di Sandro Magister
18 nov 22
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Che la Chiesa cattolica subisca o persino assecondi l’avvento di una nuova religione della natura, con il dio Pan come suo simbolo, non è una teoria bizzarra. È la tesi, sostenuta con argomenti convincenti, della filosofa francese Chantal Delsol nel suo ultimo saggio, da alcuni giorni in libreria anche in Italia per i tipi di Cantagalli: “La fine della cristianità e il ritorno del paganesimo”.
Delsol, cattolica, insegna filosofia politica e si definisce liberal-conservatrice, ha fondato nel 1993 l’Istituto Hannah Arendt ed è membro dell’Académie des Sciences morales et politiques dell’Institut de France. Respinge decisamente l’idea che il collasso della fede cristiana lasci il campo libero a un Occidente “ateo”. No, la modernità non fa tabula rasa del cristianesimo. La fede nella trascendenza crolla, ma l’edificio non scompare, i suoi mattoni sono riutilizzati in modo nuovo. Come i primi cristiani si stabilirono in templi pagani, di cui trasformarono i significati, così la religione cambia per scritture sovrapposte e diverse, come in un palinsesto.
Delsol non teme un’islamizzazione dell’Europa. Anche i musulmani europei sono travolti dal cambiamento culturale in atto. “Di certo – ha scritto su ‘Le Figaro’ di cui è editorialista – sono crollati i fondamenti del giudeo-cristianesimo. Il primo è la fede nell’esistenza della verità, che ci viene dai greci. Poi è l’idea del tempo lineare, che storicamente ci ha dato la visione del progresso, per cui si torna al tempo ciclico con l’annuncio di catastrofi apocalittiche. Infine, è la fede nella dignità sostanziale dell’essere umano che viene cancellata per far posto a una dignità conferita dall’esterno, sociale e non sostanziale, come avveniva prima del cristianesimo”.
La religione che avanza è una nuova forma di paganesimo, con la natura al suo centro, sacralizzata. Nel breve estratto del suo libro che è riprodotto più sotto, Delsol spiega questa mutazione, che non ha più la Chiesa ma lo Stato come suo officiante. A custodire quel che resta della vera fede cristiana non potranno esservi che delle minoranze, sperabilemte creative, fatte di testimoni, di “agenti segreti” di Dio.
Delsol non è la sola voce che in Francia si leva per analizzare la mutazione culturale che oggi investe e travolge il cristianesimo. Sorprendentemente, in un Paese nel quale i battezzati sono già meno della metà e la pratica cattolica è calata a picco, c’è uno straordinario interesse per tali questioni da parte di intellettuali e scrittori, anche non credenti.
È di fine ottobre il dialogo di ampio respiro promosso da “Le Figaro” a Parigi tra il filosofo cattolico Pierre Manent e lo scrittore Alain Finkielkraut, membro dell’Académie Française, ripubblicato integralmente anche in Italia da “Il Foglio” del 2 novembre con il titolo: “È morto il tuo Dio, Europa? Una religione civile ha soppiantato il Dio di Pascal”. In esso i due studiosi concordano con Delsol nel tratteggiare l’odierna mutazione del cristianesimo in una religione semplicemente naturale, umanitaria, complice la resa della Chiesa.
Non solo la filosofia, anche la narrativa è in Francia fortemente segnata da queste stesse questioni capitali. Due nomi su tutti. Il primo è Emmanuel Carrère, il cui romanzo “Il Regno” è stato presentato così da Roberto Righetto, sul quotidiano della conferenza episcopale italiana “Avvenire”: “Uno dei più importanti libri ‘cristiani’ degli ultimi tempi, anche se scritto da un non credente: un’inchiesta sul Vangelo di Luca condotta mescolando indagine storica e racconto autobiografico, che diventa una severa investigazione sulla sostanza dell’annuncio cristiano, un vero corpo a corpo la cui lettura spinge anche i credenti a interrogarsi con la medesima serietà”.
