mercoledì 6 giugno 2018

I nodi che l’islam dovrebbe incominciare a sciogliere






di Aldo Maria Valli

Da tempo non sentivo più parlare del padre Samir Khalil Samir, il grande esperto di islam, una delle voci più limpide, nella Chiesa cattolica, in materia di rapporto fra cristiani e musulmani. Mi ha fatto quindi piacere che nei giorni scorsi, in occasione del suo ottantesimo compleanno, il padre Samir abbia partecipato a un convegno in suo onore a Roma, presso il Pontificio istituto orientale, e lì abbia proposto una riflessione che va letta integralmente, perché afferma alcune verità troppo spesso ignorate.

Proprio il suo amore per la verità ha creato qualche problema al gesuita egiziano, nato al Cairo nel 1938. Quando nel 2016, conversando con il giornale francese La Croix, papa Francesco disse che “l’idea di conquista è inerente all’anima dell’islam, è vero”, ma “si potrebbe interpretare, con la stessa idea di conquista, la fine del Vangelo di Matteo, dove Gesù invia i suoi discepoli in tutte le nazioni”, Samir ebbe il coraggio di correggere pubblicamente il pontefice spiegando che le cose non stanno così, perché mentre l’uso aggressivo della fede cristiana avviene a dispetto del Vangelo, e quindi attraverso un tradimento del messaggio di Gesù, in molte parti del Corano la violenza è ampiamente giustificata e anzi incoraggiata. Quando si affrontano certi temi, aggiunse Samir, bisogna stare attenti.

Subito dopo il Pontificio istituto orientale gli comunicò di non aver più bisogno delle sue prestazioni, e così il padre gesuita tornò al Cairo, dove si sta dedicando all’impegno ecumenico e alla risistemazione del materiale raccolto e prodotto in una vita consacrata agli studi.

Tra le sue esperienze più significative c’è stata quella di consigliere di Benedetto XVI, da lui difeso strenuamente quando Joseph Ratzinger, dopo la lectio magistralis di Ratisbona, fu attaccato in modo durissimo e accusato di aver offeso i musulmani.

“Il Papa – spiegò allora Samir – ha detto che la violenza è contraria alla ragione, e questo riguarda una certa concezione musulmana che usa la violenza per difendere Dio. Bisogna riconoscere che nel Corano c’è un’apertura alla tolleranza, ma anche un’istigazione alla violenza. Bisogna riconoscere che il terrorismo non nasce soltanto da motivazioni sociopolitiche, ma anche da un’interpretazione di passi innegabilmente violenti del testo coranico”.

E proprio dal papa emerito Benedetto XVI è giunto al convegno romano un messaggio pieno di affetto e di stima per il padre gesuita. Scrive infatti Benedetto XVI: “Mi ricordo bene di un’occasione – era allora a Castel Gandolfo – in cui ci ha spiegato i problemi dell’islam, con molto realismo e donandoci il giusto orientamento. Si vede con chiarezza che Lei non desidera che servire la Verità, che sola ci può aiutare”.

E che il padre Samir abbia a cuore la Verità, e continui a servirla, lo si vede bene anche dal suo intervento al simposio di Roma.

A lui dunque la parola.


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Amici musulmani, cerchiamo una via più bella di convivenza
L’islam non è solo una religione: è una totalità

L’islam, a differenza del cristianesimo, non è solo una religione: è una totalità. È questa la sua forza e il pericolo. Può diventare un impero, una dittatura, perché niente sfugge all’islam: l’economia, la politica, l’aspetto militare, il rapporto uomo-donna, i gesti precisi nella preghiera, il modo di vestirsi, tutto! Tutto è islamico!

