Marco Tosatti, 9 agosto 2018
Non sapevo che fine avesse fatto l’Abate Faria, quando non mi è arrivata una lettera da uno sperduto eremitaggio abruzzese. Un ritiro spirituale in mezzo alla natura, e con poche modernità. Così il buon abate ha dovuto far ricorso alle Poste Italiane per farmi avere, e trasmettervi, la sua indignazione per una delle tante cose strane che sentiamo dalla bocca improvvisatrice del Pontefice. Di che cosa si tratti lo vedrete subito…
Nell’incontro del primo agosto con un gruppo di gesuiti, il Santo Padre ha detto: “Sono contento di accogliervi. Grazie tante di questa visita, mi fa bene. Quando io ero studente, quando si doveva andare dal Generale, e quando con il Generale dovevamo andare dal Papa, si portava la talare e il mantello. Vedo che questa moda non c’è più, grazie a Dio”. Nella foto si osserva il Papa con un gruppo di gesuiti con abiti di foggia diversa ma tutti di derivazione ecclesiastica e con il colletto; nessuno di loro indossa la talare con l’eccezione del Papa.
Ora, io come sacerdote sono abituato a portare rispetto al Papa, ma queste uscite non le capisco proprio. Io credo che non si capisce che uscite come queste, fanno più danno che bene. Portare la talare e il mantello, Santità, non è una “moda” ma segno di ossequio più profondo per la propria dignità sacerdotale. Voi pensate che la gente si trovi bene con i sacerdoti in maglione o pullover? No, Santo Padre, la gente semplice quando vede il sacerdote in talare dice sempre cose del tipo: “sembrava proprio un prete!”. Perché l’abito, a volte, fa il monaco.
Ricordo un anziano religioso ospedalizzato negli ultimi giorni della vita che pregava gli infermieri di non privarlo del suo abito (dovevano lavarlo…) perché dal suo abito non si era mai separato, gli era stato sempre fedele. Perché sapete, Santo Padre, che queste frasi “decostruzioniste” preludono poi allo svilimento dell’abito ecclesiastico tout court, compreso quello che i gesuiti che la stavavano visitando hanno indossato.
Il vostro predecessore di venerata memoria San Giovanni Paolo II diceva nel 1982: “Inviati da Cristo per l’annuncio del Vangelo, abbiamo un messaggio da trasmettere, che si esprime sia con le parole, sia anche con i segni esterni, soprattutto nel mondo odierno che si mostra così sensibile al linguaggio delle immagini. L’abito ecclesiastico, come quello religioso, ha un particolare significato: per il sacerdote diocesano esso ha principalmente il carattere di segno, che lo distingue dall’ambiente secolare nel quale vive; per il religioso e per la religiosa esso esprime anche il carattere di consacrazione e mette in evidenza il fine escatologico della vita religiosa. L’abito, pertanto, giova ai fini dell’evangelizzazione ed induce a riflettere sulle realtà che noi rappresentiamo nel mondo e sul primato dei valori spirituali che noi affermiamo nell’esistenza dell’uomo. Per mezzo di tale segno, è reso agli altri più facile arrivare al Mistero, di cui siamo portatori, a Colui al quale apparteniamo e che con tutto il nostro essere vogliamo annunciare”.
Io apprezzo i miei confratelli che si mettono un abito ecclesiastico distintivo della loro condizione, apprezzo ancora di più chi si mette la talare, come faccio io, un segno più profondo di separazione dal mondo e di appartenenza alla dimensione soprannaturale.
Abate Faria
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