MONACHESIMO
L’ultimo giorno del pellegrinaggio Gesù, ritto in piedi, avanzò tra la folla dei pellegrini e gridò loro a voce alta: “Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura: Dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva” [Gv 7,37-38]. Gesù parlava dello Spirito Santo che dovevano ricevere quanti credevano in lui. Quest’acqua viva la si è vista sgorgare durante questo intero pellegrinaggio, nella vostra gioia che è manifesta malgrado la fatica, la pioggia, e tutte le prove che conoscete. Si tratta della gioia cristiana, una gioia che non è di questo mondo, che sgorga dalla croce e sale verso il Cielo; la gioia cristiana – come ci dice sant’Ambrogio – è la sobria ebrezza dello Spirito: ebrezza per la pienezza di vita spirituale che eleva le anime a Dio nella fede, la speranza e la carità; e sobrietà perché la gioia dello Spirito non è un’esaltazione entusiasta, ma il frutto del sacrificio.
San Benedetto ha coltivato questa sobria ebrezza dello spirito. Ha considerato tutta la misura dell’ostilità e del pericolo che rappresentava la decadenza della società romana, la quale si trovava in punto di morte in un’esplosione di risa. Egli ha saputo costruire un bastione entro il quale fu possibile vivere l’autentica gioia cristiana, una piccola città cristiana dove infine regnasse il Vangelo. Sono queste piccole città che hanno dato le radici cristiane all’Europa, e che hanno reso san Benedetto il patrono del nostro continente.
Se vi affacciate all’interno di una clausura monastica potrete percepire il segreto di questa gioia che ha fecondato l’Europa di spirito cristiano: vedrete una croce, un libro e un aratro. Poiché la vita monastica costituisce il cuore della vita cristiana, mi permetto di proporveli come punti di riferimento e fonti di gioia, a voi tutti che siete battezzati. Anche voi, in questi ultimi bastioni che sono le famiglie e le scuole, potete fare scorrere – ancora e sempre – queste fonti d’acqua viva.
La prima fonte della gioia cristiana è la croce, la croce che si trova al centro dei nostri altari e delle nostre chiese. Essa ci richiama il primato assoluto del culto divino su ogni altra attività umana; è una protesta contro il materialismo esacerbato della nostra società che finisce per svuotare la vita del suo significato. Al contrario, la liturgia dà alla vita il suo pieno significato, il senso della trascendenza assoluta di Dio sulle creature e sugli uomini. Ecco perché san Benedetto ha voluto regolarne tutti i dettagli, affinché Dio sia glorificato in ogni cosa. D’altro canto, la liturgia in san Benedetto è soprattutto il grande mezzo per giungere all’unione intima dell’anima con Dio e alla vita eterna. Per questo fa ritornare instancabilmente i suoi monaci nell’oratorio. San Benedetto ha dato alla preghiera la parte migliore del tempo, il momento migliore della giornata: non ha avuto paura di “rifiutare” tutto questo tempo per piacere a Dio solo. Non abbiate paura di prendervi del tempo per la preghiera. Non vi lasciate rubare il tempo dal mondo. Fate come san Benedetto, stabilitevi una regola di vita. Sono in gioco la gloria di Dio e la vita delle vostre anime. Non vi lasciate respingere dalle difficoltà. Ma che la vostra preghiera sia alla misura di quel Dio che vi ama, che è morto per voi sulla croce, affinché possiate vivere nell’eternità in sua presenza e nell’amore. Misurate la vostra preghiera sul vostro destino eterno, che è di diventare un alleluia vivente davanti all’Eterno.