È una forza, una potenza, ma è anche la lacuna, la difficoltà dell’islam. Mescolando religione, politica, economia e potere, la religione perde la sua essenza. È ciò che cerco di spiegare agli amici musulmani: fino a che ci sarà questo miscuglio – e rischia di essere per l’eternità – sarà difficile per i musulmani trovare una linea umanistica completa.
Il problema: mescolare politica e religione

Mescolare politica e religione è successo a tutte le religioni, in alcuni periodi. Spesso i musulmani mi criticano dicendo: “E allora, le crociate?”, aggiungendo cose inesatte e non vere. Io rispondo: “Tu stai parlando di una fase della storia, ma andiamo alla radice. Prendi il Vangelo, e trovami un solo passo in cui Gesù dice ‘combattetele, uccideteli, non fateli fuggire’, come sta scritto nel Corano” (2: 190-191; 4: 89; 9: 5; 9: 123; ecc.). Questa è la grande differenza! Gli uomini sono tutti simili, ma il testo fondatore è essenziale.

Gesù non dice “occhio per occhio, dente per dente” (Levitico 24:20; Esodo 21:24), come Mosè. Al contrario, Egli dice: “Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra; e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due. Da’ a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle” (Matteo 5, 38-42).

A chi mi viene a dire: “Ma allora, tu ti sottometti a lui, al musulmano!”. Rispondo: “No, io supero la provocazione, per aiutarlo a capire: è la visione evangelica di Cristo, il suo progetto originale.

Invece, il progetto originale di Maometto è un progetto politico, che usa sì la religione e la fede – ma è politico. L’islam non è capace di distinguere le due dimensioni. Ci sono tendenze che vogliono dissociare politica e religione, ma vengono criticate. Viene detto loro che quanto da loro portato avanti “non è l’Islam”.

Questo capita anche in altre religioni. Pensiamo all’induismo – che io credevo essere il pacifismo perfetto – e a quello che accade in India oggi: ogni giorno c’è un attacco contro protestanti, cattolici, musulmani. C’è difficoltà a distinguere la religione dalla cultura politica e economica.
“La religione appartiene a Dio, ma la patria a tutti!”

In Egitto, nel 1919, ci fu la rivoluzione contro i britannici. Il capo dell’opposizione, il famoso Saad Zaghloul, per raccogliere tutti gli egiziani – musulmani, cristiani, ebrei, miscredenti – contro di loro, lanciò lo slogan: “La religione appartiene a Dio, ma la patria a tutti!” (Ad-dīn li-llāh, wa-l-waṭan li-l-ǧamī‘).

Copti e musulmani stavano mano nella mano contro gli inglesi che invadevano l’Egitto. Era una questione nazionale, non religiosa. Non era un conflitto tra musulmani (cioè egiziani) e cristiani (cioè britannici), ma un conflitto puramente politico.

Questa è stata la vera rivoluzione delle mentalità. Abbiamo combattuto allora mano nella mano. E abbiamo vissuto poi anche mano nella mano, musulmani, cristiani ed ebrei. In proporzione a loro numero, c’erano più ministri cristiani che musulmani; lo stesso a tutti i livelli della vita sociale, economica, culturale e politica. Gli ebrei si sentivano a casa, e i i negozi più grandi erano i loro.

La religione è affare personale, tra me e Dio. Nessuno ha diritto d’interferire. È questa distinzione dei settori che è fondamentale, è quello che nel dialogo islamo-cristiano cerco, personalmente, di suggerire. Se parliamo di islam, cristianesimo e ebraismo, non parliamo di ebrei, musulmani e cristiani: parliamo del progetto. È un progetto puro, valido per tutti gli esseri umani, o è un progetto per “tribù”? Finché non ci capirà questo, temo che non ci sarà pace.
I periodi di liberalismo nella storia islamica

Nel corso della storia, abbiamo avuto periodi in cui vi è stato rispetto per tutti, soprattutto nel periodo abbasside, tra il 750 e l’anno mille. Eravamo tutti insieme, gli uni erano discepoli degli altri. Man mano, tutto si è poi politicizzato.

Più tardi, nel 1800, abbiamo riscoperto questa possibilità di convivenza, con un’apertura fino alla metà del 20mo secolo; ma poi è tornata la tendenza islamista. Il ritorno a un’era più liberale è possibile, ma non è prevedibile a breve tempo.

