venerdì 5 agosto 2011

L’unità della Chiesa di Benedetto XVI è minata al suo interno





di Alberto Giannino (*)

LA VOCE DEI LETTORI


Benedetto XVI, da quasi sette anni, guida la Chiesa Cattolica con “mitezza e fermezza”. Così, infatti, egli si era espresso parlando di se stesso. In questi anni di pontificato, abbiamo assistito all’aumento consistente e rilevante dei partecipanti alle sue Udienze generali del mercoledì, abbiamo visto le folle nei suoi viaggi apostolici in Italia e all’estero, e anche il rapporto con i giovani è ottimo come quello del suo predecessore.

Benedetto XVI piace, è popolare, ed è stimato non solo perché è un grande teologo, ma anche perché è un puro e un semplice. Prima di diventare pontefice, alla sera, scendeva dal suo appartamento per dare mangiare ai gatti del quartiere, poi adottò una gattina di nome Milly, nera, affettuosa, e che ora abita con lui nei Sacri Palazzi e si siede sopra il pianoforte a coda quando Benedetto XVI suona le opere del compositore austriaco Franz Schubert. E questo fatto ci rende il Pontefice ancora più umano e vicino di quanto non lo sia già.

Il Papa, in questi anni, ha contrastato una Chiesa trionfalista, oscurantista, fideista, egoista, divisa in fazioni e frazioni, conformista, attenta al potere e al denaro, con al suo interno la zizzania e la sporcizia, e si è battuto, viceversa, per una Chiesa missionaria, spirituale, gerarchica, in cui prevalesse soprattutto la carità fra i suoi membri.
In questi anni ha rinnovato i vertici della Chiesa per guidare e coordinare i 5.000 Vescovi e gli oltre 400 mila preti sparsi in tutto il mondo. Ha emanato direttive durissime contro il reato della pedofilia escludendo dai seminari persone non adatte al Sacerdozio.

La Chiesa, per Benedetto XVI, è quella di San Paolo: “santa e immacolata, senza macchia né ruga”. Il suo cristianesimo non è comodo, non è facile, non è senza sacrifici, non è mediocre, vile, molle, tiepido, ma al contrario “forte” come proponeva san Pietro: “Siate forti nella fede”.
Per la verità papa Benedetto XVI ha precisato qualche giorno fa cosa significhi essere cattolici: "Essere cattolici significa - afferma il Papa - anche essere sempre 'aperti al mondo', amare il mondo e credere insieme; significa essere tolleranti e aperti gli uni agli altri, alla cordiale fraternità nei riguardi di coloro che sanno di appartenere all'unico Padre e che sanno di essere amati dall'unico Signore".

Infine c'è la sua battaglia sui valori non negoziabili (vita, famiglia, libertà d’educazione e promozione del bene comune) è lì a dimostrarlo. Su questi valori Benedetto XVI non transige, non negozia, e non cede, a costo di essere impopolare fra anticlericali e laicisti. Il contesto culturale nel quale opera Benedetto XVI non è certamente facile: agnosticismo, ateismo, relativismo etico e religioso, neopaganesimo, secolarizzazione, nichilismo, neopositivismo logico (secondo cui concetti come Dio, anima, e aldilà sono privi di senso), scientismo, soggettivismo, ecc.

Queste correnti culturali e filosofiche che dominano nella nostra società postmoderna si riflettono nella Chiesa con eresie e deviazioni. Pensiamo al libero esame della “sola Scriptura” di derivazione protestante che depura sia il Magistero della Chiesa sia la Tradizione apostolica, pensiamo alla negazione della divinità di Cristo: egli per alcuni teologi cosiddetti à la page non è Dio, ma solo un Uomo, un Profeta, un Maestro, un Rivoluzionario, un Salvatore. Uno “per gli altri” come direbbe Bonhoeffer.

Oppure per citare Hamilton: siamo arrivati alla “morte di Dio”. Pensiamo ai Sacramenti: l’Eucarestia non è la Presenza reale del Corpo e del Sangue di Cristo, ma sarebbe solo Memoria. E il peccato, la coscienza morale? Ma non esistono. In questo modo, la legge morale, che discende dal Decalogo e dal Discorso della Montagna, che sarebbe piena di divieti, limiti e tabù, non è vincolante. Tutto diventerebbe lecito, direbbe il grande scrittore russo Dostoevskji, con conseguenze deleterie per il Popolo di Dio.
E la Chiesa solo se è separata da Cristo avrebbe un senso, se no è bene non credere in essa. E di Dio e della religione che bisogno c’è. Tanto c’è la scienza che basta a tutto, risponde a tutto, e provvede a tutto come nel caso della medicina.
Il Dio di Gesù Cristo, di Abramo, Isacco, e Giacobbe ((JHWH) è inaccessibile, è ignoto, è nascosto. Perché dovremmo credergli? Ecco allora che alcuni teologi insegnano a negare i dogmi, l’ immortalità dell’anima, l’inferno, il diavolo, attraverso il dubbio corrosivo, la critica sistematica, e la contestazione abituale. Si crea di fatto un magistero parallelo e una chiesa dentro la chiesa con il pretesto del pluralismo religioso, la disobbedienza, l’autocoscienza, e il dissenso organizzato.

L’unità della Chiesa di Benedetto XVI è minata al suo interno e, a lungo andare, se non corriamo ai ripari, potremmo arrivare alla decomposizione del cristianesimo attraverso i germi della disgregazione. La crisi delle vocazioni, i seminari semi vuoti, la non frequentazione ai sacramenti e alla Messa domenicale, agli Oratori, (100 mila studenti che non fanno religione a scuola solo nella Diocesi di Milano e il sacerdote responsabile non fornisce i dati alla stampa da tre anni evitando di fare uno studio accurato su questo grave disagio!) sono segnali preoccupanti.

Benedetto XVI, che è teologo colto e raffinato, sa molto bene che la partita si gioca tutta dentro la Chiesa Cattolica. Sa che occorre un forte rinnovamento nel clero e nei Vescovi per cambiare pagina nella Chiesa Corpo Mistico di Cristo. E la nomina del cardinale Angelo Scola ad Arcivescovo di Milano è il primo segnale forte del suo pontificato per “normalizzare” la Diocesi più grande d'Europa. Una Diocesi considerata troppo progressista e che guarda alla teologia protestante creando sovente sconcerto e disorientamento fra il Popolo di Dio, i puri e i semplici, i religiosi, e i preti.


[* Presidente Ass. culturale docenti cattolici (Adc)]

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