27 Agosto 2019 | Enrico Maria Romano
L’Azione cattolica italiana (AC), sorta nel lontano 1867 sotto gli auspici di papa Pio IX (1846-1878) per la ricristianizzazione della società, resta ancora oggi uno dei movimenti cattolici più ramificati e diffusi, malgrado una certa perdita di visibilità e di tesserati, registrata negli ultimi anni.
Monica Del Vecchio e Diego Grando, responsabili nazionali dell’Area promozionale associativa, hanno appena comunicato sul sito ufficiale dell’associazione i contenuti della “campagna adesione 2020”. Ed essi paiono in sintonia, se non andiamo errati, con una certa secolarizzazione interna del cattolicesimo, o auto-secolarizzazione come avrebbe detto Benedetto XVI, che punta più sull’uomo che sul cristiano, e che parla più di questioni sociali, economiche e politiche, piuttosto che etiche e spirituali.
Il titolo della campagna è “Extra larga, AC una casa per tutti”. Atei inclusi? Non lo si afferma, ma vi si allude. E se così fosse la fede cristiana sarebbe un optional, un di più, ma non più un elemento qualificante e imprescindibile.
In ogni caso, la campagna propone ai soci di indossare un nuovo habitus mentale, che “non può essere l’alibi per la rinuncia alla missione, per l’autoreferenzialità e le chiusure identitarie”. Quali?
L’Azione Cattolica, conformemente al programma della Chiesa in uscita, non deve (più) essere “un luogo stantio, non un tetto e delle pareti per rinchiudersi e difendersi dall’altro che è estraneo, ma uno spazio allargato, una tavola con un posto sempre libero per qualcuno. Sogniamo un’AC, continua il comunicato, che supera le barriere fisiche, ecclesiali e sociali, che abita le periferie esistenziali, che esce dalla propria comfort zone per stare accanto ad ogni persona. L’AC extra large non è una ‘taglia comoda’, ma una proposta coraggiosa, che impara a sconfinare”.
Il rischio è che dietro il bel fraseggio vi sia un tasso di idealità religiosa piuttosto basso, paradossalmente all’opposto di coloro che negli anni successivi al Concilio, proponevano nell’Azione Cattolica guidata da Vittorio Bachelet la cosiddetta “scelta religiosa”, come rifiuto emblematico di essere rinchiusi nelle sfere e nei loschi intrighi della politica. Dando il primato assoluto alla testimonianza di fede nella società.
Non è che per avventura, in quelle parole aperturiste sopra viste, che
non sembrano escludere neppure il non credente, l’ipo-credente e il non praticante, si cela l’esclusione del destrorso, del patriota, del ratzingeriano o del conservatore? Ovviamente, speriamo di sbagliarci perché sarebbe un paradosso e un controsenso, allargare da una parte e restringere dall’altra: o si allarga o no.
Appare significativo in questo contesto, che il papa dell’apertura al mondo per antonomasia, Giovanni XXIII(1958-1963), elevato agli onori degli altari da papa Francesco e quindi posto a modello per l’oggi della Chiesa, proprio 60 anni fa, il 10 agosto del 1959, teneva, dalla residenza estiva di Castel Gandolfo, un discorso ricco di contenuti ai presidenti dell’Azione cattolica italiana.
In cui chiedeva, 10 anni prima del ’68, che l’AC “continui ad applicarsi – in adempimento preciso dei propri impegni – perché chi sta in alto (…) ponga veramente un freno alla decadenza esasperante del costume, incominciando dall’intimità delle famiglie”. Chissà cosa avrebbe detto della società dei gay pride e child free che si sta edificando oggi in Occidente…
Riassumendo i compiti dei militanti dell’associazione ricordava i “primi principi” della stessa, ovvero “la salvaguardia della modestia, della purezza, del costume cristiano”, salvaguardia tesa a “rinsaldare la nota di fermezza e di serietà negli individui, nella famiglia, nella società”.
Secondo papa Giovanni inoltre – contro l’idea odierna che si debba abbandonare l’aspetto dottrinale della fede in nome della pastorale – “se non si posseggono chiari principi (…) si rischia di non raggiungere le vere mete e di suscitare confusione”.
D’altra parte, il buon Roncalli non invitava l’AC a fare politica in senso partigiano, “guardandosi dal fare confusioni o sbandamenti o prendere iniziative su quanto è, invece, direttamente e precipuamente azione politica”. Ma incoraggiava i suoi a illuminare la società “per l’avveramento del Regno di Cristo”, Regno di Cristo che pare una cosa molto diversa dalla politica laicista e progressista, come quella europea odierna, fondata sul relativismo, la non discriminazione e il nichilismo etico-valoriale.
