezza, la gioia, lo stupore dell'incontro con Cristo?
E questo incontro con il Signore ci introduce a capire la profondità della stessa gioia e della stessa bellezza della verità cristiana.
Di Cristo si può dire, secondo il Salmo: "Tu sei il più bello tra i figli dell'uomo...", ma si deve anche dire: "Non ha bellezza né apparenza: un volto sfigurato dal dolore".
Colui che è la Bellezza divina si è lasciato sfigurare e percuotere sul volto, si è lasciato incoronare di spine: la Sacra Sindone di Torino ci racconta tutto ciò in maniera toccante.
La Sacra Sindone che la vostra città custodisce ci mostra che proprio nel volto sfigurato di Gesù appare l'estrema Bellezza dell'Amore divino, che è più forte di ogni menzogna e di ogni violenza, e diventa cosi fonte di speranza e di consolazione per ogni uomo che è vittima della menzogna e della violenza. Occorre imparare a vedere e a contemplare Gesù, soprattutto nel suo volto sfigurato dal dolore e dalla morte.
Non basta conoscerlo semplicemente a parole; bisogna lasciarsi colpire dalla sua bellezza paradossale: così avviene il vero incontro personale con Cristo, con la Bellezza della Verità che salva.
E la Sacra Sindone ci aiuta a metterci maggiormente in contatto con la Bellezza di Cristo che noi vediamo risplendere soprattutto sul volto dei santi e dei martiri, veri testimoni della verità, della gioia, della bellezza del vangelo.
I santi e i martiri (che nel nostro tempo sono ancora più numerosi che in passato) ci rivelano il segreto della vita cristiana: conoscere Dio, cioè la verità, dal di dentro, stare insieme con Dio nella preghiera, per conoscere il vero tesoro della vita, stare davanti a Dio con adorazione nella celebrazione della sacra liturgia e poi trasmettere questo tesoro agli uomini, perché il tesoro della verità e della carità non possiamo tenerlo per noi stessi, ma dobbiamo trasmetterlo e parteciparlo agli altri con amore.
E questo significa essere Chiesa missionaria, Chiesa in uscita, secondo la pregnante espressione di Papa Francesco.
Chiediamo che per intercessione celeste della Vergine Santissima, possiamo essere sempre illuminati dallo Spirito di verità per rendere testimonianza a Cristo Signore, per santificare le nostre anime, essere vicini ai sofferenti, ai malati nel corpo e nell'anima, e portare così la salvezza dell'amore e della vicinanza di Dio agli uomini del nostro tempo.


(* S.E.R Mons. Guido Pozzo, Arcivescovo titolare di Bagnoregio e Segretario della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, l'organismo preposto dal S.Padre alla tutela del diritto di tutti i fedeli a fruire senza impedimento alcuno della forma tradizionale -c.d. straordinaria- del rito romano.)












Messainlatino, 30/05/2015



venerdì 29 maggio 2015

Papa Francesco e l'apologia del fidanzamento






di Giuliano Guzzo

Dei numerosi interventi di Papa Francesco che meriterebbero di essere incorniciati, sicuramente quello di ieri sul fidanzamento occupa un posto di primo piano: per chiarezza, per intensità, per bellezza. ​Una catechesi davvero profonda ma al tempo stesso alla portata di tutti, a partire naturalmente dai più giovani. Vediamola in sintesi. Per evitare equivoci, il Santo Padre ha esordito con una premessa di carattere definitorio: «Il fidanzamento – ha sottolineato – è il tempo nel quale i due sono chiamati a fare un bel lavoro sull’amore, un lavoro partecipe e condiviso, che va in profondità. Ci si scopre man mano a vicenda cioè, l’uomo “impara” la donna imparando questa donna, la sua fidanzata; e la donna “impara” l’uomo imparando questo uomo, il suo fidanzato».

Anche se potrebbe suonare elementare, in questa premessa è già concentrato molto. Il Papa, presentando il fidanzamento come periodo in cui, fra le altre cose, «l’uomo “impara” la donna imparando questa donna» e «la donna “impara” l’uomo imparando questo uomo», afferma infatti una cosa enorme: dice che fidanzarsi non significa solo stare con l’altro e “volergli bene”, ma testimoniare cosa significhi essere uomo o donna. E’ per questo che si può sostenere che col fidanzamento si «va in profondità»: perché coloro che lo vivono sono chiamati a guidarsi reciprocamente in una conoscenza che ha nella differenza sessuale da un lato il dono di non potersi esaurire, in quanto differenza permanente, e dall’altro l’occasione di un avvicinamento che è anche scoperta.

Un secondo passaggio molto bello dell’intervento del Papa riguarda il tempo del fidanzamento. «L’alleanza d’amore tra l’uomo e la donna, alleanza per la vita, non si improvvisa, non si fa da un giorno all’altro. Non c’è il matrimonio express – avverte il Santo Padre – bisogna lavorare sull’amore, bisogna camminare. L’alleanza dell’amore dell’uomo e della donna si impara e si affina». Segue un chiarimento ancora più esplicito: «Chi pretende di volere tutto e subito, poi cede anche su tutto – e subito – alla prima difficoltà (o alla prima occasione). Non c’è speranza per la fiducia e la fedeltà del dono di sé, se prevale l’abitudine a consumare l’amore come una specie di “integratore” del benessere psico-fisico. L’amore non è questo! Il fidanzamento mette a fuoco la volontà di custodire insieme qualcosa che mai dovrà essere comprato o venduto, tradito o abbandonato, per quanto allettante possa essere l’offerta».

Qui Papa Francesco a ben vedere offre non solo una definizione del fidanzamento ma pure dell’amore stesso: «La volontà di custodire insieme qualcosa che mai dovrà essere comprato o venduto, tradito o abbandonato, per quanto allettante possa essere l’offerta». Di queste parole colpiscono almeno due aspetti. Il primo concerne l’amore – solitamente esaltato come puro istinto e, in quanto tale, inevitabilmente effimero – presentato come atto volontario ovviamente non causale ma finalizzato «a custodire insieme qualcosa». La seconda e non meno affascinante sottolineatura riguarda il fatto che l’amore non debba essere «mai comprato o venduto, tradito o abbandonato, per quanto allettante possa essere l’offerta». Parole che ricordano come l’amore sia qualcosa di troppo prezioso per essere negoziato o ceduto, che chiede di essere custodito insieme.

Quindi è tutto semplice? Quindi amarsi e soprattutto conoscersi è cosa facile? No, dice il Papa, tanto è vero che «molte coppie stanno insieme tanto tempo, magari anche nell’intimità, a volte convivendo, ma non si conoscono veramente. Sembra strano, ma l’esperienza dimostra che è così». Una considerazione che suona sia come fotografia di una realtà in cui la prossimità fisica, in tante coppie, non è accompagnata da quella dello spirito, sia come un invito a riscoprire il sentiero della conoscenza. Un ultimo incoraggiamento Papa Francesco lo ha fatto sul piano letterario a tutti: quello di rileggere l’opera più famosa di Alessandro Manzoni (1785 –1873), i Promessi Sposi, «un capolavoro dove si racconta la storia dei fidanzati che hanno subito tanto dolore, hanno fatto una strada piena di tante difficoltà fino ad arrivare alla fine, al matrimonio».

«Una strada piena di tante difficoltà fino ad arrivare alla fine, al matrimonio»: fortunatamente non tutte le coppie di fidanzati, oggi, sperimentano le disavventure che Renzo Tramaglino e Lucia Mondella hanno dovuto fronteggiare prima di sposarsi. Anzi, la maggioranza – rispetto ai protagonisti manzoniani – non sembrerebbe sperimentare difficoltà, se non economiche. Eppure, nonostante questo, le famiglie risultano sempre più fragili. Come mai? Al di là di tante ipotesi, la risposta più plausibile sembra quella della mancata realizzazione di una vera «alleanza d’amore tra l’uomo e la donna, alleanza per la vita» che «non si improvvisa, non si fa da un giorno all’altro». Di qui l’importanza di riscoprire il fidanzamento, che non è il tempo per organizzare un bel matrimonio ma quello per prepararsi ad esso. Non quindi il tempo fra l’inizio della frequentazione e la scelta di una casa bensì la fase in cui se ne poggiano le prime, fondamentali pietre.










http://giulianoguzzo.com/2015/05/28/apologia-del-fidanzamento/





mercoledì 27 maggio 2015

Card. Raymond Leo Burke sul tema: “Il matrimonio cristiano nella dottrina e nella pastorale”






16/05/2015 - Incontro con il Card. Raymond Leo Burke sul tema: “Il matrimonio cristiano nella dottrina e nella pastorale”- Sala riunioni dello Starhotel Savoia Excelsior Palace, Trieste.




La famiglia fondata sul matrimonio è la prima cellula della società umana, la culla della vita umana e la prima scuola per la sua crescita e il suo sviluppo. Il Concilio Vaticano II ha definito la famiglia «chiesa domestica» o «santuario domestico della chiesa». La sua vera origine è sacramento del matrimonio, per cui un uomo e una donna partecipano all’amore fedele, duraturo e creativo della Ss. Trinità.

L’oggetto del libro che ho scritto assieme ad altri autori [“Permanere nella verità di Cristo” (Cantagalli)] tratta della dottrina e della disciplina perenne della Chiesa sul matrimonio e sulla famiglia. E la famiglia sta al cuore della Chiesa e della sua pastorale. Da decenni essa è sotto attacco dalla cultura secolarizzata occidentale, che ha abbandonato la fede. In essa vi è il rispetto per l’oggettiva realtà del matrimonio, come Dio lo ha creato all’inizio e come Cristo lo ha redento con la sua passione, morte e risurrezione.

