di Andrea Acali - Set 16, 2017
Pensare che il motu proprio “Summorum pontificum” sia stata una concessione ai tradizionalisti, in particolare per superare la dolosa frattura con i lefebvriani, sarebbe riduttivo e insufficiente. Lo ha detto mons. Guido Pozzo, segretario della Commissione Ecclesia Dei, nel suo intervento al V convegno organizzato all’Angelicum sul documento di Benedetto XVI entrato in vigore esattamente dieci anni fa con cui si stabiliscono le regole per la celebrazione della Messa con la liturgia antica. Un appuntamento di grande rilievo al quale hanno partecipato, tra gli altri, il prefetto emerito della Congregazione per la Dottrina della fede cardinale Muller, il cardinale Sarah, prefetto della Congregazione per il culto divino, l’ex presidente dello Ior Gotti Tedeschi. Erano presenti anche il cardinale Burke e l’ex nunzio negli Stati Uniti mons. Carlo Viganò.
Antidoto all’arbitraria creatività
Chi pensa che il convegno fosse un raduno di “conservatori” e oppositori alla linea di Papa Francesco è totalmente fuori strada. Proprio per quello che ha spiegato monsignor Pozzo, che ha tracciato un bilancio “sostanzialmente positivo” dei dieci anni trascorsi: “Gli antichi libri liturgici non sono stati aboliti dal Concilio” ha ricordato l’arcivescovo, aggiungendo che lo scopo è in qualche modo far convivere le due forme rispettandone la specificità: “Nella Chiesa c’è sempre stata molteplicità di riti e varianti nel rito romano”. In particolare, ha sottolineato che “l’atteggiamento mentale e spirituale” di quanti celebrano e partecipano alla liturgia preconciliare “non è quello di chi è rivolto al passato”, di nostalgici melanconici, ma di chi vuole “ancorare l’animo a ciò che è perenne”, al patrimonio sempre attuale di quella liturgia, soprattutto dopo quelle derive postconciliari che pretendevano una rottura della continuità della tradizione. Così l’antico rito può essere “l’antidoto contro l’arbitraria creatività” che porta a “minimizzare il carattere sacrificale dell’Eucarestia” e “non va interpretato come una minaccia all’unità della Chiesa”. Non si tratta, pertanto, di “mettere in competizione” i due modi di celebrare ma quello più antico può rappresentare “una barriera al secolarismo, all’umanesimo sociologico e anticristiano. Non è un passo indietro ma guarda al futuro della Chiesa”.
L’intervento di mons. Pozzo. I numeri
Mons. Pozzo ha anche fornito qualche numero: nel 2007 in Francia c’erano 104 celebrazioni domenicali con il “vetus ordo”, oggi ce ne sono 221, che diventano 430 con quelle della Fraternità S. Pio X; in Germania si è passati da 35 a 54, in Gran Bretagna da 18 a 40, in Italia da 30 a 56, negli Stati Uniti da 230 a 480. Sorprendente, poi, l’accoglienza positiva che l’antico rito ha avuto in Estremo Oriente e nell’Europa orientale. Una crescita evidente pur di fronte alle difficoltà rappresentate dalla scarsità di sacerdoti disponibili come pure da pregiudizi ideologici o pastorali. Ed è sorprendente come tanti giovani, sia tra i fedeli che tra i seminaristi, apprezzino sempre di più il rito “tradizionale”, con un fiorire di vocazioni negli istituti sottoposti alla giurisdizione della “Ecclesia Dei” (le Fraternità di S. Pietro e S. Vincenzo Ferrer, i Servi di Gesù e Maria, gli istituti di Cristo Re e del Buon Pastore, i Figli del SS. Redentore).
L’intervento di Muller
Il cardinale Muller, calorosamente applaudito dal numeroso pubblico presente, ha ribadito che la religione cattolica non è un sistema teoretico che poi trova la sua applicazione pratica nella liturgia ma al contrario quest’ultima è “elemento centrale costitutivo dell’agire della Chiesa” perché in essa “agisce Cristo” e dunque, come ha ricordato il Concilio, è “fonte e culmine, fonte autentica, cioè norma per l’autocomprensione della Chiesa”. Il cardinale ha anche ricordato che “non è un costrutto dei primi cristiani ma gli elementi costitutivi (liturgia della parola, eucaristica) vengono dagli apostoli”. L’importanza della liturgia, secondo il porporato, risiede nel fatto che “lì avviene l’unione con Cristo, l’indirizzamento della volontà umana alla sua sequela, la speranza nella manifestazione di vita con Lui”. Muller ha anche citato Benedetto XVI: “Il primo volume della sua opera omnia (curata proprio dal cardinale, ndr) è dedicato alla liturgia”. E in essa “si decide il futuro della Chiesa” perché “è culto divino”.