E poi Michel Houellebecq, altro scrittore tanto apprezzato quanto controverso, per il quale non è affatto scontato che l’attuale scristianizzazione sia definitiva e per sempre, perché invece potrebbe andare incontro anch’essa a una rottura, a una “mutazione metafisica” come quella che ha segnato la fine improvvisa di precedenti stadi di civiltà. Ed è a questo che si deve essere pronti, “serbando intatta l’eredità cristiana per poterla poi riproporre in un mondo mutato”.
Ciò che colpisce, di questo interesse così vivo, in Francia, a tali questioni, è che esso non è promosso né guidato dalle gerarchie della Chiesa, ma è animato in totale autonomia da uomini di cultura, non soltanto cristiani.
Esattamente come avvenne in epoche precedenti della storia della Chiesa, in particolare nelle tre rinascite religiose dell’ultimo mezzo millennio messe in luce dallo storico Roberto Pertici, tutte e tre con la Francia come epicentro: quella del Seicento con Pascal e Port Royal, quella romantica del primo Ottocento con Chateaubriand e “Le génie du Christianisme”, e quella del primo Novecento del “Renouveau catholique” e dei grandi convertiti, da Péguy a Maritain, da Claudel a Bernanos.
A Delsol la parola.
*
L’ECOLOGIA COME RELIGIONE COMUNE
di Chantal Delsol
In questo inizio del XXI secolo, la corrente filosofica più affermata e attraente è una forma di cosmoteismo legato alla difesa della natura. I nostri contemporanei occidentali non credono più in un aldilà o in una trascendenza. Il senso della vita va trovato in questa vita stessa e non al di sopra di essa, dove non c’è nulla. Il sacro si trova qui: nei paesaggi, nella vita della terra e negli stessi esseri umani. Si è prodotta una “antropologia monista”, che si avvicina all’antico animismo. Per l’ecologismo odierno non c’è più alcuna separazione essenziale tra l’uomo e gli altri esseri viventi, né tra l’uomo e tutta la natura, che egli semplicemente abita, senza dominarla con una qualsiasi superiorità.
Per il monoteista, l’uomo si sente straniero in questo mondo immanente e aspira all’altro mondo, ed è proprio questo, ad esempio, che Nietzsche rimproverava ai cristiani. Per il cosmoteista, invece, il mondo è una dimora tutta sua, nel senso pieno del termine. Vuole abitare questo mondo come cittadino a pieno titolo, e non più come quello straniero di passaggio, quel cristiano descritto dall’anonimo autore della Lettera a Diogneto. Vuole vivere in un mondo autosufficiente che abbia in sé il suo significato, in altre parole: un mondo incantato, il cui incanto sta al suo interno e non in un aldilà angosciante e ipotetico.
L’uomo postmoderno vuole abolire le distinzioni, il suo aggettivo preferito è “inclusivo”. E il cosmoteismo gli si addice perché cancella il vecchio dualismo tipico del giudeo-cristianesimo. Sente l’esigenza di sfuggire alle contraddizioni tra il falso e il vero, tra Dio e il mondo, tra la fede e la ragione. Invece di esiliare Dio fuori del mondo, lo richiama qui e si riappropria del sacro. Per Odo Marquard, filosofo tedesco contemporaneo, il fiato corto del monoteismo offre una possibilità al politeismo di tornare al centro della scena, attraverso il ritorno di miti plurali. Il ritorno al politeismo viene da lui descritto come un’emancipazione dalla verità esclusiva, una libertà completa data al regno delle narrazioni e la fine dell’escatologia della salvezza.
L’ecologia oggi è una religione, una credenza. Non perché l’attuale problema ecologico non debba essere considerato come scientificamente dimostrato; ma perché queste certezze scientifiche sul clima e sull’ecologia producono convinzioni e certezze irrazionali, che sono in realtà credenze religiose, dotate di tutte le manifestazioni della religione.
Oggi l’ecologia è diventata una liturgia: è impossibile ometterne la celebrazione, in un modo o nell’altro, in qualsiasi discorso o frammento di discorso. È un catechismo: lo si insegna ai bambini a partire dalla scuola materna e in modo ripetitivo, per aiutarli ad acquisire le buone abitudini di pensiero e di azione. È un dogma consensuale: chi pone delle questioni al riguardo, o chi solleva il minimo dubbio, è considerato come un pazzo o un malfattore. Ma soprattutto – e questo è il chiaro segno di una credenza e non certo di una scienza razionale – la passione per la natura fa accettare tutto ciò che era rifiutato dall’onnipotente individualismo: la responsabilità personale, il debito imposto verso i discendenti, i doveri verso la comunità. È quindi in nome di questa religione immanente e pagana che reintegriamo tutte le dimensioni indispensabili dell’esistenza, che prima erano assunte e coltivate dal cristianesimo.
