lunedì 22 agosto 2011

In due milioni sfidano il relativismo


























di Massimo Introvigne

22-08-2011


Una «festa della fede» - così l'ha chiamata il Papa ripartendo domenica 21 agosto dall'aeroporto di Madrid-Barajas - con due milioni d'invitati. Un richiamo alla Spagna, «grande nazione» per la sua storia al servizio della fede, a «progredire senza rinunciare alla sua anima profondamente religiosa e cattolica». Ma soprattutto una sfida lanciata al relativismo, denunciato in tutti gli interventi del Pontefice come la fonte avvelenata delle «frontiere che il peccato innalza tra i popoli e le generazioni».


Fin dalla prima giornata della GMG, come sa chi la ha seguita su La Bussola Quotidiana, Benedetto XVI ha proposto lo schema concettuale della sua visita spagnola: le molteplici crisi contemporanee, compresa quella economica e del lavoro, hanno come radice comune il relativismo. La GMG è una risposta seria ed efficace al relativismo in quanto aiuta i giovani a proclamare con coraggio che esiste la verità, dunque esistono le diverse verità: filosofiche, morali, religiose, fino all'incontro con Gesù Cristo, in cui la verità si fa persona.


Nella seconda giornata il Papa ha mostrato che si può percorrere questo itinerario, che è uno, sia a partire dalla ragione, con l'esperienza di una educazione e di una università capaci di affermare il primato della verità e di aprirsi alla fede, sia a partire dalla fede - che diventa testimonianza radicale di donazione a Cristo nella vita religiosa, e sequela del Signore sofferente nella Via Crucis - che, illuminando la nozione stessa di verità, incontra e feconda la ragione.


Sabato 20 agosto la terza giornata di Benedetto XVI a Madrid ha presentato due nuovi esempi di testimonianza radicale per la verità, quello della scelta del sacerdozio e del seminario in una società secolarizzata e anticristiana, e quello del servizio agli handicappati non solo fisici ma mentali, della cui piena dignità di persone una cultura ostile alla vita oggi dubita. La giornata si è aperta con la Messa celebrata per i seminaristi nella cattedrale di Santa Marìa la Real de la Almudena. Come aveva fatto il 19 agosto con le giovani religiose, il Papa ha sottolineato nell'omelia come la testimonianza radicale dell'offerta di sé, del celibato, dell'obbedienza alla Chiesa dei seminaristi proclami al mondo che la vera libertà non consiste nel fare quello che si vuole ma nell'essere docili alla verità, che esiste e che si può conoscere.


Il seminarista si prepara a mettere al centro della sua missione sacerdotale l'Eucarestia, dove - ha detto il Papa - «il corpo spezzato e il sangue versato di Cristo, cioè la sua libertà offerta, si sono convertiti attraverso i segni eucaristici nella nuova fonte della libertà redenta degli uomini. In Lui abbiamo la promessa di una redenzione definitiva e la speranza certa dei beni futuri. Attraverso Cristo sappiamo che non siamo dei viandanti verso l’abisso, verso il silenzio del nulla o della morte, ma siamo dei pellegrini verso una terra promessa, verso di Lui, che è la nostra meta e anche la nostra origine».


Ma questa preparazione richiede che i seminari, troppo spesso coinvolti anch'essi nella crisi generale, siano davvero fedeli al loro mandato. Quelli trascorsi in seminario «devono essere anni di silenzio interiore, di orazione costante, di studio assiduo e di prudente inserimento nell’azione e nelle strutture pastorali della Chiesa». Tutti noi sacerdoti, ha detto il Pontefice, «dobbiamo esser santi per non creare una contraddizione fra il segno che siamo e la realtà che vogliamo significare».


