Si intensificano le voci di un ridimensionamento del Summorum Pontificum del Papa, ma a chi gioverebbe? A estremisti di entrambi gli schieramenti, al clericalismo episcopale e ai lefebvriani, che diventerebbero gli unici detentori della tradizione e che hanno sempre osteggiato il motu proprio di Benedetto XVI sulla Messa in latino. Che però in 14 anni ha avuto un merito: mostrare che la tradizione è un diritto e può vivere in equilibrio dentro la Chiesa.
Se davvero Papa Francesco dovesse procedere con una revisione del Summorum Pontificum, vincolando ad un via libera episcopale la celebrazione della Messa in forma straordinaria, a chi gioverebbe questa restrizione?
La domanda va posta per rendersi conto che i destinatari di un provvedimento del genere, che sarebbe clamoroso dato che Bergoglio andrebbe a manomettere un motu proprio del suo predecessore ancora in vita, non sono, come superficialmente è stato detto i cosiddetti lefebvriani. Anzi, i lefebvriani avrebbero tutto da guadagnare da uno stop alla liberalizzazione del motu proprio che sdogana la cosiddetta Messa in latino. A Econe non hanno mai digerito il Summorum Pontificum e la codificazione fatta da Benedetto XVI dell’esistenza di un unico rito, diviso tra forma ordinaria e forma straordinaria. Per la Fraternità San Pio X questa è una distinzione che non si può porre: le due Messe sono sostanzialmente due riti diversi. Per cui, questa ventilata svolta di Francesco non può che farli contenti perché diventerebbero gli unici custodi della tradizione.
Questo Bergoglio lo sa e per certi versi lo asseconda dato che nella mens del pontefice argentino, il cosiddetto tradizionalismo fa rima con rigidismo. Ma lo tollera, così come si tollerano gli eccessi scismatici delle diocesi ormai protestantizzate tedesche, il culto "cattolicizzato" delle Pachamame e dei suoi derivati nelle regioni amazzoniche e così come si tollera la situazione cinese di una Chiesa ormai di Stato accettata.
La tradizione, sprezzantemente trattata come tradizionalismo, è un eccesso, un’iperbole, un retaggio del passato da relegare in un recinto “protetto”, controllato e limitato. Conviene a Bergoglio e conviene ai discepoli di Econe. Per semplificare un po’ grossolanamente utilizzando categorie politiche: con un intervento restrittivo ai danni del Summorum Pontificum, Bergoglio farebbe ideologicamente contenta la parte sinistra della Chiesa, ma da un punto di vista pratico favorirebbe l’“estrema destra” perché i lefevbriani non hanno mai digerito lo sdoganamento della Messa in latino perché dentro il Summorum Pontificum è contenuta anche la forma ordinaria, la tanto osteggiata Messa di San Paolo VI, che nel loro schema si contrappone alla messa tridentina. E questo non lo accetteranno mai.
Per certi versi, ai lefebvriani il pontificato di Bergoglio fa comodo perché non li ha mai messi in difficoltà come invece accadde con Benedetto XVI e nei loro piani questa temuta limitazione del motu proprio non farebbe altro che portare nuovi fedeli a Econe, che è il loro vero scopo.
Mentre il Summorum pontificum di Papa Ratzinger, pur con tutti i suoi limiti, ha sancito un nuovo equilibrio mostrando chiaramente che è possibile vivere il diritto alla forma tradizionale dentro i canoni della Chiesa cattolica, senza viverla in contraddizione con la Messa novus ordo ma in una – seppur difficile – ottica di arricchimento reciproco. Monsignor Marcel Lefebvre ha il merito storico di aver custodito il seme, guareschianamente parlando, della tradizione. Ma dopo la piena, quel seme andava riseminato nel campo e il campo, sempre guareschianamente parlando, era lo stesso di prima. Il motu proprio ha fatto questo e ha consentito questa semina.
