di Massimo Introvigne
Il libro di Massimo Borghesi Augusto Del Noce, La legittimazione critica del moderno (Marietti, Genova 2011), presentato al Meeting di Rimini, ha rilanciato su diversi quotidiani italiani il dibattito sulla figura del filosofo cattolico Augusto Del Noce (1910-1989). Si deve essere grati a Borghesi perché, dopo le iniziative per il ventennale della morte nel 2009 e quelle per il centenario della nascita nel 2010, tiene vivo l’interesse per un punto di riferimento fondamentale della cultura cattolica italiana del secolo XX. La tesi di fondo di Borghesi può sembrare provocatoria. Del Noce, a torto considerato un pensatore antimoderno o reazionario, avrebbe invece "sdoganato" la modernità, prendendo certo le distanze dall’entusiasmo acritico dei cattolici modernisti e neomodernisti, ma criticando a fondo anche l’antimodernità della scuola contro-rivoluzionaria.
Giustamente Borghesi mette in luce l’importanza del rapporto, insieme di ammirazione e critico, che lega Del Noce al filosofo cattolico francese Jacques Maritain (1882-1973). Del Noce mette in luce come nel corso della vita di Maritain più volte è cambiato il giudizio sul processo storico del pensiero moderno, ma non è mai cambiata la descrizione di questo processo, che rimane fondamentalmente quella contro-rivoluzionaria. Secondo questa descrizione la modernità è un processo di progressiva scristianizzazione che va in modo lineare dal Rinascimento e da Martin Lutero (1483-1546) fino all’illuminismo, alla Rivoluzione francese e al marxismo. Se questo processo sia da combattere - secondo la posizione contro-rivoluzionaria - o se invece occorra cercare qualche forma di composizione e di dialogo è questione su cui Maritain ha cambiato idea più volte.
Resta, tuttavia, una visione della storia che secondo Del Noce sarebbe comune alla scuola contro-rivoluzionaria e a Maritain, ma anche - cambiata di segno quanto al giudizio di valore, cioè intesa come "processo verso la pienezza" anziché "verso la catastrofe" - alle prospettive laiciste dominanti. Per Del Noce la visione contro-rivoluzionaria della modernità come processo rivoluzionario lineare che avanza in direzione della scristianizzazione, e dunque «di un processo unitario della filosofia moderna» non solo è in «simmetria» con una lettura laicista uguale e contraria, ma in un certo senso ne dipende in posizione di «subalternità». Per usare un’espressione che non è di Del Noce, si potrebbe dire che il filosofo italiano accusa la lettura contro-rivoluzionaria della storia europea - che coinvolge anche Maritain, non solo nella sua fase giovanile - di regalare la modernità ai laicisti. Dal momento che la modernità appare inevitabilmente vittoriosa, questa lettura preparerebbe dunque la sconfitta dei cattolici.
Intendiamoci: Del Noce riconosce alla scuola contro-rivoluzionaria il merito di avere colto il carattere profondo di un pensiero ideologico che va da Jean-Jacques Rousseau (1712-1778) a Karl Marx (1818-1883) e oltre. Qui la negazione del peccato originale porta a sostituire la politica alla religione come strumento di salvezza. In questa prospettiva anche Del Noce parla di Rivoluzione con la R maiuscola come processo unitario. Rileggiamo un suo brano: «La Rivoluzione, con la maiuscola e senza plurale, è quell’evento unico, doloroso come i travagli del parto (la metafora che torna continuamente nei suoi teorici) che media il passaggio dal regno della necessità a quello della libertà, raffigurato questo, né può essere altrimenti, attraverso la semplice generica negazione delle istituzioni del passato (società senza stato, senza chiese, senza eserciti, senza delitti, senza magistratura, senza polizia…); che genera un avvenire in cui non ci sarà più nulla di simile alla vecchia storia; che, in ciò, è la risoluzione del mistero della storia».