Il fenomeno pervasivo del cosiddetto divorzio libero, cioè semplicemente motivato dal capriccio personale - che il Concilio Vaticano II ha giustamente chiamato la «piaga del divorzio» -, la diffusa coabitazione senza aver celebrato il matrimonio davanti a Dio e alla Chiesa, la promiscuità sessuale che non rispecchia l’atto coniugale del matrimonio legittimamente contratto e, infine, il tentativo di equiparare i rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso all’unione coniugale del matrimonio: questi sono alcuni dei segni più gravi e preoccupanti della situazione attuale.

Con amarezza si può affermare che nella società si sta perdendo sempre di più e in un modo spaventosamente rapido tutto il senso del matrimonio, come Dio l’ha inscritto nel cuore umano e come Egli ce l’ha insegnato nelle Sacre Scritture e, soprattutto, nelle parole di Cristo nel Vangelo. In altre parole si sta perdendo il senso della natura umana stessa, che ha la sua manifestazione fondamentale nella vocazione matrimoniale e la formazione della famiglia sul fondamento della promessa mutua e solenne tra un uomo e una donna di amore totale. Totale nel senso di fedeltà e nel senso di definitività fino alla morte.

In questo contesto dobbiamo interpretare il senso delle discussioni di questo periodo sinodale, tra la prima assemblea straordinaria del Sinodo dei Vescovi (ottobre 2014) e la seconda assemblea ordinaria, che si terrà nell’ottobre prossimo. Infatti, il tempo delle discussioni sinodali è stato anticipato da un lungo discorso del cardinale Walter Kasper ai cardinali radunati in concistoro straordinario il 20-21 febbraio 2014. Papa Francesco ha invitato il cardinale Kasper a tenere una presentazione teologica sul matrimonio e la famiglia per avviare la discussione tra i cardinali. La presentazione di Kasper terminò mettendo in questione la costante prassi della Chiesa per quanto riguarda le persone che divorziano e poi attendono ad un nuovo matrimonio senza il giudizio della Chiesa sulla possibile nullità del matrimonio. È la situazione che classicamente la Chiesa chiama una “unione irregolare”, invocando una certa interpretazione dei Padri della Chiesa e la prassi delle Chiese ortodosse di ammettere i fedeli divorziati ad un secondo matrimonio in qualche senso.

Bisogna essere chiari: nelle Chiese ortodosse questo secondo matrimonio non è visto come un vero matrimonio. È una cosa molto difficile da capire. Però è chiaro che anche per loro qui c’è qualcosa che non va. Il cardinale Kasper ha proposto l’abbandono della prassi ecclesiale perenne fondata sulle parole del Signore nel Vangelo e confermate da San Paolo.
Il cardinale Kasper ha sempre preteso con ciò di non toccare la dottrina sull’indissolubilità del matrimonio, che ha una fonte incontrovertibile nelle parole di Gesù, ma di cambiare la disciplina della Chiesa per dimostrare più misericordia verso le persone che si trovano in una situazione irregolare.
La discussione si è rapidamente allargata ad includere la discussione sulle persone che coabitano senza matrimonio e sulle persone che vivono una relazione omosessuale. Il discorso del cardinale è stato subito pubblicato in italiano, francese, inglese, spagnolo e tedesco - e, per la sua natura radicale, ha subito suscitato un’ampia discussione sulla stampa. Nel concistoro straordinario stesso molti cardinali hanno contestato le conclusioni di Kasper.

La risposta alle proposte di Kasper

Chiaramente le ipotesi del card. Kasper e la discussione che ne è seguita, ampliata anche dalle sue presentazioni e interviste, chiedevano una risposta ampia e seria. Nonostante le proteste di Kasper, la rottura con la prassi costante della Chiesa in materia, specialmente per il suo radicamento nelle parole stesse del Signore, non poteva comportare altro che un cambiamento in qualche senso della dottrina: secondo il principio fondamentale logico una cosa non può essere e non essere allo stesso tempo [Aristotele, principio di non contraddizione, ndr]. In altre parole, o le persone che vivono in un’unione irregolare sono legate ad un’altra persona in matrimonio e, perciò, stanno vivendo in adulterio, secondo le parole di Gesù, o non sono legate e perciò il matrimonio non è indissolubile.
In questo senso, non senza ragione, le proposte del cardinale Kasper che sembrano essere state per lo più assunte dalla direzione del Sinodo, come hanno evidenziato varie dichiarazioni del card. Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo, e che sono state fortemente illustrate nella relazione dopo la discussione nella prima settimana dell’assemblea dell’ottobre scorso, sono state caratterizzate come una rivoluzione nella Chiesa.

Qui noto immediatamente che la Chiesa è una realtà organica ed è il corpo mistico di Cristo, che vive della stessa dottrina, degli stessi sacramenti e della stessa disciplina dal tempo apostolico, ossia dall’istituzione degli apostoli da parte di Gesù quali primi vescovi della Chiesa insieme con Pietro, il loro capo. Secondo l’insegnamento costante della Chiesa, il romano pontefice, quale successore di Pietro, è il perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità sia dei vescovi, sia della moltitudine dei fedeli. In una tale realtà organica non c’è posto per rivoluzioni, senza il danno gravissimo all’organismo. Qui si ricorda la Locuzione natalizia di Benedetto XVI (2005): ermeneutica della riforma nella continuità, contrapposta all’ermeneutica di rottura nella discontinuità.

La risposta di cinque cardinali e di altri studiosi

Così cinque cardinali hanno deciso di rispondere alla presentazione del card. Kasper, con uno studio profondo sui vari aspetti della questione dell’indissolubilità del matrimonio, specialmente come illustrato nella prassi della Chiesa di non ammettere ai sacramenti quelli che vivono in contraddizione con questa verità originale cioè, come dice il Signore, con il matrimonio come Dio lo ha creato dall’inizio.

Il libro non è polemico, anche se dimostra che la tesi del card. Kasper resta su un’interpretazione falsa del Concilio di Nicea e fa un uso inappropriato dei Padri della Chiesa. Inoltre il libro dimostra che l’invocazione della prassi ortodossa è gravemente problematica, sia dal punto di vista storico, sia dal punto di vista della prassi attuale delle Chiese ortodosse. Il libro, semplicemente e con grande serenità, cerca di illustrare la bellezza della verità del matrimonio, come è stato osservato lungo i secoli cristiani anche in presenza della pressione di chi voleva intaccare, in qualche modo, questa verità per permettere una prassi contraria.

Il libro, infatti, risponde ad un invito che il Papa san Giovanni Paolo II ha fatto nell’esortazione apostolica “Christifideles laici” (1988): [contesto della nuova evangelizzazione, in un mondo secolarizzato, ndr]. Giovanni Paolo II notava che il modo di pensare secolarizzato è entrato anche dentro la Chiesa. Così egli ci ammoniva che non si può pretendere di evangelizzare di nuovo la cultura senza prima evangelizzare la Chiesa stessa. Giovanni Paolo II esortava la rinnovamento della vita ecclesiale in fedeltà a Gesù vivo nella tradizione, come insostituibile primo passo per la nuova evangelizzazione della cultura. Benedetto XVI poi ha affrontato la stessa situazione nella Locuzione natalizia alla Curia (2010), sottolineando come il relativismo è entrato nel pensiero di certi teologi cattolici, specialmente di certi studiosi della teologia morale. Si vede lo stesso fenomeno nel tentativo di ridurre la sacra liturgia ad un’attività umana, invece di evidenziare in essa l’azione di Cristo.

Come Giovanni Paolo II, Benedetto XVI ci ha esortato ad adempiere la nostra responsabilità di formare rettamente la nostra coscienza secondo la sana dottrina, cosicché i permanenti ed essenziali fondamenti dell’azione morale potessero essere di nuovo udibili ed intelligibili per la gente odierna, come le vie della vera umanità. Questa nuova evangelizzazione della Chiesa stessa, come egli osserva, è un’espressione fondamentale della nostra preoccupazione per il bene dei nostri fratelli e sorelle, per il bene della nostra società.

Dopo il concistoro straordinario, un certo numero di cardinali, incluso me stesso, hanno deciso di rispondere alla tesi del card. Kasper e di provvedere così un aiuto fondamentale ai Padri sinodali, illustrando la dottrina e la disciplina della Chiesa che il Sinodo dei Vescovi, per compito proprio, deve aiutare il Papa a presentare nella sua integrità al mondo. Soprattutto abbiamo voluto collocare la discussione del Sinodo sulla sicura e necessaria fondazione del Magistero. In questa linea siamo stati specialmente consci dei lavori del Sinodo del 1980, che ha aiutato Giovanni Paolo II a presentare di nuovo il Magistero sul matrimonio e sulla famiglia nella “Familiaris consortio”.

[Prima parte del titolo del libro: dalla “Familiaris consortio” n. 5: Perché è compito del ministero apostolico di assicurare la permanenza della Chiesa nella verità di Cristo e di introdurvela più profondamente, i Pastori devono promuovere il senso della fede in tutti i fedeli, vagliare e giudicare autorevolmente la genuinità delle sue espressioni, educare i credenti a un discernimento evangelico sempre più maturo (cfr. «Lumen Gentium», 12 «Dei Verbum», 10), ndr].

[qua c’è una parte descrittiva in cui Burke segnala le varie parti del libro - non l’ho sbobinata, perché non troppo interessante]

Temi sviluppati nel libro

1. Rapporto fede-cultura

È importante avere una comprensione giusta del rapporto fede-cultura. È stato dichiarato che la Chiesa deve aggiornare la sua prassi e soprattutto il suo linguaggio per indirizzarsi efficacemente ad una cultura totalmente secolarizzata. Alcuni hanno asserito che la Chiesa non può più parlare della legge naturale, degli atti intrinsecamente cattivi o di unioni irregolari. Cioè il linguaggio renderebbe ostile la cultura. Però, così facendo, la Chiesa dà l’impressione di volersi avvicinare alla cultura, ma senza una chiara identità di se stessa e di quello che ha da dire alla cultura. Secondo la Sapienza divina, la Chiesa deve sempre dire la carità nella verità. La Chiesa deve andare alle periferie della cultura attuale, ma sempre ferma nella sua identità, manifestando la più grande compassione che coinvolge necessariamente il rispetto per la verità della situazione culturale, che molte volte è marcata da confusione ed errore sulle verità maggiormente fondamentali riguardanti la vita umana e la sua culla, che è la famiglia.