La seconda fonte di gioia che troverete in un monastero è il libro, il libro che simboleggia la cultura. San Benedetto ha salvato la cultura antica e l’ha sviluppata esigendo dai suoi monaci che leggessero varie ore al giorno: ha così restaurato il culto del sapere e l’amore della verità. Ciò che non si fa senza difficoltà né senza lavoro, ma altrettanto non si fa senza ricompensa e senza gioia. Al giorno d’oggi è diventata una questione di vita o di morte per le anime e per la società. Perché gli spiriti hanno sempre più bisogno di questa maturità che la cultura rappresenta, per non essere trasportati da tutti i venti di dottrina che soffiano come una tempesta. Non si può che rimanere storditi dal successo mondiale di libri come Il Codice Da Vinci. Ma vi è una posta in gioco ben più terribile a più o meno lungo termine. Quella della pace. La cultura, in effetti, è una condizione indispensabile affinché gli uomini possano vivere insieme nella pace. La società nella quale viviamo è una cultura di morte. Una cultura che veicola in sé e che distilla nelle anime il suo veleno. Tale veleno è l’amore di sé fino al disprezzo di Dio e del più debole, è la ragione del più forte. Ecco perché dovete avere nelle vostre famiglie, nelle vostre scuole, nei vostri movimenti il culto del sapere e il culto della verità. Occorre inoltre che abbiate il genio di promuovere un’autentica cultura completamente penetrata dallo spirito cristiano. Leggete, quindi! Prendete il libro e leggete! Leggete la Sacra Scrittura, il Vangelo, leggete i Padri della Chiesa, sant’Agostino, san Gregorio Magno e tutti gli altri; conoscete la storia del vostro Paese, i poeti, i maestri spirituali e i pensatori. Solo se appollaiati sulle spalle di questi giganti che ci sono stati dati dalla Provvidenza, arriverete a vincere il principe di questo mondo e la sua cultura di morte, e a stabilire la civiltà dell’amore.
La terza fonte di gioia che scorre da un monastero è l’aratro con il quale i benedettini hanno dissodato le terre incolte per trasformarle in giardini fertili. Ciò significa che mediante il lavoro, il senso di dovere e di responsabilità, noi possiamo cambiare il mondo. Il segno più inquietante del decadimento è la perdita di speranza e del significato del bene comune. Non abbiate paura di lasciarvi coinvolgere completamente e di darvi totalmente a Cristo e alla sua Chiesa. Vi chiederà delle rinunce e molta fatica. Ma è solo perdendo la vostra anima in maniera disinteressata che la potrete trovare. L’uomo è fatto per l’aratro, è fatto per consacrarsi e lavorare a una causa che lo oltrepassa. Dom Gérard diceva in Demain la Chrétienté che per mettere in luce un po’ di cristianità occorre lo sguardo di Dio e secoli di sforzi e di virtù naturali. Siate ricolmi di speranza, mettete mano all’aratro.
Per concludere vorrei darvi un esempio di un uomo gioioso, molto gioioso, di quella sobria ebrezza dello Spirito e che vive della croce, del libro e dell’aratro. Si chiama Benedetto XVI. Lo si è presentato come un uomo autoritario e freddo. La verità è che egli è il servitore della gioia. Conosciamo il suo amore per la grande liturgia, la sua immensa cultura e il suo ardore nel lavoro. Con questi tre strumenti si è messo al servizio della gioia, la vera gioia del mondo e la gioia di Dio. Nella sua prima omelia, in piazza San Pietro, ci ha ricordato che siamo il frutto del pensiero di Dio e che non c’è nulla di più bello che lasciarsi raggiungere da Cristo. Che non c’è niente di più bello che conoscere e comunicare agli altri l’amicizia con lui. Ci ha ricordato che è un compito arduo e penoso, ma bello e grande perché in definitiva è un servizio reso alla gioia, alla gioia di Dio che vuole fare il suo ingresso nel mondo.
(Omelia della Messa conclusiva del Pellegrinaggio di Pentecoste “Notre-Dame de Chrétienté” del 2005, celebrata da Dom Louis-Marie Geyer d’Orth O.S.B., abate del monastero Sainte-Madeleine di Le Barroux, traduzione: Romualdica)
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