Ma soprattutto ha fatto fiorire nelle parrocchie gruppi di fedeli perfettamente a loro agio con la forma antica della Messa, ma per nulla inclini a cedere sull’efficacia della nuova, in una primavera di vocazioni, interessi, riscoperte e frutti spirituali che solo chi non vuole riconoscere la freschezza dei gruppi stabili, frequentati per lo più da fedeli con età media sui 40 anni, attivi e impegnati nella Chiesa, non può capire. Fedeli che frequentano la Messa di sempre, che ha alimentato la fede millenaria ma che non soffrono il complesso di sentirsi tacciati di essere dei fuoriusciti.
Se il documento di limitazione della Messa antica di cui si parla insistentemente in ambienti vicini al coetus fidelium dei gruppi stabili e confermato via via da sempre più fonti di stampa è in divenire, Francesco andrà a riconsegnare ai lefebvriani il contenitore della tradizione, ricacciando la Messa in latino nei ghetti e costringendo così migliaia di fedeli in comunione con Roma di fronte a una dolorosa e assurda scelta. Non è un caso che siti vicini alla Fraternità San Pio X come Radio Spada abbiano accolto con sufficienza e soddisfazione le indiscrezioni confermando quello che per loro è l'equivoco del motu proprio dove la tradizione è tollerata in un recinto, ma non regna. Questione di prospettive, perché il recinto che rischia di prospettarsi per la tradizione potrebbe essere ancora più stretto.
A margine di questa operazione, fiorisce il clericalismo e il centralismo dei vescovi, specie quelli italiani, che a quanto pare sono spalleggiati dalla Segreteria di Stato a guida italiana per conservare un lacerto di potere che il motu proprio gli aveva ridimensionato per favorire la libertas orandi fidelium. Fedeli, che stavolta però, come preannunciato, non staranno inermi ad assistere alla privazione di un bene appena scoperto e a farsi bullizzare di volta in volta dai vescovi per pregare, ma si faranno sentire.
Toccando il motu proprio, si accontenteranno gli estremi, da una parte o dall'altra, dalle spinte scismatiche o dalla comunione imperfetta poco importa e i clericalismi di ogni sorta, ma non i semplici fedeli che vogliono vivere e promuovere la tradizione dentro un cammino ecclesiale, anche se accidentato e imperfetto.
La domanda va posta per rendersi conto che i destinatari di un provvedimento del genere, che sarebbe clamoroso dato che Bergoglio andrebbe a manomettere un motu proprio del suo predecessore ancora in vita, non sono, come superficialmente è stato detto i cosiddetti lefebvriani. Anzi, i lefebvriani avrebbero tutto da guadagnare da uno stop alla liberalizzazione del motu proprio che sdogana la cosiddetta Messa in latino. A Econe non hanno mai digerito il Summorum Pontificum e la codificazione fatta da Benedetto XVI dell’esistenza di un unico rito, diviso tra forma ordinaria e forma straordinaria. Per la Fraternità San Pio X questa è una distinzione che non si può porre: le due Messe sono sostanzialmente due riti diversi. Per cui, questa ventilata svolta di Francesco non può che farli contenti perché diventerebbero gli unici custodi della tradizione.
Questo Bergoglio lo sa e per certi versi lo asseconda dato che nella mens del pontefice argentino, il cosiddetto tradizionalismo fa rima con rigidismo. Ma lo tollera, così come si tollerano gli eccessi scismatici delle diocesi ormai protestantizzate tedesche, il culto "cattolicizzato" delle Pachamame e dei suoi derivati nelle regioni amazzoniche e così come si tollera la situazione cinese di una Chiesa ormai di Stato accettata.