La Chiesa deve chiamare le cose con il loro proprio nome per non rischiare di contribuire alla confusione e all’errore, invece di portare all’ordine e alla luce. La gente onesta che vive in una tale cultura ha sete della verità e della sua proclamazione con carità. Incontrare i protagonisti di una tale cultura senza manifestare la verità di Cristo con parole chiare, sarebbe una mancanza grave di carità. Pensiamo a quanto riferisce il Vangelo dell’incontro di Gesù con la gente, che Egli trovava come pecore senza pastore e che perciò Egli ammaestrava. Pensiamo anche all’incontro del Signore con la Samaritana o con l’adultera: il Signore è pieno di comprensione per la loro situazione e le perdona ma, allo stesso tempo, è attento ad indicare loro la necessità di uscire da una vita di peccato e di non peccare più.

2. Rischio del sentimentalismo

Contemplando le situazioni di grande sofferenza nelle famiglie che si trovano fuori del contesto della verità di Cristo si rischia di cadere in un sentimentalismo che mentre sembra essere compassionevole, è profondamente nocivo per la sua mancanza di rispetto per l’oggettiva situazione della persona. Tale sentimentalismo blocca l’incontro con Cristo da parte della persona in situazione di peccato. Il sentimentalismo vede la verità di Cristo come qualcosa di lesivo della persona e, così, non pronuncia tale verità, che è l’unica via per la persona di uscire a suo tempo dal peccato.

Allo stesso tempo, il sentimentalismo non rispecchia l’effetto profondo dello stato irregolare della persona su tante altre persone, legate a lei per rapporti di famiglia o amicizia. Concentrandosi esclusivamente alla situazione dolorosa dell’individuo, non vediamo la realtà nella sua integrità e procuriamo ingiustizia, non solo all’individuo, ma agli altri, che sono legati a lui.

3. La proposta di radicale modificazione del processo per la dichiarazione di nullità

Parlando della tentazione del sentimentalismo (falsa compassione), vorrei dire una parola sulla proposta assai diffusa di modificare radicalmente il processo per la dichiarazione di nullità del matrimonio, così che le parti in una causa di nullità possano ricevere più facilmente e più rapidamente una tale dichiarazione. Nella sua presentazione al concistoro straordinario e negli altri suoi interventi, il card. Kasper ha asserito che il processo per la dichiarazione di nullità del matrimonio non è di diritto divino e, perciò, potrebbe essere radicalmente alterato.

Egli ha suggerito un processo amministrativo: per esempio un incontro del vescovo o di un sacerdote designato dal vescovo con una parte che accusa il suo matrimonio di nullità in base al quale un vescovo dichiarerebbe la nullità del matrimonio. Mentre è vero che il processo, nei suoi singoli elementi, non è di diritto divino, un processo adatto a scoprire la verità del matrimonio accusato di nullità è assolutamente richiesto dalla legge divina.

L’attuale processo è il frutto della plurisecolare esperienza della Chiesa circa il giusto trattamento di un’accusa di nullità matrimoniale. Come ha magistralmente illustrato Papa Pio XII, nella sua Allocuzione alla Sacra Rota (1944), si compone di vari elementi, tutti adatti a scoprire la verità delle situazioni di naufragio matrimoniale, che sono normalmente assai complesse. Per i casi più semplici, ad esempio per il caso di una persona che ha attentato al matrimonio quando era ancora legata ad un preesistente matrimonio, esiste un processo documentale con la celerità appropriata, come spiego nel mio contributo. Alterare l’attuale processo, senza rispetto dell’evoluzione storica dello stesso, rischia di sottrarre al processo la possibilità di arrivare al suo giusto fine: un giudizio emanato con certezza morale, secondo la verità scoperta tramite lo stesso processo.

4. La Plenitudo potestatis e la potestas assoluta

In una linea simile, alcuni hanno suggerito che la pienezza della potestà (plenitudo potestatis) del romano Pontefice significa che egli potrebbe sciogliere qualsiasi matrimonio. Un tale suggerimento non fa la necessaria distinzione tra la pienezza della potestà e la potestà assoluta.

La pienezza di potestà del romano Pontefice è al servizio della verità della dottrina e della disciplina della Chiesa. Il Santo Padre esercita il suo potere con totale obbedienza a Cristo e non può prendere provvedimenti contro la verità di Cristo, appellandosi ad una potestà assoluta e perciò arbitraria. Rimane vera anche per il romano Pontefice la disciplina contenuta nel Canone 1141 del Codice di Diritto canonico:
Can. 1141 - “Il matrimonio rato e consumato non può essere sciolto da nessuna potestà umana e per nessuna causa, eccetto la morte”. La stessa disciplina di diritto divino è contenuta nel Can. 853 del Codice delle Chiese orientali.
5. Il rapporto tra dottrina e disciplina

Per quanto riguarda il processo canonico per la dichiarazione di nullità del matrimonio, è frequentemente asserito che cambiamenti nel processo possono essere introdotti senza intaccare in alcun modo la dottrina sull’indissolubilità del matrimonio. Ma è più che evidente che un processo inadeguato per arrivare alla verità sul matrimonio accusato di nullità, comporterebbe una mancanza del dovuto rispetto all’indissolubilità. Infatti negli Stati Uniti, dal 1971 al 1983, è stato concesso un processo molto semplificato con la riduzione della figura del difensore del vincolo e l’effettiva eliminazione della doppia sentenza conforme.

Con il tempo e non senza ragione, il processo per la dichiarazione di nullità del matrimonio è stato qualificato popolarmente come «divorzio cattolico». In altre parole, nella percezione comune, mentre la Chiesa dichiarava l’indissolubilità del matrimonio nella sua dottrina, nella prassi permetteva a parti tenute da un legame matrimoniale di sposarsi con un’altra persona, senza che fosse previamente dimostrata la nullità del vincolo matrimoniale precedente.

Sono stato per molti anni presso la Segnatura apostolica, prima quale difensore del vincolo (1989-1995) e poi quale prefetto…
[racconto della sua vicenda personale - non l’ho sbobinata, perché non troppo interessante]

6. La nuova evangelizzazione e la famiglia

[qua ho potuto fare solo un riassunto, ma si può adattare perché sono praticamente tutte parole sue]

Sinodo: ha il dovere di essere più fedele alla verità sul matrimonio e sulla famiglia.
Giovanni Paolo II, “Familiaris consortio”: famiglia cristiana: prima comunità evangelizzante, tramite educazione e catechesi. Importanza della testimonianza sulla verità della famiglia.
Momento attuale di attacco feroce alla famiglia. Ora più che mai la Chiesa deve dire la verità. Chiesa: devono dare attenzione alla santità del matrimonio, promuoverlo nella verità. Sinodo: occasione per dare ispirazione e forza alle coppie cattoliche. Deve essere fonte di aiuto alle famiglie cristiane per essere Chiesa domestica.
Familiaris consortio”: famiglia strumento indispensabile di evangelizzazione.
Tutti i componenti della famiglia evangelizzano e sono evangelizzati, genitori e figli. Se l’evangelizzazione non si verifica nelle famiglie, non si verificherà nella Chiesa e nella società.

7. Fiducia nella legge naturale e nella grazia matrimoniale

La Chiesa non deve perdere la fiducia nella legge naturale, inscritta in ogni cuore umano e nella sua piena espressione nell’opera salvatrice del Signore. Nella nostra cultura c’è confusione sul significato della sessualità umana, che sta portando il frutto della profonda infelicità personale, che spesso porta al naufragio del matrimonio, alla corruzione dei bambini e dei giovani e all’autodistruzione.
L’attività sessuale disordinata, fuori del matrimonio e falsi messaggi costanti e potenti dei media, sulla nostra identità come uomo e donna, sono tutti segni del bisogno urgente di un’evangelizzazione che comincia nei matrimoni, nelle famiglie e, per i matrimoni, si diffonde in tutta la cultura. C’è bisogno della testimonianza ai doni distinti dell’uomo e della donna, che ambedue devono disporre al servizio di Cristo e della Chiesa, tramite una vita casta. Il matrimonio cristiano è il luogo primario di testimonianza e la tramite una vita familiare sana la nostra cultura sarà trasformata.
Nelle vite di molte coppie sante si vede tutto lo splendore della verità sul matrimonio e dell’insegnamento di Cristo. Testimoniano Gesù, perché non si deve dare il libretto di ripudio, com’è scritto nel Vangelo. È scritto anche: «L’uomo non separi quello che Dio ha congiunto». Gesù ha concesso una grazia sovrabbondante per portare a compimento la legge. Dio concede la grazia perché il matrimonio sia duraturo.

Conclusione

Viviamo il tempo di un attacco veramente feroce al matrimonio, che cerca di offuscare e macchiare la bellezza sublime dello stato matrimoniale, come Dio lo ha voluto dall’inizio, dalla creazione. Il divorzio è diventato comunissimo, come anche comunissima la pretesa di rimuovere dall’unione coniugale, con ogni mezzo esterno, la sua essenza procreativa. E adesso la cultura è andata ancora oltre nel suo affronto a Dio e alla sua legge, pretendendo di dare il nome di matrimonio ai rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso.
Persino nella Chiesa ci sono quelli che oscurano la verità sull’indissolubilità del matrimonio nel nome della misericordia, che accettano la violazione dell’unione coniugale nel nome della comprensione pastorale e che, nel nome della tolleranza, rimangono zitti di fronte all’attacco sull’essenza del matrimonio, quale unione di un uomo e di una donna.

