XXV DOMENICA T.O. - 24 SETTEMBRE 2017
Non aestimator meriti sed veniae quaesumus largitor admitte.
Fratelli carissimi, queste parole sono tratte dal Canone romano che noi sempre usiamo.
“Ammettici alla loro sorte beata non valutando i nostri meriti ma elargendo con abbondanza la tua misericordia…”
“Ammettici alla loro sorte beata non valutando i nostri meriti ma elargendo con abbondanza la tua misericordia…”
Meriti e misericordia! Ma Dio ci salva per i nostri meriti oppure per la sua misericordia?
I modernisti, che per ora dilagano nella Chiesa come orde barbariche, appena sentono questa parola “merito”, diventano folli. Non la sopportano. Essi seguono Martin Lutero e affermano, con parole belle, poetiche e luccicanti, che Dio non ci salva per i nostri meriti, anzi l’uomo non può neanche meritare essendo radicalmente peccatore ma Dio ci salva perché ci vuole salvare. Punto!
Ma questo è falso! Infatti l’uomo può meritare davanti a Dio. E’ proprio nel modo di agire di Dio, dice san Tommaso d’Aquino, che Egli preveda la collaborazione dell’uomo ed è proprio in questa collaborazione che trova spazio la categoria del merito. Anche se tra Dio e l’uomo c’è una distanza infinita e dunque non può esserci un rapporto di rigorosa uguaglianza, tuttavia l’uomo può avere merito presso Dio perché Egli agisce mediante il suo libero arbitrio e quindi il suo agire può essere meritorio come anche può essere demeritorio e dunque causa di castigo.
Se esiste un castigo per i peccati deve, necessariamente, esistere un merito per le opere buone.
Dio, dunque, ci dà la possibilità di poter meritare perché ci ama e vuole essere collaborato da noi. Dai nostri meriti Egli non trae vantaggio per se stesso ma in essi manifesta la sua bontà.
Dio, dunque, ci dà la possibilità di poter meritare perché ci ama e vuole essere collaborato da noi. Dai nostri meriti Egli non trae vantaggio per se stesso ma in essi manifesta la sua bontà.
Per il fatto che lo serviamo viene un vantaggio non a Lui ma a noi. Dio non ci salva, dunque, per i nostri meriti ma, badate bene, non ci salva senza i nostri meriti come dice Sant’Agostino:”Colui che
ti creò senza di te non ti salverà senza di te…”
I nostri meriti sono pochi, è vero, miseri, piccoli, ma Dio li ingigantisce. E questo non è difficile da capire: infatti un uomo, da solo, non può attraversare il mare ma, se sale su una nave, può farlo.
E così i nostri meriti: se noi li uniamo ai meriti infiniti della Passione del Signore diventano straordinariamente grandi.
E così i nostri meriti: se noi li uniamo ai meriti infiniti della Passione del Signore diventano straordinariamente grandi.
Come nella riparazione sacramentale che ci viene data dal confessore; qualche Padre nostro e qualche Ave Maria sono certamente pochi rispetto alla gravità del più piccolo peccato veniale ma, uniti ai meriti della Passione del Signore, diventano efficaci nel farci espiare la pena temporale dovuta a Dio per i peccati.
Senza meriti, fratelli miei, non si va in cielo. Se lo ricordino tutti questi sciagurati, nella Chiesa di oggi, che predicano “misericordia qua, misericordia là…” e trasformano il bene in male e il male in bene.
Tanto, Dio perdona tutti i peccati e possiamo stare tranquilli. Sciagurati! Giocano a fare i professori di teologia, sono gravi, pieni di una pensosità senza pensiero ma non ascoltano quello che Dio dice:”Cercate il Signore mentre si fa trovare, invocatelo mentre è vicino. L’empio abbandoni la sua via e l’uomo iniquo i suoi pensieri, ritorni al Signore che avrà misericordia di lui, al nostro Dio che largamente perdona”.
La parabola che abbiamo ascoltato ci ricorda che dobbiamo abbandonare la piazza dei discorsi inutili e andare a lavorare nella vigna del Signore.
Gli operai della prima ora hanno il merito di aver lavorato, gli ultimi hanno il merito di essersi fidati di quel Padrone così sollecito e amoroso che non concorda la paga ma dice “Quello che è giusto ve lo darò…”. Si aspettavano pochi spiccioli perché avevano lavorato un’ora soltanto ma ricevono la paga dell’intera giornata perché era anche giusto che la sera potessero cenare con la propria famiglia.
Ecco, fratelli miei, Dio ci chiama a lavorare nella sua vigna per guadagnarci la ricompensa, cioè il cielo. Ogni tempo è buono e non è mai troppo tardi. Ciascuno di noi non presuma di se stesso e non disperi di se stesso. Non presuma di se stesso perché se non si lavora per il Signore, se non c’è merito, non ci sarà salvezza.
Non disperi di se stesso perché fino all’ultimo istante possiamo dire di si al Signore. Egli non sta a misurare con un criterio stretto, non è “aestimator meriti”, non sta a contare le ore e i minuti di lavoro, ma è “largitor veniae” ed effonde su di noi, copioso, il suo amore.
* Arciprete di Villabate
https://gloria.tv/article/iiKipdWZfMRk2zFUb3ejxMS1E
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