L’Azione cattolica italiana (AC), sorta nel lontano 1867 sotto gli auspici di papa Pio IX (1846-1878) per la ricristianizzazione della società, resta ancora oggi uno dei movimenti cattolici più ramificati e diffusi, malgrado una certa perdita di visibilità e di tesserati, registrata negli ultimi anni.
Monica Del Vecchio e Diego Grando, responsabili nazionali dell’Area promozionale associativa, hanno appena comunicato sul sito ufficiale dell’associazione i contenuti della “campagna adesione 2020”. Ed essi paiono in sintonia, se non andiamo errati, con una certa secolarizzazione interna del cattolicesimo, o auto-secolarizzazione come avrebbe detto Benedetto XVI, che punta più sull’uomo che sul cristiano, e che parla più di questioni sociali, economiche e politiche, piuttosto che etiche e spirituali.
Il titolo della campagna è “Extra larga, AC una casa per tutti”. Atei inclusi? Non lo si afferma, ma vi si allude. E se così fosse la fede cristiana sarebbe un optional, un di più, ma non più un elemento qualificante e imprescindibile.
In ogni caso, la campagna propone ai soci di indossare un nuovo habitus mentale, che “non può essere l’alibi per la rinuncia alla missione, per l’autoreferenzialità e le chiusure identitarie”. Quali?
L’Azione Cattolica, conformemente al programma della Chiesa in uscita, non deve (più) essere “un luogo stantio, non un tetto e delle pareti per rinchiudersi e difendersi dall’altro che è estraneo, ma uno spazio allargato, una tavola con un posto sempre libero per qualcuno. Sogniamo un’AC, continua il comunicato, che supera le barriere fisiche, ecclesiali e sociali, che abita le periferie esistenziali, che esce dalla propria comfort zone per stare accanto ad ogni persona. L’AC extra large non è una ‘taglia comoda’, ma una proposta coraggiosa, che impara a sconfinare”.
Il rischio è che dietro il bel fraseggio vi sia un tasso di idealità religiosa piuttosto basso, paradossalmente all’opposto di coloro che negli anni successivi al Concilio, proponevano nell’Azione Cattolica guidata da Vittorio Bachelet la cosiddetta “scelta religiosa”, come rifiuto emblematico di essere rinchiusi nelle sfere e nei loschi intrighi della politica. Dando il primato assoluto alla testimonianza di fede nella società.
Non è che per avventura, in quelle parole aperturiste sopra viste, che
non sembrano escludere neppure il non credente, l’ipo-credente e il non praticante, si cela l’esclusione del destrorso, del patriota, del ratzingeriano o del conservatore? Ovviamente, speriamo di sbagliarci perché sarebbe un paradosso e un controsenso, allargare da una parte e restringere dall’altra: o si allarga o no.
Appare significativo in questo contesto, che il papa dell’apertura al mondo per antonomasia, Giovanni XXIII(1958-1963), elevato agli onori degli altari da papa Francesco e quindi posto a modello per l’oggi della Chiesa, proprio 60 anni fa, il 10 agosto del 1959, teneva, dalla residenza estiva di Castel Gandolfo, un discorso ricco di contenuti ai presidenti dell’Azione cattolica italiana.
In cui chiedeva, 10 anni prima del ’68, che l’AC “continui ad applicarsi – in adempimento preciso dei propri impegni – perché chi sta in alto (…) ponga veramente un freno alla decadenza esasperante del costume, incominciando dall’intimità delle famiglie”. Chissà cosa avrebbe detto della società dei gay pride e child free che si sta edificando oggi in Occidente…
Riassumendo i compiti dei militanti dell’associazione ricordava i “primi principi” della stessa, ovvero “la salvaguardia della modestia, della purezza, del costume cristiano”, salvaguardia tesa a “rinsaldare la nota di fermezza e di serietà negli individui, nella famiglia, nella società”.
Secondo papa Giovanni inoltre – contro l’idea odierna che si debba abbandonare l’aspetto dottrinale della fede in nome della pastorale – “se non si posseggono chiari principi (…) si rischia di non raggiungere le vere mete e di suscitare confusione”.
D’altra parte, il buon Roncalli non invitava l’AC a fare politica in senso partigiano, “guardandosi dal fare confusioni o sbandamenti o prendere iniziative su quanto è, invece, direttamente e precipuamente azione politica”. Ma incoraggiava i suoi a illuminare la società “per l’avveramento del Regno di Cristo”, Regno di Cristo che pare una cosa molto diversa dalla politica laicista e progressista, come quella europea odierna, fondata sul relativismo, la non discriminazione e il nichilismo etico-valoriale.
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