Ora siamo addirittura passati dall’intransigenza al terrorismo. Ed è un terrorismo squisitamente islamico. Chi uccide lo fa nel nome dell’islam, non nel nome dell’arabismo o del nazionalismo, ma contro chi non è un “perfetto islamico”: sciiti, yazidi, cristiani… E questa corrente sta arrivando anche in Occidente. Io temo che l’Europa non si accorga dell’immensità del pericolo.

Queste settimane in Gran Bretagna hanno proposto che ai musulmani si applichi la sharia, e non la legge inglese! Se la Gran Bretagna accettasse una cosa del genere – se ognuno avesse la sua legge: cristiani, ebrei, indù, ecc. – allora non ci sarebbe più patria, non ci sarebbe più Paese.

Il principio fondamentale da attuare è questo: la distinzione dei settori. La politica vale per tutti, la decidiamo tutti insieme e sbagliamo – e ci correggiamo – tutti insieme. La fede è un fatto personale. Se tu vuoi essere ateo, hai il diritto di esserlo. Penso che ti manchino degli elementi, ma quello è affare tuo. Tu hai il diritto di essere ateo, come io ho il diritto di essere credente, e l’altro di essere musulmano o buddista, ecc. Questo manca nella visione islamica.
Aiutare i musulmani a ritrovare il loro liberalismo di una volta

I cristiani devono aiutare i musulmani (ed altri gruppi religiosi o ideologici) a ricordare questi principi: non è un principio solo cristiano, è un principio umanistico. Siamo tutti “italiani”, “umani”, uomo e donna. Io non ho autorità sulla donna, né una donna ha autorità su di me. Tutti siamo sotto una sola autorità, quella della legge e – se si crede – sotto quella di Dio.

Se la Costituzione divide cristiani e musulmani, o donna e uomo – come, purtroppo dal 1971 avviene in quella egiziana – non c’è più uguaglianza e non c’è più cittadinanza! Questo concetto di cittadinanza era “la” richiesta maggiore del Sinodo per il Medio Oriente nell’ottobre-dicembre 2010, ma non è stato possibile trasmetterla alla popolazione musulmana.

La disuguaglianza tra musulmani e non musulmani, uomo e donna, ricco e povero, i vari stati sociali, ecc., sono le cause del ritardo a tutti i livelli in molti Paesi. La costituzione e le leggi valgono ugualmente per tutti, e non dovrebbe esserci nessuna distinzione tra i membri del Paese e della nazione!
Il salafismo è la piaga dell’islam

La piaga attuale dell’islam è la tendenza salafita, che consiste nel pensare che la soluzione ai mali presenti dell’islam sia il ritorno all’islam delle origini, del settimo secolo. Questa tendenza prende varie forme e nomi: il wahhabismo, da un certo Muḥammd Ibn ‘Abd al-Wahhāb (1703-1792), che viveva a Najd nel centro dell’Arabia ; i salafiti, nati in Egitto alla fine del XIX secolo, con il desiderio di riformare l’islam tornando al modello dei primi compagni e successori di Maometto; i Fratelli musulmani, movimento creato in Egitto nel marzo 1928 da Hassan al-Banna.

In questi gruppi c’è una visione per cui non si distingue fra il settimo secolo e il ventunesimo. Ciò che era valido allora lo è oggi. Eppure sono passati quattordici secoli, e ora la mentalità è cambiata, e cambia giorno per giorno. Come si può dire “torniamo a praticare quello che si faceva al tempo del Profeta”, come affermano i salafiti? Non si può. Bisogna avere buon senso e logica, e per questo la critica deve essere fatta, con rispetto, certo, perché so che chi applica quest’idea lo fa perché è convinto che quella sia la parola di Dio, ma fatta con forza.

Allora lo aiuto, dicendo: “Rifletti con me, riflettiamo insieme”. La nostra missione è di aiutare a riflettere, e loro devono decidere. Non posso decidere per loro, ma non posso ignorare che loro stiano pensando con criteri non contemporanei. Si tratta di un impegno di informazione e di apertura, non di imporre qualcosa.