Ci sono anche quelli che negano che gli sposati ricevono la grazia particolare a vivere eroicamente un amore fedele, duraturo e procreativo, mentre il Signore stesso ci ha assicurato che Dio dà agli sposati la grazia per vivere quotidianamente la loro vita il mistero della loro unione, secondo la verità evangelica. Nell’attuale situazione la nostra testimonianza e, specialmente, la testimonianza degli sposati ha lo splendore della verità del matrimonio e deve essere limpida e coraggiosa. Dobbiamo essere pronti a soffrire, come i nostri confratelli cristiani hanno sofferto lungo i secoli, per onorare e promuovere il santo matrimonio.
Prendiamo come nostri modelli san Giovanni Battista, san Giovanni Fisher, san Thomas More e tanti altri che hanno dato la loro vita nella testimonianza integra a Cristo e alla sua Parola. Di fronte alla confusione e agli errori sul santo matrimonio, che satana sta diffondendo così ampiamente nella nostra cultura, seguiamo il loro esempio e invochiamo la loro intercessione.









chiesa e postconcilio, 27/05/2015





Grande guerra? Vittoria della Rivoluzione anticristiana






Marco Invernizzi

Cento anni fa l’Italia entrava nella Prima guerra mondiale. Non è certo uno di quegli anniversari di cui andare fieri. Il 24 maggio 1915, dopo avere aspettato dieci mesi prima di decidere quale dei due fronti in guerra avrebbe offerto di più, il governo italiano sceglieva l’Intesa e dichiarava guerra all’impero austriaco prima, e soltanto successivamente alla Germania, con i quali era alleata dal 1882. Con questo gesto il Bel Paese acquisì un’immagine di inaffidabilità dalla quale è difficile liberarsi, ancora cento anni dopo. Oltretutto, quando decise di uscire dalla neutralità, il governo italiano e i poteri forti che spinsero per la guerra conoscevano già come questo conflitto era diventato, in dieci soli mesi, una guerra di trincea, che sacrificava milioni di giovani in una guerra che non assomigliava in nulla alle precedenti, che sarebbe durata a lungo e avrebbe coinvolto non soltanto i soldati ma tutta la popolazione.

Non era soltanto l’inutile strage, come la definì mirabilmente e per sempre papa Benedetto XV il primo agosto 1917, ma fu una strage che ebbe conseguenze devastanti anche per chi sopravvisse, contribuendo a cambiare il mondo in senso rivoluzionario, favorendo l’introduzione delle ideologie di massa, l’odio nella competizione politica, lo sradicamento dai principi che avevano tenuto insieme i Paesi europei per secoli. La stessa conquista della Russia da parte del partito bolscevico fu una diretta conseguenza della guerra, che così diede inizio alla lunga guerra civile europea fra i due totalitarismi contrapposti, quello nazionalista e quello comunista.

Ma il problema della Grande guerra, come viene ancora oggi chiamata in Italia, non finì con la sua fine, ma continua nei successivi cento anni e rimane ancora oggi. Che cosa celebriamo il 24 maggio di ogni anno? La guerra patriottica che portò a compimento il Risorgimento? Il tradimento delle precedenti alleanze? Il trionfo del nazionalismo?
Oppure, più ragionevolmente, una guerra spaventosa e nefasta, senza alcuna giustificazione, inutile e dannosa anche per i motivi che ispirarono tutti i contendenti, la prima vera e propria guerra rivoluzionaria della storia, mondiale e totale.

Allora bisogna avere il coraggio di spiegarlo, a cominciare dalla scuola e dalle istituzioni, e preoccuparsi di cercare la vera identità su cui potere costruire il sentire comune della nazione. Non dovrebbe essere difficile se soltanto fossimo capaci di alzare gli occhi in qualsiasi città della nostra terra, guardando uno dei tanti campanili che coprono il territorio e non mancano neppure nel paese più piccolo. Vedremo le cattedrali romaniche e gotiche, le chiese barocche, ma anche quelle moderne, costruite con gusto e senza la volontà di essere trasgressivi a tutti i costi, una malattia che ha colpito anche l’architettura religiosa recente. Ma vedremo anche delle case normali, a misura d’uomo, con la sola eccezione dei casermoni in stile sovietico che sono stati costruiti nelle periferie delle grandi città, quando il socialismo andava di moda. Dentro ognuna di quelle case c’è ancora una famiglia, maltrattata come dice Papa Francesco, ma che vive e combatte per la propria esistenza. E fino a prova contraria fondata sull’unione di un uomo e di una donna che hanno il coraggio di mettere al mondo dei figli.

Bisogna farlo bene e presto, perché la dittatura del relativismo penetra e corrode il corpo sociale. In gioco non c’è il passato, che non può cambiare, ma il futuro dell’Italia, dove i pochi figli che nascono hanno il diritto che venga loro proposta una lettura più autentica della storia della loro patria.









Le Sentinelle in Piedi e la “cattolica” Irlanda che non c’è più









di Stefano Fontana

Sabato scorso 23 maggio, in 100 piazze d’Italia – compresa Trieste - le Sentinelle in Piedi hanno vegliato contro l’approvazione della legge sui “matrimoni omosessuali”. Le Sentinelle sono una speranza – una delle poche se non l’unica - che la ragione non vada completamente smarrita e che la politica dei desideri individuali anonimi non abbia definitivamente la meglio, imponendo la sua dittatura. A loro va il nostro plauso. Non si può, però, non notare che sono sole. Lasciamo stare i partiti, che su questo si lavano le mani come Pilato. Lasciamo stare per carità anche i cattolici nei vari partiti che addirittura promuovono queste leggi. Ma gli altri: i comuni fedeli, le nostre parrocchie, le associazioni ecclesiali, le Consulte delle aggregazioni laicali, gli ordini religiosi oppure i loro rami laicali, tutti gli operatori pastorali … dove sono? Perché non erano in piazza con le Sentinelle? Le Sentinelle sono poche e sole. In molte città non ci sono nemmeno e non si fa niente per costituirle. Gran parte del mondo cattolico ha già accettato tutte le novità che le Sentinelle combattono, l’altra parte pecca di indifferenza. Il quadro è molto triste.

Domenica scorsa 24 maggio, un referendum in Irlanda ha approvato il riconoscimento del matrimonio omosessuale. I giornali hanno parlato della svolta nella “cattolica” Irlanda. Ma è evidente che l’Irlanda non è più cattolica ormai da tempo, come l’Italia, del resto, vista la solitudine delle Sentinelle in Piedi.

Quando la fede cattolica diminuisce o sparisce – e in Irlanda ciò è avvenuto in modo violento e repentino – anche la ragione diminuisce o sparisce. Le evidenze naturali e spontanee, che anche un bambino riconosce, vengono perse di vista e la ragione non sa più spiegarsi perché dire di no al riconoscimento di un matrimonio tra due persone dello stesso sesso. Se non sa spiegarsi questo, non saprà spiegarsi molte altre cose elementari in futuro, un futuro che si preannuncia quindi piuttosto tetro.

I cattolici hanno creduto che la secolarizzazione fosse un fatto positivo, le hanno prestato fiducia e l’hanno anche teorizzata. Invece la secolarizzazione è un mostro spietato che divora ogni senso delle cose e che non si accontenta mai. Nell’Ottocento chiedeva il matrimonio civile. Partendo da là, ora è arrivato a chiedere quello omosessuale.

Col funerale del matrimonio se ne va anche il patrimonio di saggezza, di morale naturale, di educazione dei sentimenti e delle azioni, sulla famiglia, i rapporti uomo-donna, la filiazione, il senso della parentela e della continuità delle tradizioni. Basta un colpo di referendum espresso da una maggioranza che per lo più giudica all’ingrosso per fare piazza pulita della civiltà. E la chiamano democrazia …

Ne abbiamo da riflettere. Bisogna ricominciare da capo. Dall’abc della fede e della ragione. Ma prima di tutto dentro la Chiesa.














vanthuanobservatory.org/25-05-2015 



martedì 26 maggio 2015

Siamo tutti mamme irlandesi, e Dublino è un faro di libertà e di eguaglianza per tutti






di Giuliano Ferrara 

Quel che penso io non importa. Siamo tutti mamme irlandesi, celebriamo con entusiasmo la vittoria del yes al matrimonio gay, insieme con tutti i partiti irish e con le opinioni nobili giovanili progressive e altre meravigliose certezze coltivate in tutto il mondo occidentale nel segno dell'eguaglianza e della libertà e dell'amore. Oggi l'Irlanda, paese caro a tutti noi nipotini di Nora Barnacle e a tutti noi microliberisti impenitenti e sfrenati, è un faro di luce alto nel mare notturno della contemporaneità. Seguiremo il suo esempio appena possibile, saranno altre lacrime, altri entusiasmi, altre voci altre stanze e altri unanimismi benedetti.

Ridefinire il matrimonio a prescindere dal sesso dei contraenti è un'impresa a suo modo grande. Avrà conseguenze colossali: nella giurisdizione, nell'antropologia, nell'ingegneria biologica e genetica, nella schiavitù delle donne portatrici e nella indifferenza di spermifici e banche dati, nella storia sociale e umana e religiosa e mitologica della nostra civiltà. Ma molto grandi, molto più di quanto non si pensi in questa fase di festeggiamenti superficiali per una conquista così "amazing". Non l'ho mai sottovalutata, fin da quando dopo gli olandesi fu Zapatero a compierla, la grande impresa del nostro tempo, con un tratto di penna che cancellò le "discriminazioni" di genere dal codice civile, e lo fece, come disse, nel nome di una democrazia e di un socialismo "ciudadani", che riconoscono una sola verità, quella della maggioranza delle opinioni. Nacquero il progenitore A e il progenitore B, al posto della morale di Aristotele e San Tommaso avanzò quella di Pedro Almodovar, e fu l'inizio della grande movida anche su suolo latino.

