4 maggio 2021
La Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana ha pubblicato una Nota a proposito del disegno di legge Zan in discussione alla Commissione della Camera dei deputati [vedi qui] . Al testo si possono e si devono purtroppo muovere varie osservazioni critiche. Dopo l’intervento del 2007 sul riconoscimento giuridico delle coppie di fatto, l’insegnamento dei vescovi italiani su simili questioni ha purtroppo lasciato molto a desiderare, e ciò, paradossalmente, mentre i pericoli legislativi per la famiglia naturale sono di gran lunga aumentati.
La Nota della CEI prima di tutto è carente nel linguaggio adoperato. I vescovi, per esempio, parlano di “riconoscimento dell’originalità di ogni essere umano e del primato della sua coscienza”. Questa frase può essere benissimo intesa anche come conferma della scelta intenzionale soggettiva che sta alla base della ideologia del genere ed omosessualista. L’ “originalità di ogni essere umano” può venire concepita non come un progetto finalistico radicato nella natura umana, ma come la libera scelta di plasmarsi a piacere, senza tenere conto o in dispregio della propria natura oggettiva e finalisticamente orientata.
A proposito dell’espressione “primato della coscienza”, è d’obbligo osservare che il primato della coscienza può essere interpretato nel senso della sua originarietà, ossia del suo venire “prima” di ogni altra acquisizione di verità, e quindi di essere essa stessa fonte di verità. In questo modo, però, viene stravolta la concezione della coscienza propria della filosofia e della teologia classica e cristiana e, naturalmente, anche degli insegnamenti della Chiesa specialmente in materia morale. I casi di ambiguità di linguaggio sono anche altri, nel pur breve testo della Nota.
La valutazione del disegno di legge Zan è approssimativa. Si parla di “dubbi” su di esso ma non si dice quali siano, non si espongono con chiarezza i principi etici sia di ordine naturale che divino, che il disegno di legge contraddice, non si indicano soglie non oltrepassabili dalla coscienza personale, si invita al dialogo quando ormai la legge sta per essere approvata, si auspica che in questo dialogo anche i cattolici possano dire la loro ma senza indicare dei punti fermi validi per tutti loro, sicché i cattolici dicono mille cose diverse.
Una delle osservazioni critiche più sostanziali alla Nota riguarda però un altro aspetto collegato con la dottrina delle “leggi imperfette”. Questa dottrina va oggi per la maggiore in teologia morale. Per fare solo un esempio, Pier Davide Guenzi chiede di “Riaprire la questione delle leggi imperfette” nel fascicolo 3/2020 della rivista “Teologia” della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale. Questa dottrina afferma, in sintesi, che non esistono leggi assolutamente ingiuste, tutte le leggi hanno una giustizia approssimativa, nel senso che si approssimano alla giustizia senza mai incarnarla pienamente ma anche senza mai negarla pienamente. Questa tesi è stata esaminata e confutata da Tommaso Scandroglio alle pagine 141-147 del suo libro Legge ingiusta e male minore. Il voto ad un legge ingiusta al fine di limitare i danni [vedi qui ]. Essa comporta la negazione di due principi fondamentali in filosofia e teologia morale. Il primo è quello dell’esistenza di azioni umane sempre ingiuste, o ingiuste per essenza (intrinsece mala), azioni che configurano la legge che le giustifichi legalmente come essenzialmente ingiusta essa stessa. Una legge che ammette l’aborto, oppure il riconoscimento giuridico di una coppia omosessuale o l’insegnamento obbligatorio dell’ideologia gender a scuola è, in questo senso, ingiusta per essenza e quindi non emendabile, non migliorabile nel dialogo e nella trattativa, se non a condizioni molto strette ed esigenti. Il secondo principio è quello cosiddetto del male minore, che consiste nel ridurre gli effetti malvagi di una legge: per poter fare questo, bisogna intendere la legge non come ingiusta ma come imperfetta.
La Nota della CEI invita a migliorare il testo del ddl Zan tramite il dialogo anche con l’intervento nella discussione dei cattolici, quando invece la legge Zan è ingiusta non solo perché limita la libertà di espressione [critica, questa, pertinente ma non fondamentale] ma soprattutto perché assume come vero e buono ciò che vero e buono non è, ossia la relazione omosessuale come valore sociale avente pubblica dignità.
La Nota attesta così l’adesione dei vescovi italiani ad un principio di teologia morale oggi molto dibattuto e che contraddice nella sostanza quanto insegnato dalla Veritatis splendor di Giovanni Paolo II. Accettando la dottrina delle leggi imperfette e negando implicitamente quella degli intrinsece mala, la Nota aderisce ad una posizione teologica più ampia della stessa teologia morale e che consiste nel considerare il mondo, la vita, l’esperienza sempre come qualcosa di positivo anche se limitato, come qualcosa di più o meno lontano da un ideale, ma comunque mai fuori di quell’ideale. Questa visione delle cose, che trova la sua sistemazione più completa nella teologia rahneriana [cfr. Stefano Fontana, La nuova chiesa di Karl Rahner, Fede & Cultura, Verona 2016) e che ha determinato le novità della teologia morale di oggi, rifiuta quindi il concetto di legge come norma a carattere imperativo – rifiuta, per dirla in parole più povere, che l’etica naturale e Cristo pongano dei doveri senza se e senza ma – e la intende come viatico verso un ideale mai raggiungibile, rispetto al quale ci può essere chi è più avanti nel percorso e chi è più indietro, ma nessuno fuori. Per questo le leggi possono essere solo imperfette, ma mai assolutamente ingiuste.
Ecco perché i Vescovi ormai non dichiarano più che una legge del Parlamento è radicalmente ingiusta e quindi da rifiutare, da abrogare se è già stata approvata o da combattere se ancora non lo è, ma si limitato ad invitare al dialogo per migliorarla. Se la si può migliorare, vuol dire che è imperfetta ma non ingiusta.
Stefano Fontana
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