L'autore è illustre compositore e musicologo, esperto di liturgia, direttore della rivista internazionale "Altare Dei" edita a Macao e Hong Kong, Un brano della sua "Missa Summorum Pontificum" può essere ascoltato qui. Di lui Settimo Cielo ha pubblicato lo scorso marzo una drammatica "dichiarazione" sulla situazione attuale della musica sacra.
di Aurelio Porfiri (21-09-2017)
A metà settembre si è svolto a Roma il pellegrinaggio dei fedeli legati alla forma straordinaria del rito romano per celebrare la loro fedeltà alla Chiesa – una, santa, cattolica, apostolica e romana – e per ricordare il decimo anniversario del motu proprio "Summorum Pontificum" con cui si concedeva un uso più ampio del Messale precedente al Vaticano II.
Per questa occasione mi è stata commissionata una messa, che ho chiamato "Missa Summorum Pontificum" che è stata eseguita nella Basilica di San Pietro il 16 settembre, durante il solenne pontificale celebrato dall'arcivescovo Guido Pozzo.
Questa mia Messa comprendeva le parti del "proprium" e quelle dell'"ordinarium". Ho tentato di innovare nella tradizione, "nova et vetera", tenendo il gregoriano e la polifonia come modello ma componendo musica che risuoni nel 2017, non come una reliquia del passato. Ho pensato prima al rito e poi alla musica, cercando di capire come la mia musica avrebbe servito al meglio quel momento rituale. Ho cercato di fare in modo che i miei brani non appesantissero il rito e che prevedessero dove possibile l'intervento dei fedeli, perché sarebbe un errore lasciare alla riforma postconciliare il primato sulla partecipazione, quando esso fu richiamato anche da tutti i documenti precedenti al Concilio. Certamente quell'idea di partecipazione non significava partecipare alla banalizzazione, alla mediocrità, al cattivo gusto. Purtroppo questo è diventato nella nostra realtà.
Nel pellegrinaggio ho incontrato veri amici della Tradizione. Tanti, una maggioranza che ha riconosciuto come valido lo sforzo fatto nel cercare di mostrare come la Tradizione non è soprattutto guardare al passato, ma guardare all'origine e proiettarci nel futuro. La forma straordinaria è sempre giovane quando si veste di coraggio, non si fa impressionare dalla minoranza (perché è una minoranza, ma rumorosa) che ha paura di ogni cambiamento.
Si può essere d'accordo o meno sul mio stile, questo è legittimo. Ma non si può o si deve pensare che la forma straordinaria sia il culto del passato. Il cattolico (non il tradizionalista, come ha detto correttamente il cardinale Sarah) guarda a Gesù che viene e senza la Tradizione cade nell'abbraccio dello spirito mondano, anche nella liturgia.
Mi è capitato, quest'anno e l'anno precedente, di avere interessanti conversazioni con alte personalità ecclesiastiche del mondo anglosassone, in visita a Roma per il pellegrinaggio. Quando mi rinfacciavano il livello mediocre della musica che si ascolta nelle chiese italiane, cercavo di controbattere che l'influenza cattiva è venuta anche dalle loro parti. Ma che il livello sia mediocre, non bisogna che ce lo vengano a dire da fuori. Il nuovo per se stesso ci porta nel baratro in cui siamo.
Ma io ho tentato di andare per un altro sentiero, il "nova et vetera". Ciò che importa, è che la forma straordinaria non deve divenire il frigorifero dove conservare le cose per non farle ammuffire, ma la serra dove nascono nuovi fiori accanto ai vecchi.
In questo pellegrinaggio ho visto tante persone innamorate della Chiesa, della sua Tradizione, dei suoi riti. Giovani e meno giovani, da ogni angolo del mondo. E questa gente non ha paura del nuovo, non sono quelli che papa Francesco ha detto essere "rigidi". No, sono persone di oggi che non vogliono perdere la bellezza della liturgia, ma vogliono perdersi nella bellezza della liturgia. Io sono con loro.
Ma certamente c'è una parte di questo mondo che viene ben rappresentata dalla definizione di papa Francesco. Sono coloro che vorrebbero vivere nel passato o farlo rivivere come se oggi fossimo nel XVI secolo o giù di lì. Non hanno i volti sereni dei pellegrini che ho visto, ma coltivano rancori e li sfogano nell'ombra. Vorrei veramente aiutarli da fratello in Cristo e dire loro che in ogni secolo la Chiesa è stata all'avanguardia dell'eccellenza artistica perché ha dato campo a nuove creazioni.
Nuove creazioni non basate sul vuoto o su estetiche contrarie od opposte a quella cattolica, ma che prendevano a modello la grande Tradizione, che ben si misuravano con i modelli dei maestri precedenti e con questi modelli ben servivano il culto di Dio.
Io ho fatto del mio meglio. Ho seguito l'insegnamento dei papi, a cominciare da san Pio X. Almeno credo di aver contribuito a violare una sorta di "tabù" che è antitetico a quello che la Chiesa cattolica è sempre stata, una madre sempre feconda di bellezza e non, come forse pensano alcuni, una vecchia e inacidita signora che non esce mai di casa perché sola e impotente.
fonte: Settimo Cielo
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