Il Papa dei criteri non negoziabili fu sconfitto e sostituito da un gesuita scaltro e non judgemental, ma non so fino a che punto. Era un compagno di strada interessante e carismatico, almeno per noi laici non omologati, per gli psicoanalisti rive gauche che la sanno lunga, per le femministe che conoscono la fatica mercenaria di un parto di poveri in favore dei desideri dei ricchi.

Ma siamo in pochi, sputtanati dai cretini omofobi, dai residui insopportabili di vecchie culture discriminatorie, per superare le quali invece di trasformare la loro violenta ignoranza in mite ragione e presa sulla realtà si è creduto bene di opporre la pazzia della boda gay al cosiddetto matrimonio tradizionale, quello del lineage, della consanguineità, della progenie o eredità di genere e specie. Si sa, siamo molto civili, abbiamo una illuministica paura del sangue, salvo intrufolarci a raschiare dal seno delle donne un grumo di sangue e a gettarlo come rifiuto ospedaliero.

Irlanda a parte, l'ideologia L.G.B.T. dilaga come testimonianza di una nuova lotta alla schiavitù, si fa programma scolastico, si sottrae al controllo della ragione, si festeggia contro gli intrusi, quelli che vogliono saperne di più e magari capire che senso abbia l'autodefinizione sessuale come ultimo capitolo dell'autodeterminazione culturale e politica. Non tengono più le costituzioni e le corti supreme, non tengono le leggi, i referendum vinti da preti e laici contro scientisti e nuovi faustiani, si smantella tutto quel che c'era prima e al suo posto si mette quel che viene dopo. E' la logica del nichilismo, bellezza, e non puoi farci niente. C'è solo da sperare che a correggere noi sterilizzatori della tradizione non arrivino i ripopolatori islamici del mondo: lo farebbero con scarsa grazia.








IL FOGLIO, 25/05/2015




lunedì 25 maggio 2015

Don Nicola Bux: a che punto siamo sul Sinodo di ottobre?




Introduzione di don N. Bux alla Conferenza del cardinal Raymond Leo Burke sul libro "Permanere nella verità di Cristo", Brindisi-Lecce, 7-8 maggio 2015


di don Nicola Bux

In vista del Sinodo ordinario del prossimo ottobre, a che punto siamo?

Adesso c’è una discussione molto più estesa sui temi trattati dal Sinodo e questo è un bene. C’è un numero maggiore di cardinali, vescovi e laici che stanno intervenendo e questo è molto positivo. Questo si deve anche al libro “Permanere nella Verità di Cristo”, a cui il card. Burke ha contribuito insieme ad altri 4 cardinali e 4 specialisti sul matrimonio, edito da Cantagalli. Un libro che presenta quello che la Chiesa ha sempre insegnato e praticato sul matrimonio e sulla comunione. È certo che il libro è stato scritto come aiuto in vista del Sinodo per rispondere alla tesi del cardinale Kasper. Ma non è polemico, è una presentazione fedelissima alla tradizione, ed è anche della più alta qualità scientifica possibile.
Una delle giustificazioni teologiche a sostegno del cardinale Kasper che oggi viene molto ripetuta è quella dello “sviluppo della dottrina”. Non un cambiamento, ma un approfondimento che può portare a una nuova prassi.
Qui c’è un grande equivoco. Lo sviluppo della dottrina, con un approfondimento nell’apprezzamento, nella conoscenza di una dottrina, non il cambiamento della dottrina. Lo sviluppo in nessun caso porta al cambiamento.
Non si può mai ammettere nella Chiesa un contrasto tra dottrina e prassi perché noi viviamo la verità che Cristo ci comunica nella sua santa Chiesa e la verità non è mai una cosa fredda. È la verità che apre a noi lo spazio per l’amore, per amare veramente si deve rispettare la verità della persona, e della persona nelle situazioni particolari in cui si trova. Così stabilire un tipo di contrasto tra dottrina e prassi non rispecchia la realtà della nostra fede. Chi sostiene le tesi del cardinale Kasper – cambiamento della disciplina che non tocca la dottrina – dovrebbe spiegare come sia possibile. Se la Chiesa ammette alla comunione una persona che è legata in un matrimonio ma sta vivendo con un’altra persona un altro rapporto matrimoniale, cioè è in stato di adulterio, come si può permettere questo e ritenere nello stesso tempo che il matrimonio sia indissolubile? Quello tra dottrina e prassi è un falso contrasto che dobbiamo rigettare (Intervista al card. Burke, 1 aprile 2015, di R. Cascioli).
Servendomi di uno studio del prof. Antonio Livi, richiamo solo alcuni criteri per impostare il rapporto tra dottrina, magistero e disciplina, che sarebbe poi il vero nome della cosiddetta ‘pastorale’.

1. Quanti hanno la responsabilità, per dovere di ufficio ecclesiastico, di evitare il disorientamento dottrinale tra i fedeli devono saper rifiutare ogni opinione che abusivamente si presenti come teologica, quando in realtà è meramente umana. Non si tratta quindi di criticare un’opinione umana a partire da un’altra opinione umana, né si tratta di contrapporre a un’ideologia un’altra ideologia: si tratta piuttosto della necessità pastorale di non riconoscere come “teologica” una tesi che, quale che sia l’autorità scientifica (filosofica, esegetica, sociologica, psicologica, storiografica) di chi la propone, risulti basata su presunte verità umane e non sulle verità rivelate da Dio. Un caso frequente di presunte verità umane che servono da premesse di false argomentazioni teologiche miranti a cambiare la dottrina della fede è la categoria immaginaria del cosiddetto “uomo di oggi”, categoria basata su superficiali analisi psicologiche o socioculturali che ignorano le sostanziali differenze tra la cultura occidentale e quella orientale o africana, e identifica ingenuamente l’uomo di oggi con le manifestazioni esteriori della coscienza umana quali sono elaborate dall’industria dei media. Le congetture circa ciò che dovrebbero essere le aspettative e le pretese del cosiddetto “uomo di oggi” non possono portare il teologo a ignorare quello che ha detto Cristo stesso, redentore dell’uomo, stabilendo i principi morali fondamentali sulla sessualità e sul matrimonio, principi che la Chiesa non può che considerare come assolutamente validi per gli uomini di ogni tempo e di ogni luogo.

2. In questo senso, nella nozione teologica di “dottrina cattolica” vanno distinti due livelli. 
Il primo livello è il “nucleo dogmatico”, costituito da vari elementi dottrinali, che vanno dalla predicazione degli Apostoli e dalla dottrina unanime dei Padri della Chiesa, alle “formule dogmatiche” definite dai concili ecumenici o dal solo Romano Pontefice quando parla ex cathedra, fino al magistero ordinario e universale del medesimo Romano Pontefice; il “nucleo dogmatico” della dottrina cattolica esprime dunque la verità della divina rivelazione, la quale è stata sì donata da Dio e recepita dagli uomini nella storia - nella storia della salvezza e nella storia della Chiesa - ma è di per sé soprastorica, e quindi universale e immutabile. 
Il secondo livello è invece quello che si deve intendere come “interpretazione ecclesiastica” e che per sua natura è relativo alla storia e alle diverse circostanze sociali che ne determinano la varietà di contenuti e di forme espressive. Quando si parla di “interpretazione ecclesiastica” non ci si riferisce alle tante forme di libera interpretazione che, entro precisi limiti di contenuto, è consentita ai semplici fedeli, siano essi studiosi di teologia, artisti, letterati o maestri di spiritualità. Questa interpretazione “privata” ha un suo ruolo nell’economia della salvezza, e la Chiesa le riconosce un grande valore come sussidio della catechesi, come potenziamento dei “santi segni” nel culto divino (arte sacra), come edificazione del Popolo di Dio nella ricerca della santità personale (ascetica e mistica) e nella missionarietà, soprattutto quando si tratta dei carismi apostolici e dell’esperienza spirituale dei santi. Non è però tale da sviluppare il dogma con dottrine nuove, come invece avviene nel caso dell’interpretazione ecclesiastica, i cui risultati impegnano i cattolici all’assenso interno dell’intelletto e anche all’obbedienza esterna quando si tratta di disposizioni ecclesiastiche obbliganti. Alla categoria logica dell’interpretazione ecclesiastica appartengono: (a) la catechesi nelle sue diverse forme, tra le quali ha un particolare valore ecclesiale la redazione dei catechismi per la Chiesa universale, come il Catechismus ad parochos, redatto dopo il Concilio di Trento, e il Catechismo della Chiesa Cattolica, redatto dopo il Vaticano II; (b) la sacra liturgia, le cui variazioni o riforme rispondono sempre all’esigenza di adattare ilo rito alle diverse epoche e situazioni sociali, mantenendo sempre immutata la funzione di “lex orandi” come fedele espressione della “lex credendi”; (c) le norme di diritto ecclesiastico, rapportate tutte al criterio pastorale per cui “salus animarum suprema lex esto”.

3. In entrambi i livelli – quello del dogma e quello dell’interpretazione – è impossibile che possa o addirittura debba essere creduto un enunciato che risulti essere in chiara contraddizione logica con quelli che la Chiesa ha già definito come irriformabili. Pertanto, il vaglio critico delle proposte che sono state presentate in occasione del Sinodo deve portare a respingere – in quanto teologicamente infondate e dunque irricevibili – tutte quelle che con il pretesto di presunte urgenze di tipo “pastorale” esercitano sul magistero un’indebita pressione perché accondiscenda a quella che in realtà sarebbe una vera e propria “riforma” della dottrina della Chiesa, a cominciare proprio da quelle dottrine che sono da considerate irriformabili; ciò vale in particolare per l’indissolubilità naturale del matrimonio e la sua sacramentalità per i battezzati, come pure per le condizioni che consentono l’accesso all’Eucaristia). Mai comunque la Chiesa può enunciare delle proposizioni di fede che risultino in contraddizione con quelli precedentemente formulati. Ma più frequentemente il Magistero, invece di enunciare nuovi dogmi, si limita a interpretare autorevolmente il contenuto del nucleo dogmatico, traendone talune conseguenze dottrinali che ritiene pastoralmente opportune in vista della catechesi e dell’evangelizzazione in un dato momento storico (questo è il caso delle dottrine contenute nei documenti del Vaticano II, la cui ermeneutica, secondo papa Benedetto XVI, è quella di una «riforma nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa»).

