domenica 16 settembre 2012

In Libano ritorna in auge l’imperatore Costantino




costantino


di Sandro Magister

Nel discorso col quale ha accompagnato la firma dell’esortazione apostolica a coronamento del sinodo per il Medio Oriente, nella basilica di San Paolo a Harissa, Benedetto XVI non ha temuto di richiamare in chiave positiva la memoria di un imperatore molto controverso, Costantino, autore nel 313 dopo Cristo di quell’editto che diede la libertà ai cristiani ma insieme inaugurò un “regime di cristianità” contro cui si sono scagliati molti tra gli stessi cattolici, specie durante e dopo il Concilio Vaticano II.
Un libro recentissimo fa il punto sulla controversia, dal punto di vista dei contestatori:

Gianmaria Zamagni, “Fine dell’era costantiniana. Retrospettiva genealogica di un concetto critico”, il Mulino, Bologna, 2012.

Ma anche i difensori di Costantino hanno le loro buone ragioni, ad esempio quelle che un grande teologo come Jean Daniélou mise in luce in un suo libro del 1965 dal titolo: “La preghiera problema politico”.
Daniélou rimproverava agli anticostantiniani di volere una Chiesa “pura”, simile a “una confraternita degli iniziati”, e con ciò di perdere proprio quei “poveri” che a loro starebbero tanto a cuore: i poveri “nel senso dell’immensa marea umana”, fatta anche di “quei numerosi battezzati per i quali il cristianesimo è più che altro una pratica esteriore”.

Per Daniélou la Chiesa non dev’essere “svincolata dalla civiltà in cui si teme possa compromettersi”. Al contrario, è essenziale che “si impegni nella civiltà, perché un popolo cristiano è impossibile in una civiltà che gli sia contraria”. Di qui la difesa che egli fece di Costantino, l’imperatore romano che per primo consentì al cristianesimo di diventare una religione di massa:

“Questa estensione del cristianesimo a un immenso popolo, che rientra nella sua essenza, era stata ostacolata durante i primi secoli dal fatto che andava sviluppandosi all’interno di una società [...] ostile. L’appartenenza al cristianesimo richiedeva quindi una forza di carattere di cui la maggior parte degli uomini è incapace. La conversione di Costantino, eliminando questi ostacoli, ha reso il Vangelo accessibile ai poveri, cioè proprio a quelli che non fanno parte delle élite, all’uomo della strada. Lungi dal falsare il cristianesimo, gli ha permesso di perfezionarsi nella sua natura di popolo”.

Non è un mistero che Joseph Ratzinger, come teologo e come papa, abbia sempre condiviso tali posizioni.
Ecco infatti come si è riferito a Costantino nel primo discorso importante del suo viaggio in Libano, nel pomeriggio di venerdì 14 settembre:
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“NON TEMERE, PICCOLO GREGGE, E RICORDATI DELLA PROMESSA FATTA A COSTANTINO…”

È provvidenziale che questo atto [la firma dell'esortazione apostolica postsinodale "Ecclesia in Medio Oriente"] abbia luogo proprio nel giorno della festa dell’Esaltazione della Santa Croce, la cui celebrazione è nata in Oriente nel 335, all’indomani della dedicazione della Basilica della Resurrezione costruita sul Golgota e sul sepolcro di Nostro Signore dall’imperatore Costantino il Grande, che voi venerate come santo. Fra un mese si celebrerà il 1700.mo anniversario dell’apparizione che gli fece vedere, nella notte simbolica della sua incredulità, il monogramma di Cristo sfavillante, mentre una voce gli diceva: “In questo segno, vincerai!”. Più tardi, Costantino firmò l’editto di Milano [che diede la libertà ai cristiani].