È una pagina molto bella, anche dal punto di vista letterario, che conferma la frequentazione dei classici della Contro-Rivoluzione da parte di Del Noce. Dov’è, allora, il dissenso sottolineato ora da Borghesi? Il filosofo italiano pensa che le origini della Rivoluzione «con la maiuscola» «siano abbastanza recenti, non antecedenti a Rousseau»: quello che, nel pensiero della modernità, viene prima non è tanto rivoluzionario quanto ambiguo. Sullo sfondo c’è qui la polemica con l’opera di Maritain più apprezzata dagli ambienti contro-rivoluzionari, Tre riformatori, il cui sottotitolo - Lutero - Cartesio - Rousseau - indica già l’elemento da cui dissente Del Noce. In verità, il dissenso non riguarda tanto Lutero quanto Cartesio (René Descartes, 1596-1650). Principalmente nel suo libro Il problema dell’ateismo, ma anche altrove, Del Noce ha avvertito come suo compito quello di smontare pezzo per pezzo la rappresentazione comune di Cartesio, da manuale scolastico ma anche da Tre riformatori di Maritain. In verità nel pensiero del filosofo francese coesistono secondo Del Noce spunti molto diversi: alcuni, certo, suscettibili di essere continuati in senso anticristiano, altri invece profondamente e sinceramente cristiani. Da questi ultimi partirebbe una versione cristiana della modernità che passa per alcuni aspetti del pensiero di Blaise Pascal (1623-1662), la cui contrapposizione a Cartesio sarebbe dunque esagerata (e lo sarebbe, talora, da Pascal stesso), e per il filosofo napoletano Giambattista Vico (1668-1744) per arrivare fino al beato Antonio Rosmini-Serbati (1797-1855).
Del Noce si rende conto che questa catena storica è problematica, anzi non è condivida dalla storia della filosofia maggioritaria. Ma il filosofo italiano pensa che la storia della filosofia sia una vera scienza nel senso moderno del termine, le cui acquisizioni possono sempre essere rimesse in discussione da nuovi studi e documenti. E, per Borghesi, mentre i cattolici progressisti che hanno cercato di riabilitare la modernità si sono di solito avventurati sul terreno scivoloso della politica, Del Noce è invece l’unico pensatore che abbia indicato un aspetto positivo della modernità nella sua stessa essenza filosofica, a partire dalle sue radici in Cartesio. Del Noce sarebbe dunque all’interno della filosofica cattolica il pensatore per eccellenza della modernità.
Ma anche no, si potrebbe rispondere con un’espressione in voga. Per Del Noce, in effetti, ci sono due modernità: quella rivoluzionaria e quella cristiana. La visione contro-rivoluzionaria della storia, secondo il filosofo, giustamente critica la prima modernità ma secondo lui dimentica o sottovaluta la seconda, la linea che va da Cartesio a Vico e a Rosmini. Così facendo, si espone al rischio di adottare lo schema storico-filosofico dell’avversario laicista e di favorirne la vittoria.
La ricostruzione del pensiero di Del Noce da parte di Borghesi è sostanzialmente corretta, anche se si tratta di un pensiero con molteplici sfaccettature, e la rivalutazione di una modernità "buona" coesiste con la ferma denuncia della modernità "cattiva" di matrice illuminista e laicista. In tema di modernità le provocazioni di Del Noce sono certo importanti e precorrono quelle di autori contemporanei come la storica statunitense di origine tedesca Gertrude Himmelfarb, che in un certo senso va oltre Del Noce distinguendo una linea anticristiana e una compatibile con il cristianesimo anche nello stesso illuminismo. Il 12 maggio 2010 a Lisbona Benedetto XVI ha messo in luce il corretto atteggiamento nei confronti di queste provocazioni: «la Chiesa, partendo da una rinnovata consapevolezza della tradizione cattolica, prende sul serio e discerne, trasfigura e supera le critiche che sono alla base delle forze che hanno caratterizzato la modernità, ossia la Riforma e l’Illuminismo. Così da sé stessa [con il Concilio Vaticano II] la Chiesa accoglieva e ricreava il meglio delle istanze della modernità, da un lato superandole e, dall’altro evitando i suoi errori e vicoli senza uscita».
Personalmente ricordo, da studente universitario che frequentava Del Noce nelle sue case di Savigliano (Cuneo) e di Roma, di avere discusso molte volte con lui di questa problematica: ho imparato molte cose, ma sono anche rimasto fermo nella mia convinzione della verità di fondo della tesi contro-rivoluzionaria sulla storia moderna. Certo, Del Noce con le sue critiche ci ha obbligati a riflettere sulla distinzione fra una nozione cronologica e una ideologica di modernità. Non tutti coloro che sono vissuti e vivono nell’epoca moderna appartengono alla "modernità" come categoria ideologica. Occorre distinguere fra moderno e contemporaneo, e il fatto che Vico termini la sua vita in piena epoca dell’illuminismo non ne fa - benché si vada oggi sostenendo, ma infondatamente, anche il contrario - un illuminista. Ancora, Benedetto XVI invita come si è visto a distinguere nella modernità le domande in parte giuste e le risposte sbagliate, i veri problemi e le false soluzioni, le «istanze», di cui la Chiesa si è fatta carico nella loro parte migliore - ma «superandole» -, e gli «errori e vicoli senza uscita» in cui la linea prevalente della modernità ha fatto precipitare queste istanze, ultimamente travolgendo e negando quanto nel loro originario momento esigenziale potevano avere di ragionevole e di condivisibile.