4. Per questo ha ragione chi, come il cardinale Raymond Burke, va ripetendo che, quando si parla di “sviluppo della dottrina”, non si deve pensare a “una modifica” ma solo a «una comprensione più profonda» delle verità della fede. Invece, non ha alcuna giustificazione teologica la proposta di sostanziali modifiche della prassi liturgica e delle leggi canoniche che taluni presentano come provvedimenti meramente “pastorali”. Nessuna prassi pastorale può essere lecita e valida se risulta in contraddizione con la dottrina della fede, perché – come ho spiegato più sopra – ogni scelta pastorale altro non è se non un’interpretazione (esplicitazione, applicazione, adattamento) del dogma.

In conclusione: la vera riforma della Chiesa, dipende dal ‘permanere nella verità di Cristo’, altrimenti è falsa. È vero che tutti i cristiani si riferiscono a Gesù Cristo, ma «secondo la persuasione dei cattolici – ricordava Giovanni Paolo II agli evangelici di Germania – il dissenso verte su “ciò che è di Cristo”, su “ciò che è suo”: la sua Chiesa e la sua missione, il suo messaggio, i suoi sacramenti e i ministeri posti al servizio della parola e del sacramento» (Incontro con il consiglio della chiesa evangelica di Germania, Magonza, 17 novembre 1980, in Insegnamenti, vol. III, t. 3, p. 1256).










http://www.scuolaecclesiamater.org/2015/05

domenica 24 maggio 2015

CATTOLICI ITALIANI DOPO L'IRLANDA: FRA CRISTOFORO O DON ABBONDIO?






di GIUSEPPE RUSCONI

Rimbalzano tra Dublino e Roma i commenti entusiasti per la vittoria del ‘sì’ nel referendum sul riconoscimento costituzionale del “matrimonio gay” – “Da Dublino a Roma in tempi brevi!” è l’auspicio della nota lobby, che cerca di evidenziare come la cattolica Italia debba imboccare di corsa la strada della ‘cattolica’ Irlanda, per non restare in compagnia dell’ Europa ‘più arretrata’- Anche in Italia non mancano purtroppo i cattolici ‘à la carte’ e quelli incollati alla poltrona, che si infischiano di quel che ribadisce papa Francesco. 


La “cattolica”, anzi “cattolicissima” Irlanda “volta pagina”, dice sì alle “nozze gay”: l’Irlanda è una nazione “pioniera”; “un faro, una luce di libertà”, “una piccola isola, ai confini dell’Europa e sulla rotta per l’America”, che  può indicare la strada al mondo” e via titolando e commentando da Dublino a Roma. Fino a giungere al “suona forte la campana irlandese, e suona anche per noi. Siamo in prevalenza cattolici, noi e loro” e all’elenco – incontrovertibilmente pervaso da una eloquente venatura razzistica - degli Stati ancora ‘reprobi’, senza tutela per le coppie gay, dove l’Italia è in compagnia di Grecia, Cipro, Lituania, Lettonia, Polonia, Slovacchia, Bulgaria, Romania…come a suggerire dei Paesi culturalmente più ‘arretrati’d’Europa.

Insomma: come prevedibile i risultati del referendum costituzionale irlandese - di uno Stato cattolico solo ormai  sulla carta e semmai cattolico ‘à la carte’ (anche per l’estesa vergogna degli abusi su minori, che ha provocato una grave perdita di credibilità della Chiesa) – in Italia sono strumentalizzati per imporre una svolta legislativa in materia. Di tale manovra è particolarmente insidioso il tentativo di associare il voto irlandese a un’evoluzione ‘aperturista’ che coinvolge in pieno il mondo cattolico.

In Irlanda la Chiesa si è presentata per molti osservatori al voto divisa, incerta, timida e balbettante anche in parte della gerarchia. Creando così ulteriore confusione in un elettorato cattolico già sconcertato dalle prese di posizione a favore del riconoscimento del ‘matrimonio gay’del premier (che si dice pure cattolico) Enda Kenny e di diversi dei suoi ministri. I vescovi in buona parte si sono espressi seguendo uno slogan che un moderno Manzoni potrebbe mettere in bocca a un don Abbondio contemporaneo: “Serve il confronto, non le ideologie”. Per fare un rapido salto in Italia, la stessa linea è espressa esemplarmente dal segretario generale della Cei Nunzio Galantino, entusiasta dei convegni culturali (pur bacchettati recentemente da chi è andato a prenderlo e l’ha posto a capo del settore organizzativo dei vescovi italiani) e pervaso di naturale idiosincrasia verso la testimonianza di piazza: “Non si tratta -  ha detto Galantino al “Corriere della Sera” di domenica 24 maggio– di fare a chi grida di più, i ‘pasdaran’ delle due parti si escludono da sé. Ci vuole un confronto tra gente che vuol bene a tutti”. E’ il trionfo della melassa: sul ponte sventola bandiera bianca.

Tornando in Irlanda non pochi sono stati i sacerdoti, le suore, i laici ‘impegnati’ che si sono scatenati in favore del ‘sì’ al riconoscimento costituzionale del “matrimonio gay”. E l’hanno fatto con affermazioni del genere (vedi l’ “Irish Times” di sabato 23 maggio): “Siamo cattolici, e noi abbiamo imparato a credere nella compassione e nell’amore e nella giustizia e nell’inclusione. Uguaglianza, è per tutto questo che votiamo a favore”. Dove si nota lo stravolgimento del significato di parole chiave dell’esperienza cattolica, annegata in una – e ribadiamo il termine, poiché ci sembra il più consono a descrivere un certo atteggiamento - melassa di buoni sentimenti new age che non corrisponde per niente al concetto vero di ‘misericordia’.


IN ITALIA: CATTOLICI "A' LA CARTE" E CATTOLICI "POLTRONISTI"

Questo insistere da parte dei massmedia sul ‘cattolicesimo’ irlandese per suggerire la strada al cattolicesimo italiano ha purtroppo oggi – siamo realisti - non poche possibilità di raggiungere l’obiettivo in tempi anche brevi. In Parlamento sono in corso d’esame norme di legge “contro l’omofobia” (in verità per la repressione della libertà di pensiero), per l’eutanasia, per le “unioni civili” (in verità per i ‘matrimoni gay’), per l’imposizione dell’ideologia gender nelle scuole di ogni ordine e grado. In governo siedono noti cattolici à la carte, dal presidente del Consiglio al suo contorno di ex-Madonnine del presepe, di ex-catechiste entusiaste delle Giornate mondiali della gioventù, di ex-presidenti delle Acli. Sempre in governo non mancano cattolici ‘poltronisti’, fortemente tentati - per conservare una poltrona – dal vendere Gesù Cristo, la Sacra Scrittura e il Magistero della Chiesa.

Tra le associazioni laicali leggete un po’ che cosa chiede il “Forum delle famiglie” umbro per il prossimo voto regionale. Sotto il motto: “Io voto perché… Cinque motivi per andare a votare”, si legge:
  1. Il lavoro che non c’è, le politiche di sviluppo e di armonizzazione familiare che l’Umbria dovrebbe promuovere;
  2. Il welfare in regime di scarsità di risorse, i modelli alternativi e integrati possibili;
  3. L’educazione e la cultura secondo un’ecologia integrale, rispettosa della persona e dell’ambiente;
  4. Un fisco equo e un’Amministrazione amica della famiglia
  5. Di’ la tua…
C’è qualcuno che riesce a scovare nell’elenco qualche – magari anche timido -accenno a tematiche di grave ed esistenziale attualità come le norme legislative proposte a proposito di matrimonio, eutanasia, indottrinamento gender? No? E’ vero, non si trova niente di tutto questo. Si vede che il “Forum delle famiglie dell’Umbria” o vive su Marte oppure non vuole disturbare la candidata di sinistra alla presidenza dell’Umbria, Catiuscia Marini, esplicitamente favorevole al “matrimonio gay”, alla fecondazione eterologa, alla lotta “contro l’omofobia”, all’aborto, ecc… . Da notare che la Marini, proveniente dalla sinistra radicale, è appoggiata anche dalla formazione politica “Democrazia solidale” (ex-area Monti), che comprende tra l’altro Lucio Romano (già vicepresidente del Movimento per la Vita ed ex-presidente di “Scienza e Vita”).

Ditemi voi: se parti importanti del mondo cattolico italiano parlano e agiscono in tal modo (infischiandosene sostanzialmente di quanto continuano a ribadire con forza papa Francesco e con lucida, coerente fermezza il cardinal Bagnasco), come meravigliarsi se poi i massmedia scrivono che i cattolici contro il riconoscimento del “matrimonio gay”, fedeli alla Dottrina sociale - tendono ormai a diventare piccola minoranza di “bigotti e omofobi”? E ad esempio – come è successo ancora ieri sera a Roma e in altre città italiane – le “Sentinelle in piedi”, che testimoniano coraggiosamente con il pubblico silenzio la loro lotta per la libertà d’espressione, in adesione anche al magistero della Chiesa cattolica sulla famiglia, possono farlo solo con la robusta protezione della polizia e tra le urla e gli schiamazzi delle propaggini della nota lobby? Una vera vergogna, indegna di uno Stato che si dice democratico, ma purtroppo ricorrente.