Al di là della necessaria tutela dell’ambiente, troppo a lungo trascurata dall’era industriale, il pensiero ecologico sviluppa una vera e propria filosofia di vita. Non rimane al livello della difesa dell’ambiente. C’è una ragione ben precisa di questo fatto. Abbiamo tutta una tradizione cristiana di difesa della natura, da san Francesco o santa Ildegarda di Bingen fino, ai giorni nostri, al “filosofo contadino” Gustave Thibon. In questa tradizione, la natura è considerata come una creatura divina e come tale protetta; la difesa della natura si inserisce all’interno della fede nella trascendenza e di un umanesimo che pone l’uomo al centro. Ma quando la cristianità svanisce, e con essa la trascendenza, è inevitabile che il sacro riappaia in una forma o nell’altra. Nel momento in cui la difesa dell’ambiente si afferma come un dovere urgente ed evidente, la natura si vede allora sacralizzata, cioè messa al riparo, stabilita al di sopra, resa inviolabile.
La nuova religione ecologica è una forma di panteismo postmoderno. La natura diventa oggetto di un culto, più o meno evidente. La madre terra diventa una specie di dea pagana, e non solo tra gli indigeni boliviani, anche tra gli europei. Tanto che papa Francesco parla oggi di “nostra madre terra”, in senso cristiano ovviamente, ma lasciando aperta l’ambiguità che permette il legame con le credenze contemporanee. I nostri contemporanei difendono in tutte le sue forme la natura snaturata dall’uomo, così come non esitano ad abbracciare gli alberi. Siamo in una fase in cui, nel vasto campo aperto dalla cancellazione del cristianesimo, nuove credenze si affacciano: e soprattutto il panteismo che traduce in religione la difesa dell’ambiente.
I cristiani di oggi, sconvolti dalla caduta della loro influenza, tendono a sostenere che ogni moralità scomparirà con la cancellazione del monoteismo. Ma ciò significa disconoscere la storia. Le morali e le religioni non nascono assieme, e non sono le religioni a generare le morali, fino all’avvento del giudeo-cristianesimo. Nei mondi antichi, politeisti, la morale viene dalla società e ha un’origine tutta umana: derivata dai costumi, dalle tradizioni. La religione è di un altro ordine. Gli dei esigono sacrifici e generano riti. Le norme morali richiedono obbedienza. Tra i popoli politeisti, è lo Stato ad essere il custode della morale. Incredibile e nuovo è lo spettacolo di Mosè che scende dal monte con le tavole della legge: qui sì per la prima volta la morale viene da Dio.
Ma all’inizio del XXI secolo la Chiesa abbandona il suo ruolo di custode delle norme morali e quest’ultimo passa di nuovo allo Stato. La molteplicità di credenze morali e religiose che abitano i nostri Paesi – ben visibili attraverso la diversità rappresentata nei comitati etici – porta necessariamente a un’amplificazione del ruolo del potere politico. Quest’ultimo, rappresentato dalle sue élite tanto consapevoli quanto attive, torna ad essere il custode della morale quale era stato prima del lungo periodo di cristianità.
Oggi gli occidentali non vogliono più che questa tutela sia assicurata dalle religioni, dai chierici. Preferiscono quella autorità neutra che è lo Stato, che sono le élite istituzionali o di influenza. Questo è il motivo per cui oggi il “mainstream” ufficiale si assume il diritto di proteggere la morale e di impedirne le deviazioni, nonché di ostracizzare i devianti. I conduttori dei talk show sono le sentinelle e talvolta i cerberi della morale comune. Non necessariamente i produttori, perché la morale proviene da molte fonti, ma le sentinelle, coloro che vigilano sulla sua esecuzione. Hanno assunto il ruolo che svolgevano i vescovi ancora mezzo secolo fa.
