Nella missione permanente e universale della Chiesa.
Annuncio del Vangelo e dialogo con le religioni
L'Osservatore Romano
di Inos Biffi
Che la Chiesa non solo preghi, ma dedichi ogni suo impegno perché tutti gli uomini si convertano a Cristo, fa parte della sua essenziale missione. Gesù risorto ha affidato a essa il preciso mandato: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato». Un discepolato cristiano, o una evangelizzazione in ogni luogo, di «tutti i popoli» e di tutte le creature fa quindi parte dell’intenzione di Cristo, e infatti da subito la Chiesa si è sentita radicalmente missionaria.
Essere in missione permanente e universale è proprio della sua natura: se questo venisse meno, non sarebbe più la Chiesa di Gesù Cristo.
Annunziare il Vangelo significa proclamare che soltanto in esso, e nella sua accoglienza, è possibile la salvezza. Le parole di Gesù sono perentorie: «Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo; ma chi non crederà sarà condannato» (Marco, 16, 16). Affermare che chi in buona fede aderisce a una religione si può salvare significa invece riconoscere che la volontà di salvezza universale opera nell’esistenza di quanti compiono il bene proposto da tale retta e trasparente coscienza.
Quanto di vero, di santo, ci sia in ogni religione è oggettivamente un’impronta o un desiderio di Cristo. Ne consegue quanto sia fuorviante ritenere che, per il rispetto a tutte le religioni, si debba evitare di annunziare il Vangelo come la sola via di salvezza, ed eludere la predicazione di Gesù Cristo come l’unico Salvatore, e semmai solo contribuire a che ciascuno rimanga nella piena e coerente fedeltà al suo “credo”.
Certo le religioni vanno rispettate: nessuno può essere costretto a credere al Vangelo; Dio stesso è custode dell’interiore libertà religiosa. Ma questo non comporta l’equiparazione delle religioni al Vangelo, o l’annebbiarsi di Gesù come l’unico Salvatore per sempre e per tutti.
La passione del cuore di Cristo era che i figli di Abramo accogliessero lui come Messia. Di fatto il cristianesimo si istituisce proprio per la fede degli ebrei credenti in Cristo, come lo furono sua madre, Maria, Giuseppe, Zaccaria, Elisabetta, Giovanni il Battezzatore, Simeone e Anna, gli Apostoli e tutta la Chiesa di Dio, (Galati, 1, 13) degli inizi, che vide in Gesù il compimento o il fine della Legge (Romani, 10, 4).
Troppo facilmente si dimentica che questa «Chiesa di Dio» nasce dalla fede degli ebrei credenti in Cristo, e che non si limitano solo a Paolo: se essi non avessero accolto Gesù come il Messia, il cristianesimo si sarebbe spento fin dal principio.
Ed è la ragione per la quale il rapporto tra il cristianesimo e l’ebraismo è incomparabile rispetto al rapporto con le altre religioni. Il Dio dei cristiani è esattamente il Dio della Genesi, che «in principio creò il cielo e la terra» (Genesi, 1, 1) e che in Gesù è stato rivelato come Padre, Figlio e Spirito Santo. Ed è il Dio che la Chiesa annunzia a tutti gli uomini, dichiarando Gesù, il Figlio suo Unigenito, unico Salvatore di tutti. In questa proclamazione la Chiesa prosegue la stessa missione di Gesù e quindi l’intenzione profonda della Rivelazione iniziata con la Genesi. Essa ha la viva consapevolezza che, se ammettesse altri salvatori accanto a Gesù, porrebbe la propria confidenza negli idoli; e che, se rifiutasse la piena rivelazione del Dio che ha creato cielo e terra nella Trinità manifestatasi in Gesù di Nazaret, rigetterebbe lo stesso Dio creatore. Risaltano così l’origine, la causa e il contenuto della missionarietà della Chiesa, la quale è chiamata a rispondere solo a Gesù Cristo, e a condividere con lui l’opera dell’evangelizzazione.
Con questo non si rigetta il “dialogo” con le religioni. Comunque si intenda il “dialogo” questo non potrà mai incrinare la persuasione della Chiesa che solo nel Vangelo c’è, identicamente per tutti, la salvezza; che il mandato ricevuto da Cristo è quello di proclamarlo come necessario e imprescindibile per ogni uomo; né potrà mai mettere in dubbio che la stessa Chiesa dovrà porre in ogni tempo il proprio totale impegno per rendere tutti gli uomini discepoli del Signore. Del resto, fu così dal principio della vita della Chiesa.
Fossero allora prevalsi un dialogico Vangelo “debole”; o la preoccupazione dei cristiani per l’edificazione dei templi pagani con le sue divinità; o la ricerca del minimo che unisce, senza il chiaro risalto della “differenza” cristiana, non avremmo avuto la testimonianza dei martiri: il dialogo non comporta il rischio del martirio, che, pure, è sempre un dramma. Insieme, però, non avremmo più né la fede cristiana né la Chiesa, che fatalmente si stempera e scompare quando in essa si estenuino il vigore missionario, l’ansia dell’evangelizzazione, la sicurezza che c’è «un solo Dio» di fronte al quale c’è spazio unicamente per gli idoli, e «un solo Signore» Figlio di Dio, che la stessa Chiesa è chiamata a predicare in tutto il mondo.
L'Osservatore Romano, 8 agosto 2014
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