In Irlanda chi ha reso pubblica testimonianza contro il riconoscimento del “matrimonio gay” è stato additato come nemico del progresso, un oscurantista da emarginare, in alcuni casi ha dovuto chiedere la scorta della polizia. Diversi cittadini hanno versato contributi alla macchina organizzativa del ‘no’ solo dietro garanzia dell’anonimato. Buona parte dei cartelloni elettorali del ‘no’ sono stati strappati. Ora, dopo il voto, è incerto su quel che ne sarà di chi pubblicamente dirà che il matrimonio è solo tra uomo e donna. Si pensi ad esempio alla situazione in cui verranno a trovarsi le scuole cattoliche, i catechisti, magari gli stessi sacerdoti celebranti, tutto l’indotto legato al matrimonio. Che cosa capiterà a chi si rifiuterà di….?

  • E’ una situazione che, in tempi brevi, potrà conoscere anche l’Italia. E allora, dai comportamenti, perlomeno si constaterà se la maggior parte del cattolicesimo italiano avrà scelto come punto di riferimento fra Cristoforo oppure don Abbondio.











 www.rossoporpora.org – 24 maggio 2015




sabato 23 maggio 2015

"QUELLA MESSA AVEVA UN RIFLESSO DI CIELO"





La Chiesa cattolica cinese è, nel mondo, una di quelle che da più tempo è sottoposta a ininterrotto martirio. Eppure di questo martirio troppo poco si sa. Sia nelle modalità relativamente più blande degli anni recenti. Sia nei suoi picchi di crudeltà estrema, negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso. Ma da pochi giorni è in libreria in Italia un volume che alza il velo proprio sugli anni più bui della persecuzione:
"In catene per Cristo. Diari di martiri nella Cina di Mao", a cura di Gerolamo Fazzini, prefazione di Bernardo Cervellera, Editrice Missionaria Italiana, Bologna, 2015, pp. 416, euro 20,00.
Il libro raccoglie quattro diari di altrettanti perseguitati nei primi anni della rivoluzione comunista. Diari divenuti quasi introvabili, ma ora ricuperati, editi per la prima volta nel loro testo integrale, e offerti al grande pubblico.


Il brano del libro riprodotto qui di seguito non descrive l'efferatezza dei processi, né l'atrocità delle torture, né la diabolica crudeltà della "rieducazione".
È invece il racconto di come la liturgia eucaristica è stata celebrata e vissuta anche in proibitive condizioni di prigionia, in questo caso da parte di un vescovo e di umili fedeli, tutte giovani donne più una bambina di soli 4 anni, dalla fede così forte nel sacramento culmine e fonte della vita della Chiesa, da "spostare le montagne" e rendere reale l'inimmaginabile.
Una lezione che è oggi di straordinaria attualità, in tempi nei quali la comunione eucaristica decade spesso a banale metafora di solidarietà e condivisione tutte terrene.






di Gaetano Pollio, arcivescovo di Kaifeng


Era il 1951. In quel carcere annesso all’ufficio della polizia, dove i cristiani pregavano, soffrivano e s’immolavano, giorno dopo giorno, per il trionfo della fede, ebbi la consolazione di rivivere scene di catacombe.

Ebbi anzitutto il conforto di poter celebrare clandestinamente la santa messa. In cella mi fu dato uno sgabello, e io pensai: questo sarà il mio altare. Avevo una scodella per bere l’acqua bollente, che in carcere ci veniva passata due volte al giorno, e dissi: questa sarà il mio calice. Essendo io in quei giorni sotto accuse e processi di carattere politico, i dirigenti comunisti, per timore che mi ammalassi o morissi in carcere, e fossero in tal modo privati della gioia di vedermi fucilato, permettevano che mi venisse portato del pane di frumento da un catechista della diocesi, e io lieto: un boccone di questo pane sarà la mia ostia.

Che cosa mancava ancora per la celebrazione della messa? Mancava il vino. Con uno stratagemma riuscii ad avere anche il vino. In Cina non esiste vino o aceto di uva, perché sia l’uno che l’altro sono ricavati da cereali. Chiesi al capo-carceriere una bottiglia di aceto di uva quale medicinale perché – dissi – un po’ di aceto preso a digiuno mi avrebbe dato forza. Il capo fece chiedere l’aceto di uva; i miei missionari capirono e consegnarono una bottiglietta di vino da messa. La bottiglietta fu esaminata dai giudici, che dichiararono essere aceto il contenuto.

E così ben quattro volte riuscii ad avere il vino. Vestito da galeotto, senza paramenti, senza tovaglie e lumi, in piedi, o seduto a terra davanti a quello sgabello, offrivo su di un pezzo di carta o nella palma della mano un boccone di pane, offrivo in quella tazza un po’ di vino e continuavo la messa, dal prefazio fino alla comunione. Ero riuscito ad avere anche la messa della Vergine e il canone stampati su alcuni foglietti, nei quali i missionari avvolgevano il pane, e potei celebrare molte volte il santo sacrificio dall’inizio alla fine. Purtroppo un giorno una sentinella, facendo perquisizione nella cella, scoprì quei foglietti e li stracciò, ignorandone però il contenuto.

Celebrai cinquantanove volte, sempre eludendo l’attenzione delle sentinelle, le quali più volte penetrarono improvvisamente in cella mentre celebravo, ma non si accorsero mai che compivo l’atto più sacro che esista; ero in piena osservanza dei regolamenti polizieschi. La messa celebrata in quelle condizioni, in un carcere dove i persecutori comunisti imperversavano nella loro lotta satanica per piegare i cristiani, quella messa, dico, aveva un riflesso di cielo.


La bambina di nome "Piccola bellezza"



Otto delle ragazze che si erano mostrate eroiche nella difesa della fede furono imprigionate e rinchiuse nella cella accanto alla mia. Tra esse c’era la mamma di una bimba di quattro anni, di nome Siao Mei, "Piccola bellezza". Quelle eroiche donne volevano comunicare con me. Come fare? Pensarono alla bimba. Chiesero al capo-carceriere il permesso, solo per la piccola, di poter lasciare la cella qualche ora al giorno per respirare aria migliore.

Data l’angustia della cella e la gracilità della bimba, il permesso fu concesso. E Siao Mei, nel cortile del carcere, quando le sentinelle erano un po’ lontane dalla mia porta, si avvicinava e attraverso la fessura, scandendo le parole, mi diceva: "Nostro vescovo, come stai? La mamma e le zie mi mandano a salutare. Che cosa devo dire loro?". E io: "Piccola bimba, di’ alla mamma e alle zie di non temere, di essere forti e di recitare tanti rosari".


Eucaristia dietro le sbarre



La cella dove erano detenute le otto ragazze e Siao Mei era divenuta un santuario: in essa la quotidiana sofferenza era santificata e più volte l’ostia consacrata vi poté penetrare furtivamente. Non essendo sotto processo, ma solo sotto interrogatori che avevano lo scopo di estorcere capi di accusa contro di noi, le ragazze potevano ricevere il vitto dai parenti, tramite i carcerieri. I miei missionari pensarono di fare giungere loro l’eucaristia, conforto e forza del nostro pellegrinaggio terreno.

I pani in Cina sono piccoli, fatti a forma di cono, cotti a vapore acqueo, tutta mollica, senza scorza; facendovi un’incisione, facilmente vi si può nascondere qualche cosa piccola e sottile. I missionari in questi pani nascondevano alcune particole consacrate; i pani poi venivano portati al carcere dai parenti delle ragazze e consegnati ai carcerieri, i quali li portavano in cella. Le eroiche detenute spezzavano i pani e vi trovavano le ostie consacrate e poi con le proprie mani si comunicavano.

Erano certo i giorni più lieti quelli in cui Gesù penetrava in quella cella per santificarla e per dare loro nuova forza. In quel tetro carcere passammo parecchie feste: erano giorni di dolci memorie religiose, di speranza nella vittoria della Chiesa, di gioia di offrire a Gesù i propri patimenti. Tali furono i giorni dell’Ascensione, di Pentecoste, del Corpus Domini, dei primi venerdì e sabato del mese e di altre domeniche. Nella mia cella scendeva Gesù e tramutava nel corpo e sangue suoi preziosissimi un pezzetto di pane e poche gocce di vino messe in una scodella, mentre nell’altra cella Gesù penetrava, proprio grazie alle mani di gente che lo odiava, per trovare cuori amici e fedeli.

Ogni volta che quelle testimoni della fede ricevevano l’eucaristia lasciavano una particola in un pane, e lì sedute sulle stuoie facevano adorazione tutto il giorno in silenzio. Era proibito pregare a voce alta in carcere, ma da quei cuori la preghiera si elevava calda e penetrava nei cieli.

Quante volte ho pensato: quella lurida cella che nascondeva il Re dei re era più preziosa delle nostre chiese, troppo spesso disertate. In un’appassionata e totale dedizione quelle donne manifestavano il loro amore a Gesù, la loro fedeltà: morire ma non piegarsi a un governo ateo, morire ma non apostatare.

A sera, quella di loro che non si era comunicata al mattino consumava l’ultima particola. L’adorazione cessava, le tenebre della notte cadevano, nuove lacrime e gemiti si sarebbero ascoltati, ma il fervore dei nostri animi continuava e cresceva il proposito di immolarsi come Gesù.


Il viatico portato dal piccolo angelo



Un giorno le cristiane languenti nella cella vicina alla mia ebbero un gesto degno delle loro sorelle dei primi secoli della Chiesa. Nel terzo cortile del carcere era detenuta una loro amica, Giuseppina Ly, che per la sua fede e il suo coraggio era stata relegata in una cella umida e oscura. Le donne pensarono: bisogna mandarle l’eucaristia.