I tempi sono particolarmente difficili? È vero. Ma «nessuno sceglie il contesto, né i destinatari della propria missione. Ogni epoca ha i suoi problemi, ma Dio offre in ogni tempo la grazia opportuna per farsene carico e superarli con amore e realismo». E - con parole in cui una parte della stampa ha voluto vedere anche una risposta indiretta alle gazzarre anticlericali contro la visita del Papa in Spagna - Benedetto XVI ha invitato i seminaristi a non lasciarsi «intimorire da un ambiente nel quale si pretende di escludere Dio e nel quale il potere, il possedere o il piacere sono spesso i principali criteri sui quali si regge l’esistenza. Può darsi che vi disprezzino, come si suole fare verso coloro che richiamano mete più alte o smascherano gli idoli dinanzi ai quali oggi molti si prostrano. Sarà allora che una vita profondamente radicata in Cristo si rivelerà realmente come una novità, attraendo con forza coloro che veramente cercano Dio, la verità e la giustizia».


Al termine della Messa con i seminaristi il Papa ha annunciato che il patrono del clero secolare spagnolo, san Giovanni d'Avila (1499-1569) - da non confondersi con san Giovanni della Croce (1542-1591) -, sarà presto proclamato Dottore della Chiesa. Sarà così onorato un grande predicatore stimato dall'imperatore Carlo V (1500-1558), che gli affidò l'omelia ai funerali dell'amatissima moglie Isabella del Portogallo (1503-1539), ricordando ancora una volta il legame fra la gloria della Spagna e le sue radici cristiane. Ma in epoca di crisi economica è anche significativo che la Chiesa attiri l'attenzione su un maestro spirituale che non mancò mai d'insistere - a costo anche d'incomprensioni e difficoltà con la gerarchia ecclesiastica del suo tempo - sull'austerità e sulla sobrietà della vita, di cui anche i più ricchi devono dare l'esempio specie in tempi di generale difficoltà.


Visitando la Fondazione «Istituto San José», dove i religiosi dell'Ordine Ospedaliero di san Giovanni di Dio (1495-1550), i cosiddetti Fatebenefratelli, nel solco dell'opera del loro confratello milanese attivo in Spagna san Benedetto Menni (1841-1914), si prendono cura di handicappati e malati di mente, il Pontefice ha ricordato che una testimonianza speciale per la verità è quella che riafferma, in un mondo tentato dall'eutanasia, che nessuna vita è inutile. Opere come questa, ha detto il Papa, testimoniano
«della dignità di ogni vita umana, creata a immagine di Dio. Nessuna afflizione è capace di cancellare questa impronta divina incisa nel più profondo dell’uomo. E non solo: dal momento in cui il Figlio di Dio volle abbracciare liberamente il dolore e la morte, l’immagine di Dio si offre a noi anche nel volto di chi soffre. Questa speciale predilezione del Signore per colui che soffre ci porta a guardare l’altro con occhi limpidi, per dargli, oltre alle cose esterne di cui necessita, lo sguardo amorevole di cui ha bisogno».


L'incontro con la sofferenza - e tanto più con giovani sofferenti o handicappati - è, oggi più che mai, una sfida. «Quando il dolore appare nell’orizzonte di una vita giovane, rimaniamo sconcertati e forse ci chiediamo: può continuare ad essere grande la vita quando irrompe in essa la sofferenza? A tale riguardo, nella mia enciclica sulla speranza cristiana, dicevo: "La misura dell’umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e col sofferente (…) Una società che non riesce ad accettare i sofferenti e non è capace di contribuire mediante la com-passione a far sì che la sofferenza venga condivisa e portata anche interiormente, è una società crudele e disumana" (Spe salvi, 38)». Nella «nostra società, nella quale troppo spesso si pone in dubbio la dignità inestimabile della vita, di ogni vita» il servizio alla sofferenza è un'altra sfida al relativismo, un'altra testimonianza eloquente e persuasiva per la verità, in questo caso la verità sulla persona umana e sulla vita, il cui valore non dipende dalla buona salute fisica o mentale.


