sabato 18 gennaio 2025

Fino a che punto oltre l’errore si può anche giudicare l’errante?








Corrado Gnerre

Spesso si dice che non bisogna giudicare il prossimo. Ma cosa veramente significa e cosa davvero comporta una simile affermazione?

Gesù dice di non giudicare (Matteo 7,1), ma giudicare (in senso evangelico) non vuol dire “giudicare” in quanto “esprimere un giudizio”, bensì non condannare definitivamente né tantomeno giudicare le sue intenzioni. Facciamo un esempio: se Mario Rossi vive una vita di peccato non debbo condannarlo definitivamente, pensando che non possa più redimersi; né posso entrare nel suo “foro interno” e valutare fino a che punto aveva ed ha intenzione di peccare. Nel profondo dell’anima può entrarci solo Dio. Piuttosto devo pregare per lui, e far di tutto affinché possa emendarsi. E forse -chissà- potrà egli divenire anche un grande santo. Di esempi a riguardo -grazie a Dio- se ne potrebbero fare tanti. Ma ciò non significa che Mario Rossi non debba essere giudicato nel momento in cui è peccatore e si comporta come tale.

Qui, infatti, c’è un’ambiguità che va chiarita. Spesso si dice che vada giudicato l’errore ma non l’errante. No: va giudicato l’errore ed anche l’errante, nel senso che bisogna riconoscere che l’errante sta errando, e in tal senso (come impongono le opere di misericordia spirituale) l’errante deve essere ammonito. Se non si giudica l’errante come errante, non lo si potrà aiutare. Se il medico non riconosce che il malato è ammalato, non si attiverà a curarlo con la speranza di guarirlo.





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