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Che la Chiesa cattolica subisca o persino assecondi l’avvento di una nuova religione della natura, con il dio Pan come suo simbolo, non è una teoria bizzarra. È la tesi, sostenuta con argomenti convincenti, della filosofa francese Chantal Delsol nel suo ultimo saggio, da alcuni giorni in libreria anche in Italia per i tipi di Cantagalli: “La fine della cristianità e il ritorno del paganesimo”.
Delsol, cattolica, insegna filosofia politica e si definisce liberal-conservatrice, ha fondato nel 1993 l’Istituto Hannah Arendt ed è membro dell’Académie des Sciences morales et politiques dell’Institut de France. Respinge decisamente l’idea che il collasso della fede cristiana lasci il campo libero a un Occidente “ateo”. No, la modernità non fa tabula rasa del cristianesimo. La fede nella trascendenza crolla, ma l’edificio non scompare, i suoi mattoni sono riutilizzati in modo nuovo. Come i primi cristiani si stabilirono in templi pagani, di cui trasformarono i significati, così la religione cambia per scritture sovrapposte e diverse, come in un palinsesto.
Delsol non teme un’islamizzazione dell’Europa. Anche i musulmani europei sono travolti dal cambiamento culturale in atto. “Di certo – ha scritto su ‘Le Figaro’ di cui è editorialista – sono crollati i fondamenti del giudeo-cristianesimo. Il primo è la fede nell’esistenza della verità, che ci viene dai greci. Poi è l’idea del tempo lineare, che storicamente ci ha dato la visione del progresso, per cui si torna al tempo ciclico con l’annuncio di catastrofi apocalittiche. Infine, è la fede nella dignità sostanziale dell’essere umano che viene cancellata per far posto a una dignità conferita dall’esterno, sociale e non sostanziale, come avveniva prima del cristianesimo”.
La religione che avanza è una nuova forma di paganesimo, con la natura al suo centro, sacralizzata. Nel breve estratto del suo libro che è riprodotto più sotto, Delsol spiega questa mutazione, che non ha più la Chiesa ma lo Stato come suo officiante. A custodire quel che resta della vera fede cristiana non potranno esservi che delle minoranze, sperabilemte creative, fatte di testimoni, di “agenti segreti” di Dio.
Delsol non è la sola voce che in Francia si leva per analizzare la mutazione culturale che oggi investe e travolge il cristianesimo. Sorprendentemente, in un Paese nel quale i battezzati sono già meno della metà e la pratica cattolica è calata a picco, c’è uno straordinario interesse per tali questioni da parte di intellettuali e scrittori, anche non credenti.
È di fine ottobre il dialogo di ampio respiro promosso da “Le Figaro” a Parigi tra il filosofo cattolico Pierre Manent e lo scrittore Alain Finkielkraut, membro dell’Académie Française, ripubblicato integralmente anche in Italia da “Il Foglio” del 2 novembre con il titolo: “È morto il tuo Dio, Europa? Una religione civile ha soppiantato il Dio di Pascal”. In esso i due studiosi concordano con Delsol nel tratteggiare l’odierna mutazione del cristianesimo in una religione semplicemente naturale, umanitaria, complice la resa della Chiesa.
Non solo la filosofia, anche la narrativa è in Francia fortemente segnata da queste stesse questioni capitali. Due nomi su tutti. Il primo è Emmanuel Carrère, il cui romanzo “Il Regno” è stato presentato così da Roberto Righetto, sul quotidiano della conferenza episcopale italiana “Avvenire”: “Uno dei più importanti libri ‘cristiani’ degli ultimi tempi, anche se scritto da un non credente: un’inchiesta sul Vangelo di Luca condotta mescolando indagine storica e racconto autobiografico, che diventa una severa investigazione sulla sostanza dell’annuncio cristiano, un vero corpo a corpo la cui lettura spinge anche i credenti a interrogarsi con la medesima serietà”.
E poi Michel Houellebecq, altro scrittore tanto apprezzato quanto controverso, per il quale non è affatto scontato che l’attuale scristianizzazione sia definitiva e per sempre, perché invece potrebbe andare incontro anch’essa a una rottura, a una “mutazione metafisica” come quella che ha segnato la fine improvvisa di precedenti stadi di civiltà. Ed è a questo che si deve essere pronti, “serbando intatta l’eredità cristiana per poterla poi riproporre in un mondo mutato”.