Animato da queste testimonianze - di chi sceglie il sacerdozio, di chi dedica la vita a servire i portatori di handicap o i malati di mente - come potrà il giovane della GMG dire a sua volta no al relativismo, decidere di vivere nella verità e per la verità? Era questo il tema preparato per la veglia di preghiera del 20 agosto - di fronte a due milioni di giovani - all'aeroporto dei Quattro Venti.


La prima verità da testimoniare, ha scritto il Papa nel discorso destinato ai tantissimi giovani della veglia - non pronunciato a causa della pioggia battente ma distribuito alla stampa e pubblicato sul sito Internet della Santa Sede - è che non siamo frutto del caso ma di un progetto di amore di Dio. «Questa è la grande verità della nostra vita e che dà senso a tutto il resto. Non siamo frutto del caso o dell’irrazionalità, ma all’origine della nostra esistenza c’è un progetto d’amore di Dio». Il vero coraggio sta nel non accettare le monete false del relativismo, nel non accontentarsi di niente di meno della verità. «Cari giovani - ha esortato il Pontefice - non conformatevi con qualcosa che sia meno della Verità e dell’Amore, non conformatevi con qualcuno che sia meno di Cristo».


I frutti saranno immediatamente visibili e sperimentabili. «Se rimarrete nell’amore di Cristo, radicati nella fede, incontrerete, anche in mezzo a contrarietà e sofferenze, la fonte della gioia e dell’allegria. La fede non si oppone ai vostri ideali più alti, al contrario, li eleva e li perfeziona».


Benedetto XVI ha denunciato ancora una volta il relativismo come radice della crisi contemporanea, come velo che impedisce di comprendere il senso del dolore e delle prove e di affidarsi a Cristo che solo può aiutarci a superarle. «Precisamente oggi, in cui la cultura relativista dominante rinuncia alla ricerca della verità e disprezza la ricerca della verità, che è l’aspirazione più alta dello spirito umano, dobbiamo proporre con coraggio e umiltà il valore universale di Cristo, come salvatore di tutti gli uomini e fonte di speranza per la nostra vita. Egli, che prese su di sé le nostre afflizioni, conosce bene il mistero del dolore umano e mostra la sua presenza piena di amore in tutti coloro che soffrono. E questi, a loro volta, uniti alla passione di Cristo, partecipano molto da vicino alla sua opera di redenzione».


E l'appello alla verità, ha aggiunto il Papa, vale sia per chi è chiamato a testimoniarla nella vita sacerdotale e religiosa, sia per chi ha come vocazione l'incontro con le verità oggi scomode e contestate della famiglia e del matrimonio. Molti dei giovani della GMG scopriranno, o hanno già scoperto, che «sono chiamati dal Signore al matrimonio, nel quale un uomo e una donna, formando una sola carne (cfr Gn 2,24), si realizzano in una profonda vita di comunione. È un orizzonte luminoso ed esigente al tempo stesso. Un progetto di amore vero che si rinnova e si approfondisce ogni giorno condividendo gioie e difficoltà, e che si caratterizza per un dono della totalità della persona. Per questo, riconoscere la bellezza e la bontà del matrimonio, significa essere coscienti che solo un contesto di fedeltà e indissolubilità, come pure di apertura al dono divino della vita, è quello adeguato alla grandezza e dignità dell’amore matrimoniale».


Ma come faranno i giovani della GMG a trasformare un mondo che sembra inondato e sommerso dal relativismo? Nell'omelia della Messa del 21 agosto il Papa ha risposto - prendendo spunto dal Vangelo della domenica - che tutto si gioca sul tipo di rapporto che ciascun giovane riuscirà a stabilire con la verità fatta persona, Gesù Cristo. Si tratta allora, anzitutto, di non sbagliare immagine di Cristo: «chi è Lui veramente?». Nel capitolo 16 del Vangelo di Matteo «vediamo descritti due modi distinti di conoscere Cristo. Il primo consisterebbe in una conoscenza esterna, caratterizzata dall’opinione corrente [...] [dove] si considera Cristo come un personaggio religioso in più di quelli già conosciuti».


