Il Summorum pontificum aveva dato speranza a molti impegnati sul fronte della Dottrina sociale della Chiesa e che pure hanno continuato a partecipare alla Messa di Paolo VI. La DSC, infatti, non è aliena alla liturgia. Nella Messa antica la centralità di Dio, compresa la Sua regalità sociale, risulta più evidente che nel Novus Ordo. L’ultimo motu proprio di Francesco va invece nel senso di una “nuova” DSC dove il divino arretra e il primato della Chiesa sul mondo va scomparendo.
Il motu proprio Traditionis custodes di Francesco ha molti aspetti da considerarsi improvvidi. Alcuni stanno già emergendo, altri emergeranno in futuro. Intanto, può essere opportuno segnalarne anche uno che riguarda la Dottrina sociale della Chiesa.
Quando, nel 2007, papa Benedetto XVI emanò il motu proprio Summorum pontificum che riconfermava il rito antico della Santa Messa quale espressione, seppure straordinaria, dell’unica lex orandi della Chiesa romana, molti impegnati sul fronte della Dottrina sociale della Chiesa ne furono contenti. Si badi: molti che avrebbero continuato a partecipare alla celebrazione della Messa secondo il Novus Ordo anche dopo il Summorum pontificum. La fedeltà alla Messa di Paolo VI non impediva loro di essere grati a Benedetto XVI per questo passo. Essi sapevano bene, infatti, che la Dottrina sociale della Chiesa non è aliena alla liturgia, dato che nulla nella vita della Chiesa e del cristiano è alieno alla liturgia. È questo il senso del motto Lex orandi-lex credendi.
L’atteggiamento appena descritto richiede una spiegazione. Perché molti cattolici impegnati nella Dottrina sociale della Chiesa avevano accolto con speranza l’apertura di Benedetto XVI al rito antico? Che nesso vedevano tra questo passo e la promozione della Dottrina sociale della Chiesa?
La Dottrina sociale della Chiesa ha uno stretto rapporto con la tradizione: essa, infatti, appartiene alla tradizione della Chiesa, dato che non è nata nel 1891 con la Rerum novarum, ma è nata col Vangelo. Giovanni Paolo II aveva ben chiarito questo rapporto nelle sue encicliche e soprattutto nella Laborem exercens del 1981. Se la Dottrina sociale della Chiesa avesse perso questo suo nesso intimo con la tradizione, avrebbe perso la sua natura di annuncio di Cristo nelle realtà temporali e avrebbe assunto il volto di un generico nuovo umanesimo solidaristico. In altri termini, si sarebbe avviata sul proprio viale del tramonto.
Dentro la Chiesa, accanto ai pontefici che intendevano mantenere la Dottrina sociale della Chiesa dentro la tradizione, soprattutto Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, c’erano altre forze che invece la volevano condurre verso il suo viale del tramonto, trasformandola in etica sociale e in promozione dell’umano in quanto umano. Secondo la prima versione - quella tradizionale - la Chiesa aveva una parola ultima da dire sulla vita politica, che solo essa poteva dire e senza la quale la vita politica non poteva stare. Da qui un suo ruolo pubblico di tipo religioso e non solo etico e umanistico. Per la seconda versione, invece, la Chiesa non avrebbe potuto interessarsi della dimensione politica del vivere comunitario senza scendere al livello della fratellanza e della solidarietà etica, tralasciando la dimensione religiosa.
Si capisce allora perché chi era impegnato nella linea tradizionale della Dottrina sociale della Chiesa vide con interesse il Summorum pontificum. Nella liturgia Vetus Ordo la centralità di Dio onnipotente e la sua signoria sul creato, compresa la sua regalità sociale, risultavano maggiormente evidenti che non nel Novus Ordo. In quest’ultimo, non solo per gli abusi e le forzature che pure ci furono, la dimensione antropologica emerge in modo particolare e il rapporto tra la Chiesa e il mondo appare di più come paritetico, piuttosto che caratterizzato dal primato della Chiesa sul mondo. L’umano diventa il criterio per il divino. Il ruolo pubblico della Chiesa è maggiormente inteso come un aiuto al mondo ad essere mondo, piuttosto che a salvarlo, e il ruolo della Chiesa nei rapporti sociali assume maggiormente la caratteristica della carità trascurando talvolta la verità.
Semplificando con un esempio, si può dire che un sostenitore della “svolta antropologica” della teologia, inaugurata da Karl Rahner, può leggere la Messa di Paolo VI anche come un’applicazione della suddetta svolta e come ad essa conforme. Certamente la stessa cosa costui non direbbe a proposito della Messa antica. Tra le due c’è il personalismo cristiano, se non proprio la svolta antropologica.