La tradizione, sprezzantemente trattata come tradizionalismo, è un eccesso, un’iperbole, un retaggio del passato da relegare in un recinto “protetto”, controllato e limitato. Conviene a Bergoglio e conviene ai discepoli di Econe. Per semplificare un po’ grossolanamente utilizzando categorie politiche: con un intervento restrittivo ai danni del Summorum Pontificum, Bergoglio farebbe ideologicamente contenta la parte sinistra della Chiesa, ma da un punto di vista pratico favorirebbe l’“estrema destra” perché i lefevbriani non hanno mai digerito lo sdoganamento della Messa in latino perché dentro il Summorum Pontificum è contenuta anche la forma ordinaria, la tanto osteggiata Messa di San Paolo VI, che nel loro schema si contrappone alla messa tridentina. E questo non lo accetteranno mai.
Per certi versi, ai lefebvriani il pontificato di Bergoglio fa comodo perché non li ha mai messi in difficoltà come invece accadde con Benedetto XVI e nei loro piani questa temuta limitazione del motu proprio non farebbe altro che portare nuovi fedeli a Econe, che è il loro vero scopo.
Mentre il Summorum pontificum di Papa Ratzinger, pur con tutti i suoi limiti, ha sancito un nuovo equilibrio mostrando chiaramente che è possibile vivere il diritto alla forma tradizionale dentro i canoni della Chiesa cattolica, senza viverla in contraddizione con la Messa novus ordo ma in una – seppur difficile – ottica di arricchimento reciproco. Monsignor Marcel Lefebvre ha il merito storico di aver custodito il seme, guareschianamente parlando, della tradizione. Ma dopo la piena, quel seme andava riseminato nel campo e il campo, sempre guareschianamente parlando, era lo stesso di prima. Il motu proprio ha fatto questo e ha consentito questa semina.
Ma soprattutto ha fatto fiorire nelle parrocchie gruppi di fedeli perfettamente a loro agio con la forma antica della Messa, ma per nulla inclini a cedere sull’efficacia della nuova, in una primavera di vocazioni, interessi, riscoperte e frutti spirituali che solo chi non vuole riconoscere la freschezza dei gruppi stabili, frequentati per lo più da fedeli con età media sui 40 anni, attivi e impegnati nella Chiesa, non può capire. Fedeli che frequentano la Messa di sempre, che ha alimentato la fede millenaria ma che non soffrono il complesso di sentirsi tacciati di essere dei fuoriusciti.
Se il documento di limitazione della Messa antica di cui si parla insistentemente in ambienti vicini al coetus fidelium dei gruppi stabili e confermato via via da sempre più fonti di stampa è in divenire, Francesco andrà a riconsegnare ai lefebvriani il contenitore della tradizione, ricacciando la Messa in latino nei ghetti e costringendo così migliaia di fedeli in comunione con Roma di fronte a una dolorosa e assurda scelta. Non è un caso che siti vicini alla Fraternità San Pio X come Radio Spada abbiano accolto con sufficienza e soddisfazione le indiscrezioni confermando quello che per loro è l'equivoco del motu proprio dove la tradizione è tollerata in un recinto, ma non regna. Questione di prospettive, perché il recinto che rischia di prospettarsi per la tradizione potrebbe essere ancora più stretto.
A margine di questa operazione, fiorisce il clericalismo e il centralismo dei vescovi, specie quelli italiani, che a quanto pare sono spalleggiati dalla Segreteria di Stato a guida italiana per conservare un lacerto di potere che il motu proprio gli aveva ridimensionato per favorire la libertas orandi fidelium. Fedeli, che stavolta però, come preannunciato, non staranno inermi ad assistere alla privazione di un bene appena scoperto e a farsi bullizzare di volta in volta dai vescovi per pregare, ma si faranno sentire.
Toccando il motu proprio, si accontenteranno gli estremi, da una parte o dall'altra, dalle spinte scismatiche o dalla comunione imperfetta poco importa e i clericalismi di ogni sorta, ma non i semplici fedeli che vogliono vivere e promuovere la tradizione dentro un cammino ecclesiale, anche se accidentato e imperfetto.
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