Il secondo modo di conoscenza invece «va al di là dei semplici dati empirici o storici, ed è capace di cogliere il mistero della persona di Cristo nella sua profondità». Possiamo chiamare questo modo di conoscere Cristo «fede».


«Però la fede non è frutto dello sforzo umano, della sua ragione, bensì è un dono di Dio: "Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne, né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli". Ha la sua origine nell’iniziativa di Dio, che ci rivela la sua intimità e ci invita a partecipare della sua stessa vita divina».


Questo secondo modo di conoscere è davvero diverso dal primo. Chi dà credito all'opinione corrente considera Cristo non «la» verità ma «una» verità fra altre che sarebbero tutte più o meno sullo stesso piano, cioè rimane chiuso nella gabbia del relativismo. Da questa gabbia esce invece chi si persuade che «la fede non dà solo alcune informazioni sull’identità di Cristo, bensì suppone una relazione personale con Lui, l’adesione di tutta la persona, con la propria intelligenza, volontà e sentimenti alla manifestazione che Dio fa di se stesso». Oggi è difficile superare il relativismo sulla base di un semplice processo intellettuale. «Così, la domanda "Ma voi, chi dite che io sia?" in fondo sta provocando i discepoli a prendere una decisione personale in relazione a Lui. Fede e sequela di Cristo sono in stretto rapporto. E, dato che suppone la sequela del Maestro, la fede deve consolidarsi e crescere, farsi più profonda e matura, nella misura in cui si intensifica e rafforza la relazione con Gesù, la intimità con Lui».


Ai giovani della GMG il Papa ricorda che «anche oggi Cristo si rivolge a voi con la stessa domanda che fece agli apostoli: "Ma voi, chi dite che io sia?". Rispondetegli con generosità e audacia, come corrisponde a un cuore giovane qual è il vostro. Ditegli: Gesù, io so che Tu sei il Figlio di Dio, che hai dato la tua vita per me. Voglio seguirti con fedeltà e lasciarmi guidare dalla tua parola. Tu mi conosci e mi ami. Io mi fido di te e metto la mia intera vita nelle tue mani. Voglio che Tu sia la forza che mi sostiene, la gioia che mai mi abbandona».


Ancora, una generica adesione a Cristo non sarebbe sufficiente. Gesù stesso ha indicato il luogo dove, dopo l'Ascensione, è possibile incontrarlo nella storia. Questo luogo è la Chiesa. Non ce ne sono altri. «Nella sua risposta alla confessione di Pietro, Gesù parla della Chiesa: "E io a te dico: tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa"». Anche la risposta esatta alla domanda su che cosa sia la Chiesa è decisiva, per non ricadere nel relativismo, per cui la Chiesa sarebbe solo una fra tante istituzioni ugualmente autorevoli - o ugualmente poco autorevoli. Ma «la Chiesa non è una semplice istituzione umana, come qualsiasi altra, ma è strettamente unita a Dio. Lo stesso Cristo si riferisce ad essa come alla "sua" Chiesa. Non è possibile separare Cristo dalla Chiesa, come non si può separare la testa dal corpo (cfr 1Cor 12,12). La Chiesa non vive di se stessa, bensì del Signore. Egli è presente in mezzo ad essa, e le dà vita, alimento e forza». E la vera Chiesa si trova dove c'è il «Successore di Pietro», dove c'è la catena ininterrotta della «fede che ci è stata trasmessa dagli Apostoli».


Dunque «seguire Gesù nella fede è camminare con Lui nella comunione della Chiesa. Non si può seguire Gesù da soli. Chi cede alla tentazione di andare "per conto suo" o di vivere la fede secondo la mentalità individualista, che predomina nella società, corre il rischio di non incontrare mai Gesù Cristo, o di finire seguendo un’immagine falsa di Lui». E l'amore alla Chiesa si dimostra nella «partecipazione all’Eucarestia di ogni domenica, il frequente accostarsi al sacramento della riconciliazione e il coltivare la preghiera e la meditazione della Parola di Dio».