Credo si possa spiegare così la simpatia di un certo mondo cattolico impegnato nella Dottrina sociale della Chiesa per il Summorum pontificum di Benedetto XVI e la sua delusione per il nuovo motu proprio di Francesco. Pur dicendo di voler custodire la tradizione, quest’ultimo dà adito a chi da tempo vuole inserire la Dottrina sociale della Chiesa in una “nuova tradizione” caratterizzata dalla diminuzione del divino e dall’aumento dell’umano.
Quando, nel 2007, papa Benedetto XVI emanò il motu proprio Summorum pontificum che riconfermava il rito antico della Santa Messa quale espressione, seppure straordinaria, dell’unica lex orandi della Chiesa romana, molti impegnati sul fronte della Dottrina sociale della Chiesa ne furono contenti. Si badi: molti che avrebbero continuato a partecipare alla celebrazione della Messa secondo il Novus Ordo anche dopo il Summorum pontificum. La fedeltà alla Messa di Paolo VI non impediva loro di essere grati a Benedetto XVI per questo passo. Essi sapevano bene, infatti, che la Dottrina sociale della Chiesa non è aliena alla liturgia, dato che nulla nella vita della Chiesa e del cristiano è alieno alla liturgia. È questo il senso del motto Lex orandi-lex credendi.
L’atteggiamento appena descritto richiede una spiegazione. Perché molti cattolici impegnati nella Dottrina sociale della Chiesa avevano accolto con speranza l’apertura di Benedetto XVI al rito antico? Che nesso vedevano tra questo passo e la promozione della Dottrina sociale della Chiesa?
La Dottrina sociale della Chiesa ha uno stretto rapporto con la tradizione: essa, infatti, appartiene alla tradizione della Chiesa, dato che non è nata nel 1891 con la Rerum novarum, ma è nata col Vangelo. Giovanni Paolo II aveva ben chiarito questo rapporto nelle sue encicliche e soprattutto nella Laborem exercens del 1981. Se la Dottrina sociale della Chiesa avesse perso questo suo nesso intimo con la tradizione, avrebbe perso la sua natura di annuncio di Cristo nelle realtà temporali e avrebbe assunto il volto di un generico nuovo umanesimo solidaristico. In altri termini, si sarebbe avviata sul proprio viale del tramonto.
Dentro la Chiesa, accanto ai pontefici che intendevano mantenere la Dottrina sociale della Chiesa dentro la tradizione, soprattutto Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, c’erano altre forze che invece la volevano condurre verso il suo viale del tramonto, trasformandola in etica sociale e in promozione dell’umano in quanto umano. Secondo la prima versione - quella tradizionale - la Chiesa aveva una parola ultima da dire sulla vita politica, che solo essa poteva dire e senza la quale la vita politica non poteva stare. Da qui un suo ruolo pubblico di tipo religioso e non solo etico e umanistico. Per la seconda versione, invece, la Chiesa non avrebbe potuto interessarsi della dimensione politica del vivere comunitario senza scendere al livello della fratellanza e della solidarietà etica, tralasciando la dimensione religiosa.
Si capisce allora perché chi era impegnato nella linea tradizionale della Dottrina sociale della Chiesa vide con interesse il Summorum pontificum. Nella liturgia Vetus Ordo la centralità di Dio onnipotente e la sua signoria sul creato, compresa la sua regalità sociale, risultavano maggiormente evidenti che non nel Novus Ordo. In quest’ultimo, non solo per gli abusi e le forzature che pure ci furono, la dimensione antropologica emerge in modo particolare e il rapporto tra la Chiesa e il mondo appare di più come paritetico, piuttosto che caratterizzato dal primato della Chiesa sul mondo. L’umano diventa il criterio per il divino. Il ruolo pubblico della Chiesa è maggiormente inteso come un aiuto al mondo ad essere mondo, piuttosto che a salvarlo, e il ruolo della Chiesa nei rapporti sociali assume maggiormente la caratteristica della carità trascurando talvolta la verità.
Semplificando con un esempio, si può dire che un sostenitore della “svolta antropologica” della teologia, inaugurata da Karl Rahner, può leggere la Messa di Paolo VI anche come un’applicazione della suddetta svolta e come ad essa conforme. Certamente la stessa cosa costui non direbbe a proposito della Messa antica. Tra le due c’è il personalismo cristiano, se non proprio la svolta antropologica.
Credo si possa spiegare così la simpatia di un certo mondo cattolico impegnato nella Dottrina sociale della Chiesa per il Summorum pontificum di Benedetto XVI e la sua delusione per il nuovo motu proprio di Francesco. Pur dicendo di voler custodire la tradizione, quest’ultimo dà adito a chi da tempo vuole inserire la Dottrina sociale della Chiesa in una “nuova tradizione” caratterizzata dalla diminuzione del divino e dall’aumento dell’umano.
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