“Ecclesia in Medio Oriente” [...] vuole tracciare una via per ritrovare l’essenziale: la “sequela Christi”, in un contesto difficile e talvolta doloroso, un contesto che potrebbe far nascere la tentazione di ignorare o dimenticare la Croce gloriosa. È proprio adesso che bisogna celebrare la vittoria dell’amore sull’odio, del perdono sulla vendetta, del servizio sul dominio, dell’umiltà sull’orgoglio, dell’unità sulla divisione. [...] Questo è il linguaggio della croce gloriosa! Questa è la follia della croce: quella di saper convertire le nostre sofferenze in grido d’amore verso Dio e di misericordia verso il prossimo; quella di saper anche trasformare degli esseri attaccati e feriti nella loro fede e nella loro identità, in vasi d’argilla pronti ad essere colmati dall’abbondanza dei doni divini più preziosi dell’oro (2 Cor 4, 7-18). Non si tratta di un linguaggio puramente allegorico, ma di un appello pressante a porre degli atti concreti che configurano sempre più a Cristo, atti che aiutano le diverse Chiese a riflettere la bellezza della prima comunità dei credenti (At 2, 41-47); atti simili a quelli dell’imperatore Costantino che ha saputo testimoniare e far uscire i cristiani dalla discriminazione per permettere loro di vivere apertamente e liberamente la loro fede nel Cristo crocifisso, morto e risorto per la salvezza di tutti. [...]
“Non temere, piccolo gregge” (Lc 12,32) e ricordati della promessa fatta a Costantino: ”In questo segno, tu vincerai!”.
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L’indomani, sabato 15 settembre, Benedetto XVi è tornato a insistere sull’esigenza della piena libertà religiosa – assicurata da Costantino all’impero del suo tempo ma tuttora assente nel Medio Oriente musulmano, con la sola eccezione del Libano – nel discorso che ha tenuto nel palazzo presidenziale di Baadba ai rappresentanti della repubblica libanese, ai membri del governo, ai capi religiosi e agli uomini della cultura:

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“VIVERE LIBERAMENTE LA PROPRIA RELIGIONE…”

La specificità del Medio Oriente consiste nella mescolanza secolare di componenti diverse. Certo, ahimè, esse si sono anche combattute! Una società plurale esiste soltanto per effetto del rispetto reciproco, del desiderio di conoscere l’altro e del dialogo continuo. Questo dialogo tra gli uomini è possibile solamente nella consapevolezza che esistono valori comuni a tutte le grandi culture, perché sono radicate nella natura della persona umana. Questi valori, che sono come un substrato, esprimono i tratti autentici e caratteristici dell’umanità. Essi appartengono ai diritti di ogni essere umano. Nell’affermazione della loro esistenza, le diverse religioni recano un contributo decisivo. Non dimentichiamo che la libertà religiosa è il diritto fondamentale da cui molti altri dipendono. Professare e vivere liberamente la propria religione senza mettere in pericolo la propria vita e la propria libertà deve essere possibile a chiunque. La perdita o l’indebolimento di questa libertà priva la persona del sacro diritto ad una vita integra sul piano spirituale. La sedicente tolleranza non elimina le discriminazioni, talvolta invece le rinforza. E senza l’apertura al trascendente, che permette di trovare risposte agli interrogativi del cuore sul senso della vita e sulla maniera di vivere in modo morale, l’uomo diventa incapace di agire secondo giustizia e di impegnarsi per la pace. La libertà religiosa ha una dimensione sociale e politica indispensabile alla pace! Essa promuove una coesistenza ed una vita armoniose attraverso l’impegno comune al servizio di nobili cause e la ricerca della verità, che non si impone con la violenza ma con “la forza stessa della verità” (Dignitatis humanae, 1), quella verità che è in Dio. Perché la fede vissuta conduce inevitabilmente all’amore”. [...]

Il Libano è chiamato, ora più che mai, ad essere un esempio. Politici, diplomatici, religiosi, uomini e donne del mondo della cultura, vi invito dunque a testimoniare con coraggio intorno a voi, a tempo opportuno e inopportuno, che Dio vuole la pace, che Dio ci affida la pace.


Settimo Cielo   15 settembre 2012

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