Come fare? Pensarono ancora alla piccola Siao Mei. Per alcuni giorni la istruirono bene. Quando venne l’ora in cui la sentinella soleva aprire la porta per fare uscire di cella Siao Mei le cristiane presero una particola consacrata, l’avvolsero in un fazzolettino pulito e la posero nel taschino del vestito della bimba, proprio sul suo cuore. La madre della bimba prese tra le braccia la sua creatura, l’alzò al livello del suo viso e le domandò: "Dimmi, Siao Mei, se la sentinella ti trovasse addosso l’ostia, tu cosa farai?" e la bimba calma: "La mangerò e non la darò al carceriere".

Queste parole commossero il cuore paterno del Santo Padre Pio XII, quando gli raccontai la storia di Siao Mei, nell’udienza privata che ebbi al mio ritorno dalla Cina, e gli fecero esclamare: "Risposta dogmatica!".

Cara Siao Mei, avevi compreso che se una mano sacrilega avesse tentato di profanare l’ostia santa, tu, benché immatura, potevi ricevere Gesù, ma non potevi dare la particola a un carceriere comunista, nemico di Dio, pagano.

Il catenaccio cigolò, la porta si aprì. Siao Mei uscì sorridente di cella, si trattenne nel primo cortile giocando da sola; si spostò nel secondo cortile. Nel terzo cortile la guardia voleva mandarla via; era una guardia dal cipiglio sdegnoso, una che aveva dato prova di fedeltà e di capacità nel saper stringere tra le catene non pochi innocenti. "Voglio vedere la mia zia Giuseppina Ly", disse Siao Mei. "Non puoi", rispose duramente la guardia. "Perché non posso? È mia zia". E incominciò a gridare: "Zia Giuseppina, zia Giuseppina!".

La sentinella la sgridò aspramente e voleva cacciare la bimba fuori del cortile, ma Siao Mei volutamente si mise a piangere a dirotto e a singhiozzare. La sentinella, temendo di essere accusata di avere picchiato la bimba, con prontezza aprì la cella di Giuseppina Ly e vi introdusse il piccolo angelo. E l’innocente Siao Mei consegnò a Giuseppina il prezioso fazzolettino... Stette silenziosa raccolta per un po’ di tempo in quella cella, poi altro pianto, e la porta nuovamente si aprì. Così, col pianto e con qualche capriccetto, Siao Mei riuscì ben quattro volte a portare la comunione alla zia fittizia.

Mentre in quel tenebroso carcere venivano emesse criminose sentenze contro gli innocenti o contro i seguaci di Cristo, mentre si rinnovavano scene di terrore e di orrore, noi vivevamo scene di pietà e di amore, scene dei primi secoli della Chiesa.












http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351054




venerdì 22 maggio 2015

CEI: preoccupazioni prive di azioni



di Mario Adinolfi

Le conclusioni dell’Assemblea generale della Conferenza episcopale italiana ricalcano le indicazioni offerte nell’intervento di apertura da Papa Francesco e la precisa diagnosi compiuta nella sua prolusione da Angelo Bagnasco, il cardinale presidente della Cei. La consapevolezza della Chiesa italiana rispetto alla fase di profonda crisi attraversata dal paese è piena, non ci sono sotterfugi, non ci sono non detto: dalla crisi etica complessiva, al dramma della corruzione diffusa, alla difficoltà economica piombata nella stragrande maggioranza delle famiglie italiane sotto forma di assenza di lavoro o di lavoro precario, tutti gli aspetti sono stati affrontati.

Non ci sono state reticenze neanche sui temi che questo giornale indica come “falsi miti di progresso”, contro cui dalla sua fondazione combatte. Bagnasco in particolare ha elencato con puntualità tutti i nodi anche legislativi che si affacciano all’orizzonte dell’attività parlamentare: ha citato il ddl Cirinnà sulle unioni gay (sottolineando anche il pericolo rappresentato dall’articolo 5 del disegno di legge, anche se non comprendendone a pieno le conseguenze sul piano della legittimazione della pratica dell’utero in affitto), ha sottolineato il pericolo dell’avanzare dell’ideologia gender nelle scuole anche attraverso l’emendamento alla riforma appena varata dalla Camera, ha citato il divorzio breve già approvato dal Parlamento in via definitiva e anche i progetti per arrivare ad una legge sull’eutanasia. L’offensiva legislativa è ampia e pericolosissima, i vescovi italiani ne sono consapevoli, il presidente della Cei ha espresso chiaramente tutte le sue preoccupazioni.

Anche nel documento conclusivo, a riprova dell’ampio livello di coscienza e preoccupazioni raggiunto nel corso del dibattito, le tematiche sono ribadite: “Proprio di tale vocazione e responsabilità a vivere con la gente si è fatto interprete il Cardinale Bagnasco nella prolusione, dove ha dato voce innanzitutto ai nodi antichi e nuovi del Paese: la piaga della disoccupazione, la tragedia dei migranti, i tentativi legislativi di equiparare il matrimonio e l’istituto familiare ad altre unioni. Sono stati temi ripresi e approfonditi nel dibattito assembleare, con i Vescovi preoccupati – accanto alle difficoltà materiali sofferte da tanta gente – dello “snaturamento” della cultura popolare, della disgregazione dei rapporti e delle manipolazioni di carattere tecnologico. In particolare, l’Assemblea ha messo in guardia dalla cosiddetta teoria del genere, che si sta diffondendo in modo subdolo soprattutto nelle scuole e che coinvolge l’impostazione generale del senso della vita, della sessualità e dell’amore. Di qui l’appello dei Pastori a genitori e educatori, perché prendano coscienza di ciò che a questo riguardo viene insegnato ai loro figli e trovino le forme per contrastare apertamente una tale deriva antropologica, culturale e sociale”.

Risuonano tutte le preoccupazioni che hanno caratterizzato il nostro “appello ai vescovi italiani” del 18 aprile scorso. Chiaramente i vescovi ne hanno parlato, hanno osservato avanzare delle norme che stravolgeranno il diritto di famiglia italiano e del punto di vista del costume comprendono che codicilli come quello della riforma della scuola sulla propaganda gender sono bombe destinate a esplodere e a fare molti danni: forse, siamo davanti a una ferita mortale per il tessuto sociale italiano fondato fino ad oggi sulla famiglia naturale. La famiglia è la nemica delle teorie gender, che non a caso nei famosi “corsi antidiscriminazione” definiscono la cellula fondata su mamma, papà e figli come “uno stereotipo”, volendo imporre piuttosto una cultura delle “famiglie” al plurale fondate su qualsiasi forma di relazioni affettiva e collegando ad esse anche un incredibile “diritto al figlio” che lede prima di tutto i diritti dei figli, dei bambini. E proprio Bagnasco aveva indicato nei bambini, riecheggiando le parole di Papa Francesco, le vittime di questo colossale abbaglio della ragione umana e dell’azione politico-legislativa di questo Parlamento.

Il combinato disposto dell’approvazione a strettissimo giro di divorzio breve, ideologia gender nelle scuole grazie alla riforma dell’istruzione e legge Cirinnà sulle unioni gay e conseguente diritto alla filazione anche attraverso la legittimazione di pratiche come l’utero in affitto costituisce un’offensiva devastante per la società italiana. I vescovi sono sembrati consapevoli. Hanno espresso chiare le loro preoccupazioni, non hanno indicato azioni da compiere.

Si resta dentro lo schema della “responsabilità dei laici”, che ne carica molta anche sulle nostre spalle. Cercheremo di non sfuggirla, ma certo occorrerà capire se questa assenza di un piano operativo (otto anni fa una piccola legge come i Dico fu battuta in piazza, da una piazza voluta dalla Cei e i Dico rispetto a quello che sta approvando questo Parlamento sono niente, acqua fresca) indica una freddezza rispetto alla volontà di agire dei laici o è in qualche modo un incoraggiamento responsabilizzante. Quel che so è che le leggi potrebbero essere approvate in tempi brevissimi, dunque per la risposta organizzata e visibile di una opinione pubblica contraria occorrono tempi brevissimi. Altrimenti la politica deciderà e deciderà contro la famiglia, avendo avuto la sensazione che l’opposizione a quei progetti è, di fatto, inesistente.











La Croce, 22/05/2015




IL SEME DI RATZINGER: 394 FRA CARDINALI E VESCOVI HANNO CELEBRATO O ASSISTITO A LITURGIE IN RITO ANTICO






Il motu proprio Summorum Pontificum è stato senza dubbio uno degli atti più importanti – e contestati - del pontificato di Benedetto XVI. Non è stato una concessione alla realtà levebvriana in vista di una sua piena regolarizzazione, come spesso è stato detto. Ratzinger ha fatto capire chiaramente, in diverse occasioni, il vero significato della sua decisione: sanare il vulnus che era stato fatto dal modo con cui era stata applicata la riforma liturgica, perché «ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso»; rendere anche liturgicamente evidente come la vera interpretazione del Concilio Vaticano II debba essere quella di una «riforma nella continuità», non di una «rottura» con la Tradizione della Chiesa; infine, far sì che il ripristino dell’antico rito romano, il suo esempio, aiuti il nuovo rito, il novus ordo, a essere pienamente romano e pienamente cattolico di fronte a una situazione che è sotto gli occhi di tutti: una liturgia che si è degradata fino a diventare qualcosa di radicalmente “altro” rispetto a ciò che dovrebbe essere.


Ci vorrà tempo prima che il Summorum Pontificum esplichi tutte le sue potenzialità. I frutti sono però già oggi impressionanti. Senza contare le comunità e le congregazioni che attorno al rito romano antico stanno fiorendo in quanto a vocazioni e apostolati, basti pensare che sono ben 394 i cardinali e vescovi che dal motu proprio di Benedetto XVI a oggi hanno celebrato o assistito a liturgie secondo l’usus antiquior. Questo è il conto aggiornato fornito da uno dei siti che si occupano di monitorare l’impatto del Summorum Pontificum, che fornisce anche un elenco di nomi.



da «Accion liturgica» (in spagnolo)