Dalla fede vissuta nella Chiesa nascono la testimonianza e la missione, che sono per tutti e sono indispensabili. «Da questa amicizia con Gesù nascerà anche la spinta che conduce a dare testimonianza della fede negli ambienti più diversi, incluso dove vi è rifiuto o indifferenza. Non è possibile incontrare Cristo e non farlo conoscere agli altri. Quindi, non conservate Cristo per voi stessi! Comunicate agli altri la gioia della vostra fede. Il mondo ha bisogno della testimonianza della vostra fede, ha bisogno certamente di Dio». Nonostante tutto, vi è ancora «una moltitudine di giovani che aspirano a cose più grandi e, scorgendo nei propri cuori la possibilità di valori più autentici, non si lasciano sedurre dalle false promesse di uno stile di vita senza Dio».


Come tutte le belle cose, anche la GMG è finita. Porterà frutto se i milioni di giovani che sono stati a Madrid sapranno trovare il coraggio - davvero rompendo la cappa della dittatura del relativismo - di continuare a vivere come se la GMG fosse ancora in corso, e di parlarne ai loro amici rimasti a casa. Ai volontari, così decisivi per la riuscita della GMG, il Papa ha detto: «Nel tornare ora alla vostra vita ordinaria, vi incoraggio a conservare nel vostro cuore questa gioiosa esperienza e a crescere ogni giorno di più nel dono di voi stessi a Dio e agli uomini. E’ possibile che in molti di voi si sia manifestata timida o con forza una domanda molto semplice: Che cosa vuole Dio da me? Qual è il suo disegno sulla mia vita? Cristo mi chiama a seguirlo più da vicino? Non potrei spendere tutta la mia vita nella missione di annunciare al mondo la grandezza del suo amore attraverso il sacerdozio, la vita consacrata o il matrimonio? Se è sorta questa inquietudine, lasciatevi guidare dal Signore e offritevi volontariamente al servizio di Colui che "non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti" (Mc 10,45). La vostra vita raggiungerà una pienezza insospettata. Forse qualcuno sta pensando: il Papa è venuto a ringraziarci e ora sta chiedendo. Sì, è così. Questa è la missione del Papa, Successore di Pietro».


Lasciando la Spagna, all'aeroporto di Madrid, il Pontefice si è rivolto ancora ai giovani, invitandoli «adesso a diffondere in ogni angolo del mondo la gioiosa e profonda esperienza di fede vissuta in questo nobile Paese. Trasmettete la vostra gioia specialmente a coloro che avrebbero voluto venire ma non hanno potuto farlo per diversi motivi, a quanti hanno pregato per voi e a coloro ai quali la celebrazione della Giornata ha toccato il cuore. Con la vostra vicinanza e testimonianza, aiutate i vostri amici e compagni a scoprire che amare Cristo è vivere in pienezza».


E a tutti i partecipanti a queste indimenticabili giornate, «cari amici - ha detto Benedetto XVI nell'Angelus del 21 agosto, congedandosi dall'immenso popolo della GMG, che è stato con la sua presenza una smentita vivente a tanti luoghi comuni sulla presunta lontananza dei giovani dalla Chiesa e dal Pontefice -, ora ritornerete nei vostri luoghi di dimora abituale. I vostri amici vorranno sapere che cosa è cambiato in voi dopo essere stati in questa nobile Città con il Papa e centinaia di migliaia di giovani di tutto il mondo: che cosa direte loro? Vi invito a dare un’audace testimonianza di vita cristiana davanti agli altri. Così sarete lievito di nuovi cristiani e farete sì che la Chiesa riemerga con vigore nel cuore di molti». La GMG non è finita. Comincia oggi.

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