Ciò che colpisce, di questo interesse così vivo, in Francia, a tali questioni, è che esso non è promosso né guidato dalle gerarchie della Chiesa, ma è animato in totale autonomia da uomini di cultura, non soltanto cristiani.
Esattamente come avvenne in epoche precedenti della storia della Chiesa, in particolare nelle tre rinascite religiose dell’ultimo mezzo millennio messe in luce dallo storico Roberto Pertici, tutte e tre con la Francia come epicentro: quella del Seicento con Pascal e Port Royal, quella romantica del primo Ottocento con Chateaubriand e “Le génie du Christianisme”, e quella del primo Novecento del “Renouveau catholique” e dei grandi convertiti, da Péguy a Maritain, da Claudel a Bernanos.
A Delsol la parola.
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L’ECOLOGIA COME RELIGIONE COMUNE
di Chantal Delsol
In questo inizio del XXI secolo, la corrente filosofica più affermata e attraente è una forma di cosmoteismo legato alla difesa della natura. I nostri contemporanei occidentali non credono più in un aldilà o in una trascendenza. Il senso della vita va trovato in questa vita stessa e non al di sopra di essa, dove non c’è nulla. Il sacro si trova qui: nei paesaggi, nella vita della terra e negli stessi esseri umani. Si è prodotta una “antropologia monista”, che si avvicina all’antico animismo. Per l’ecologismo odierno non c’è più alcuna separazione essenziale tra l’uomo e gli altri esseri viventi, né tra l’uomo e tutta la natura, che egli semplicemente abita, senza dominarla con una qualsiasi superiorità.
Per il monoteista, l’uomo si sente straniero in questo mondo immanente e aspira all’altro mondo, ed è proprio questo, ad esempio, che Nietzsche rimproverava ai cristiani. Per il cosmoteista, invece, il mondo è una dimora tutta sua, nel senso pieno del termine. Vuole abitare questo mondo come cittadino a pieno titolo, e non più come quello straniero di passaggio, quel cristiano descritto dall’anonimo autore della Lettera a Diogneto. Vuole vivere in un mondo autosufficiente che abbia in sé il suo significato, in altre parole: un mondo incantato, il cui incanto sta al suo interno e non in un aldilà angosciante e ipotetico.
L’uomo postmoderno vuole abolire le distinzioni, il suo aggettivo preferito è “inclusivo”. E il cosmoteismo gli si addice perché cancella il vecchio dualismo tipico del giudeo-cristianesimo. Sente l’esigenza di sfuggire alle contraddizioni tra il falso e il vero, tra Dio e il mondo, tra la fede e la ragione. Invece di esiliare Dio fuori del mondo, lo richiama qui e si riappropria del sacro. Per Odo Marquard, filosofo tedesco contemporaneo, il fiato corto del monoteismo offre una possibilità al politeismo di tornare al centro della scena, attraverso il ritorno di miti plurali. Il ritorno al politeismo viene da lui descritto come un’emancipazione dalla verità esclusiva, una libertà completa data al regno delle narrazioni e la fine dell’escatologia della salvezza.
L’ecologia oggi è una religione, una credenza. Non perché l’attuale problema ecologico non debba essere considerato come scientificamente dimostrato; ma perché queste certezze scientifiche sul clima e sull’ecologia producono convinzioni e certezze irrazionali, che sono in realtà credenze religiose, dotate di tutte le manifestazioni della religione.
Oggi l’ecologia è diventata una liturgia: è impossibile ometterne la celebrazione, in un modo o nell’altro, in qualsiasi discorso o frammento di discorso. È un catechismo: lo si insegna ai bambini a partire dalla scuola materna e in modo ripetitivo, per aiutarli ad acquisire le buone abitudini di pensiero e di azione. È un dogma consensuale: chi pone delle questioni al riguardo, o chi solleva il minimo dubbio, è considerato come un pazzo o un malfattore. Ma soprattutto – e questo è il chiaro segno di una credenza e non certo di una scienza razionale – la passione per la natura fa accettare tutto ciò che era rifiutato dall’onnipotente individualismo: la responsabilità personale, il debito imposto verso i discendenti, i doveri verso la comunità. È quindi in nome di questa religione immanente e pagana che reintegriamo tutte le dimensioni indispensabili dell’esistenza, che prima erano assunte e coltivate dal cristianesimo.