È il messaggio che trasmetto personalmente agli amici musulmani. Senza aggressività, dico: “Fratello mio, io ti voglio tanto bene. Vedi come puoi fare una famiglia, amata e amante, strutturata; come fare un’industria che sia per il bene dei poveri”. Serve equilibrare tutto, pensare globalmente. E, in fin dei conti, siamo tutti esseri umani, membri di una famiglia che può essere la patria: degli egiziani, degli italiani… ma non una famiglia che divide.
Cristiani del mondo arabo: la nostra missione

Quando si dice “musulmano”, si contrappone a “cristiano”. Io penso all’evangelizzazione, è vero, ma non per convertire, ma per annunciare il Vangelo, un progetto di liberazione. Se tu pensi che questo messaggio ti aiuti ad essere migliore, prendi quel che vuoi. Ma non cerco di farti cristiano. Cerchiamo una strada più bella. Se ne vedi una, seguila, ma alla condizione che non vi sia mai qualcuno che ne soffre, che ne paga il prezzo.

Vorrei concludere con ciò che abbiamo scritto nell’Assemblea speciale per il Medio Oriente, in Vaticano, l’8 dicembre 2009: “Il rapporto tra cristiani e musulmani va compreso a partire da due principi: da una parte, come cittadini di uno stesso Paese e di una stessa patria che condividono lingua e cultura, come gioie e dolori dei nostri Paesi; dall’altra, noi siamo cristiani nelle e per le nostre società, testimoni di Cristo e del Vangelo. Le relazioni sono, più o meno spesso, difficili, soprattutto per il fatto che i musulmani generalmente non fanno distinzione tra religione e politica, il che mette i cristiani nella situazione delicata di non-cittadini” (§ 68).

“Tocca a noi, perciò, lavorare, con spirito d’amore e lealtà, per creare un’uguaglianza totale tra i cittadini a tutti i livelli: politico, economico, sociale, culturale e religioso, e questo conformemente alla maggioranza delle Costituzioni dei nostri Paesi. Con questa lealtà alla patria, e in questo spirito cristiano, noi facciamo fronte alla realtà vissuta, che potrebbe essere irta di difficoltà quotidiane, cioè di dichiarazioni e minacce da parte di certi movimenti. Constatiamo, in molti Paesi, la crescita del fondamentalismo, ma anche la disponibilità di un gran numero di musulmani a lottare contro questo estremismo religioso crescente” (§ 70).

Concludo con la dichiarazione al mondo del Concilio Vaticano II, il 28 ottobre 1965: “La Chiesa guarda anche con stima i musulmani che adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini” (Nostra aetate, 3).

Questa è la visione cristiana, che, nella mia conoscenza limitata, mi sembra essere la più aperta di tutte le altre.

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Il testo dell’intervento del padre Samir al simposio Patrimonio arabo-cristiano e dialogo islamo-cristiano è stato riprodotto da Asianews il 4 giugno

http://www.asianews.it/notizie-it/P.-Samir:-Amici-musulmani,-cerchiamo-una-via-pi%C3%B9-bella-di-convivenza-44073.html

E sempre su Asianews, il giorno seguente, è uscito un interessante articolo

http://www.asianews.it/notizie-it/La-malattia-dellislam:-quando-i-sapienti–frenano-levoluzione-44082.html

dedicato ai freni che nel mondo musulmano impediscono il confronto con la modernità e, di conseguenza, un autentico progresso. Intitolato La malattia dell’islam: quando i “sapienti” frenano l’evoluzione, l’articolo è opera di un giovane musulmano che vive a Parigi, Kamel Abderrahmani, ventinove anni, algerino, il quale sostiene che il mondo musulmano, “da Jakarta a Tangeri, passando per la ricchissima Arabia, affonda nell’ignoranza, nella decadenza e nella miseria culturale e cultuale” e “questa situazione, bisogna sottolinearlo, è il risultato dell’uso che i musulmani fanno della religione”. L’islam, dice Abderrahmani, si trova dunque a un bivio: o accetta le sfide della modernità, il che comporta un ripensamento di se stesso, oppure si irrigidisce e lascia campo aperto all’oscurantismo che non fa che peggiorare lo stato di crisi.

Aldo Maria Valli









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