In questi giorni gli scontri inter-religiosi riempiono le cronache con nuovi quotidiani massacri, provocando reazioni di sdegno da parte dei cittadini e dei politici, così come manifestazioni di solidarietà verso gli oppressi. Manifestazioni come quella, l’ultima in ordine di tempo, di esporre la “N” di Nassarah, ossia di nazareno nella sede dell’Arcivescovado e nelle case dei fedeli cattolici, per sensibilizzare sulle atrocità commesse in Iraq e in Siria ai danni dei cristiani voluta dall’arcivescovo Luigi Negri.
In un clima del genere non possono non tornare a galla parole scritte solo pochi mesi fa proprio dall’arcivescovo di Ferrara-Comacchio – pubblicate sul sito missagregoriana.it – in risposta a un articolo di don Federico Pichetto apparso su Il Sussidiario, nel quale il parroco criticava le Crociate e le indicava come un “travisamento dell’ideale evangelico di Cristo”.
Parole, quelle di Negri, che non mancheranno di far discutere: “Le Crociate – scrive l’arcivescovo riprendendo un pensiero dello storico Franco Cardini – sono state un grande «pellegrinaggio armato», protagonista del quale fu, nei secoli, il popolo cristiano nel suo complesso. Una avanguardia di santi, una massa di cristiani comuni e, nella retroguardia, qualche delinquente. Non so quale avvenimento della Chiesa possa sfuggire a una lettura come questa. Sta di fatto che noi, cristiani del Terzo millennio, – sottolinea Negri – alle Crociate dobbiamo molto”.
Fra i ‘vantaggi’ portati dalle Crociate, il monsignore indica, in primis, il fatto che “non si sia perduta la possibilità dei grandi pellegrinaggi in Terrasanta: nei luoghi della vita storica di Gesù Cristo e della nascita della Chiesa. Alle Crociate – continua l’arcivescovo – dobbiamo che si sia ritardata la fine della grande epopea della civiltà bizantina di almeno due secoli, e si sono soprattutto salvate dalla dominazione turca le regioni della nostra bella Italia, che si affacciano sul mare Adriatico, Tirreno e Ionio, falcidiate da quelle sistematiche incursioni di corsari e di turchi che hanno depauperato nei secoli le nostre popolazioni. Anche la tua bella Liguria – prosegue Negri riferendosi alla regione di provenienza del parroco ‘anti-crociate’ – ha dovuto costruire parte dei suoi paesi e delle sue piccole città a due livelli – il livello del mare e il livello della montagna – per poter sfuggire a queste invasioni che hanno fatto morire nel buio della cosiddetta civiltà araba e islamica centinaia e migliaia di nostri fratelli cristiani, a cui era stata tolta anche la dignità umana e di cui noi facciamo così fatica a fare memoria. Nessuna realtà cristiana – sottolinea Negri – esprime la perfezione della fede che è solo in Gesù Cristo, ma nessuna esperienza cristiana è invincibilmente diabolica. Passare dalla fede alle opere è compito fondamentale del cristiano di ogni tempo”.
Nessuna condanna ma, anzi, sforzo “per recuperare questa bellezza della storia cristiana” per la quale “bisogna guardare la realtà secondo tutta l’ampiezza cattolica. La mia generazione e quella di molti amici dopo di me – afferma Negri – hanno un sano orgoglio della nostra tradizione cattolica. Per questo sentono in modo assolutamente negativo desumere acriticamente l’immagine della Chiesa dalla mentalità laicista che cerca di dominare la nostra coscienza e il nostro cuore.
“Certo, l’essenza di questa tradizione cattolica e che, quindi, comprende anche le Crociate, è il desiderio di vivere il rapporto con Cristo e di annunziarlo nella concretezza del suo popolo che è la Chiesa, nelle grandi dimensioni che rendono il cristiano autenticamente uomo: la dimensione della cultura, della carità e della missione. È questo – spiega Negri – il Cristo che sta all’origine di tante iniziative del passato e del presente. Nessuna iniziativa lo esprime adeguatamente, ma l’assenza di qualsiasi capacità di presenza nel mondo e di giudizio sulla vita degli uomini e sui problemi degli uomini fa dubitare che esista una fede autenticamente cattolica. La fede in Cristo può rischiare di ridursi a essere spunto per mozioni soggettive e spiritualistiche da cui metteva in guardia il santo padre Benedetto XVI all’inizio della sua splendida enciclica Deus Caritas Est: un Cristo che rischia di stare acquattato nel silenzio della coscienza personale, che non diventa fattore di vita e di cultura, che non tende a creare una civiltà della verità e dell’amore. Ricordo ancora con commozione quando facevo la terza liceo una lezione di Giussani in cui disse letteralmente: «La comunità cristiana tende a generare inesorabilmente una civiltà».
“Nella mia esperienza pastorale e culturale – afferma ancora l’arcivescovo – ho sempre sentito come punto di riferimento sostanziale la grande certezza di Giovanni di Salisbury che diceva: «Noi siamo come nani sulle spalle di giganti». È perché siamo sulle spalle di giganti che vediamo bene il presente e intuiamo le linee del futuro. È questo – conclude Negri – che rende così appassionata la nostra responsabilità, senza nessuna dipendenza dagli esiti, con la certezza di portare il nostro contributo, piccolo o grande che sia, alla grande impresa del farsi del Regno di Dio nel mondo, che coincide con la Chiesa e la sua missione.
Chiesa e postconcilio
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