Al di là della necessaria tutela dell’ambiente, troppo a lungo trascurata dall’era industriale, il pensiero ecologico sviluppa una vera e propria filosofia di vita. Non rimane al livello della difesa dell’ambiente. C’è una ragione ben precisa di questo fatto. Abbiamo tutta una tradizione cristiana di difesa della natura, da san Francesco o santa Ildegarda di Bingen fino, ai giorni nostri, al “filosofo contadino” Gustave Thibon. In questa tradizione, la natura è considerata come una creatura divina e come tale protetta; la difesa della natura si inserisce all’interno della fede nella trascendenza e di un umanesimo che pone l’uomo al centro. Ma quando la cristianità svanisce, e con essa la trascendenza, è inevitabile che il sacro riappaia in una forma o nell’altra. Nel momento in cui la difesa dell’ambiente si afferma come un dovere urgente ed evidente, la natura si vede allora sacralizzata, cioè messa al riparo, stabilita al di sopra, resa inviolabile.
La nuova religione ecologica è una forma di panteismo postmoderno. La natura diventa oggetto di un culto, più o meno evidente. La madre terra diventa una specie di dea pagana, e non solo tra gli indigeni boliviani, anche tra gli europei. Tanto che papa Francesco parla oggi di “nostra madre terra”, in senso cristiano ovviamente, ma lasciando aperta l’ambiguità che permette il legame con le credenze contemporanee. I nostri contemporanei difendono in tutte le sue forme la natura snaturata dall’uomo, così come non esitano ad abbracciare gli alberi. Siamo in una fase in cui, nel vasto campo aperto dalla cancellazione del cristianesimo, nuove credenze si affacciano: e soprattutto il panteismo che traduce in religione la difesa dell’ambiente.
I cristiani di oggi, sconvolti dalla caduta della loro influenza, tendono a sostenere che ogni moralità scomparirà con la cancellazione del monoteismo. Ma ciò significa disconoscere la storia. Le morali e le religioni non nascono assieme, e non sono le religioni a generare le morali, fino all’avvento del giudeo-cristianesimo. Nei mondi antichi, politeisti, la morale viene dalla società e ha un’origine tutta umana: derivata dai costumi, dalle tradizioni. La religione è di un altro ordine. Gli dei esigono sacrifici e generano riti. Le norme morali richiedono obbedienza. Tra i popoli politeisti, è lo Stato ad essere il custode della morale. Incredibile e nuovo è lo spettacolo di Mosè che scende dal monte con le tavole della legge: qui sì per la prima volta la morale viene da Dio.
Ma all’inizio del XXI secolo la Chiesa abbandona il suo ruolo di custode delle norme morali e quest’ultimo passa di nuovo allo Stato. La molteplicità di credenze morali e religiose che abitano i nostri Paesi – ben visibili attraverso la diversità rappresentata nei comitati etici – porta necessariamente a un’amplificazione del ruolo del potere politico. Quest’ultimo, rappresentato dalle sue élite tanto consapevoli quanto attive, torna ad essere il custode della morale quale era stato prima del lungo periodo di cristianità.
Oggi gli occidentali non vogliono più che questa tutela sia assicurata dalle religioni, dai chierici. Preferiscono quella autorità neutra che è lo Stato, che sono le élite istituzionali o di influenza. Questo è il motivo per cui oggi il “mainstream” ufficiale si assume il diritto di proteggere la morale e di impedirne le deviazioni, nonché di ostracizzare i devianti. I conduttori dei talk show sono le sentinelle e talvolta i cerberi della morale comune. Non necessariamente i produttori, perché la morale proviene da molte fonti, ma le sentinelle, coloro che vigilano sulla sua esecuzione. Hanno assunto il ruolo che svolgevano i vescovi ancora mezzo secolo fa.
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