Tuttavia, per quanto autori di scuola contro-rivoluzionaria abbiano parlato abbastanza male di Cartesio, e talora anche di Pascal e del beato Rosmini, non mi sembra che stia nella critica di questi autori l’essenziale dello schema contro-rivoluzionario. Il pensiero contro-rivoluzionario postula essenzialmente che la modernità come ideologia - che è cosa diversa dall’epoca moderna come semplice dato cronologico - abbia un orientamento nettamente prevalente di tipo laicista e anticristiano. Lo stesso Del Noce nelle sue analisi dell’ateismo moderno, del marxismo, del progressismo cattolico e del 1968 ha confermato questo postulato. Il fatto che nello scorrere della storia moderna si siano manifestati anche pensatori cristiani - così come sono apparsi, grazie a Dio, tanti santi - non modifica la conclusione secondo cui il carattere dominante - anche se non unico - della modernità è la deriva anticristiana e laicista.
La deriva non è "necessaria" di diritto, come pensa un certo tradizionalismo sedotto da visioni pagane oD orientali della storia come decadenza obbligatoria da un’età dell’oro originaria verso l’età oscura chiamata dai libri sacri induisti Kali Yuga, in cui tutti coloro che hanno la sventura di vivere in una determinata epoca sarebbero volenti o nolenti coinvolti. Questa prospettiva non solo non resiste alla critica dell'"antimoderno" proposta da Del Noce, ma nel suo nucleo profondo nega la libertà umana sottomettendola deterministicamente alla storia e ai suoi "cicli", così da rivelarsi incompatibile con il cristianesimo. Ma la scuola contro-rivoluzionaria non sostiene - certamente nelle sue articolazioni più mature, ma in realtà già nelle sue origini - la necessità di diritto di una deriva anticristiana della modernità. La constata di fatto leggendo la storia, dove la nobilissima resistenza di stili di pensiero alternativi non inficia la conclusione secondo cui la linea della modernità come ideologia si afferma come culturalmente, sociologicamente e politicamente dominante.
Alla scuola di Benedetto XVI penso che si debbano accogliere le domande della modernità, ma non accettare le risposte di un’ideologia che comporta il rifiuto della tradizione e l’idolatria del presente. In Portogallo nel 2010 il Papa ha appunto denunciato l’ideologia che «assolutizza il presente, staccandolo dal patrimonio culturale del passato» e quindi fatalmente finisce per presentarsi «senza l’intenzione di delineare un futuro». Considerare il presente la sola «fonte ispiratrice del senso della vita», il che è l’essenza della modernità come ideologia, porta a svalutare e attaccare la tradizione, che in Portogallo – e non solo – «ha dato origine a ciò che possiamo chiamare una "sapienza", cioè, un senso della vita e della storia di cui facevano parte un universo etico e un "ideale" da adempiere», strettamente legati all’idea di verità e all’identificazione di questa verità con Gesù Cristo. Dunque «si rivela drammatico il tentativo di trovare la verità al di fuori di Gesù Cristo»: un altro elemento costitutivo del dramma della modernità.
La critica di Del Noce - come mostra Borghesi - ha messo in crisi un "antimoderno" così fissato nella sua rigidità da diventare caricaturale. Ma il nucleo profondo del pensiero contro-rivoluzionario - cioè la denuncia della linea di fatto dominante nella modernità come ideologia del progresso e assolutizzazione del presente - a mio avviso resiste a tale critica, anzi ne esce rafforzata. Della linea ideologica, anti-tradizionale e relativista della modernità Del Noce era e rimane un critico rigoroso. Il suo dissenso dalla scuola contro-rivoluzionaria riguarda il carattere dominante di questa linea nel decorso del moderno, non la sua radicale inconciliabilità con la fede cattolica.
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