Fedeli al contenuto
A margine del suo intervento, il cardinale ha ribadito che “dobbiamo essere fedeli al contenuto” perché “Dio non deve essere ridotto al nostro orizzonte ma Lui allarga l’orizzonte umano al mistero”. Ed ha fatto un esempio concreto: “Quando devo soffrire, capisco meglio il senso della sofferenza di Gesù per me, legare la propria esperienza della vita con la vita, la morte e la resurrezione di Gesù. Meditando la parola come Maria, uno entra di più nel mistero”. Sul piano pratico, riferendosi alle traduzioni dei libri liturgici, Muller ha sottolineato come la stessa lingua sia parlata in Paesi diversi con sfumature e termini differenti, pertanto “non può essere una singola conferenza episcopale a decidere. Serve una collaborazione delle conferenze episcopali di una stessa lingua. Ma anche in questo caso quello che importa è la fedeltà al contenuto della rivelazione, non sminuire l’efficienza della fede cattolica con alcune parole ‘leggere’ che nascondono che la fede è una sfida e non solo una terapia che approva tutto ciò che io penso”.
E’ stata un po’ la deriva postconciliare che ha portato allo svilimento di questi contenuti?
“Sì – ha risposto a In Terris il cardinale – C’è stata una certa ‘orizzontalizzazione’, sull’influsso della teologia liberale che ha ridotto il cristianesimo a cultura, lingua… Nel contesto del giubileo della riforma protestante si sottolinea sempre che Lutero ha introdotto il tedesco moderno ma questo non può essere la sostanza del cristianesimo. E’ un effetto collaterale, buono o cattivo, dipende, ma l’importante è la trascendenza che non è in contrasto con l’immanenza. Gesù come Figlio di Dio è divenuto Uomo, in lui c’è l’unità tra la dimensione verticale e quella orizzontale. Non vogliamo entrare nell’immanentismo o nel trascendentalismo ideale, come una filosofia hegheliana; il cristianesimo non è solo un’idea, è una persona, Gesù Cristo ma un uomo che è la persona del Logos della Trinità”.
La stupisce che tanti giovani siano attratti dal vecchio rito?
“Penso che tanti cercano la dimensione del mistero. Non la liturgia come tale ma alcuni hanno introdotto un certo ‘azionismo’: dobbiamo preparare la Messa, e preparano i canti, iniziative per bambini, un po’ superficiali, esteriori… Invece dobbiamo cercare la sostanza dell’incontro con Gesù, l’unione con Lui come segno della speranza, senso della mia vita, identità dell’uomo. Noi abbiamo l’unità tra la persona e la comunione, l’immediato contatto con Dio e anche la mediazione per la Chiesa. Abbiamo una ‘sintesi tranquillizzante’, grazie allo Spirito Santo: sia Papa Benedetto che Papa Francesco sempre parlano dello Spirito Santo come principio dell’armonia. Tutti questi elementi (il Papa, i sacerdoti, i fedeli, la parola, i sacramenti) non sono principi contrastanti, dialettici, che lottano uno contro l’altro”.
Evidente il contrasto con il protestantesimo.
“Certamente, non c’è quella parola esclusiva: sola scrittura… è principio normativo ma in unione con la tradizione viva; sola grazia… tutto dipende dalla grazia ma essa ci dà un’opzione per una vera cooperazione umana; i carismi dei fedeli… non sono in contrasto con il sacramento dell’ordine in virtù del quale uno viene ordinato a rappresentare Gesù come capo della Chiesa; ragione e fede non sono in contrasto ma sono unite, la fede ha una dimensione logica in sé perché è la fede rivelata del Logos. Perciò la ragione non viene da fuori: dimensione materiale e dimensione ideale fanno parte integrale della nostra concezione della realtà”.
Una celebrazione con il rito antico. Dettagli d’amore
Nel suo intervento, il cardinale Sarah ha ricordato la necessità di curare la liturgia come dimostrazione di amore a Dio: “Come ogni marito e moglie sanno, in ogni rapporto d’amore i più piccoli dettagli sono molto importanti, perché è in essi, e attraverso di essi, che l’amore si esprime e si vive giorno dopo giorno. Le ‘piccole cose’ nella vita matrimoniale esprimono e proteggono le realtà più grandi, tanto che il matrimonio inizia a rompersi quando questi dettagli vengono meno. Così anche nella liturgia: quando i suoi piccoli rituali diventano routine e non esprimono le realtà del mio cuore e della mia anima, quando non mi prendo più cura dei dettagli, allora vi è il grande pericolo che il mio amore a Dio si raffreddi”. Il prefetto del Culto divino ha poi messo in guardia da una malintesa inculturazione, soprattutto in Africa, Asia e America latina, che riduce la celebrazione eucaristica a una sorta di “manifestazione folkloristica”. Il cardinale ha rimarcato anche la fioritura di vocazioni nei gruppi che seguono il rito antico che, per quanto destinati a rimanere una piccola percentuale in seno alla Chiesa, hanno pari dignità: “non siete tradizionalisti, siete cattolici al pari mio e del Papa. Voi non siete di seconda classe o membri particolari della Chiesa Cattolica a motivo del vostro culto e delle vostre pratiche spirituali, che sono state quelle di innumerevoli santi. Siete chiamati da Dio, come tutti i battezzati, a prendere il vostro posto nella vita e nella missione della Chiesa nel mondo di oggi”.
Nel suo intervento, il cardinale Sarah ha ricordato la necessità di curare la liturgia come dimostrazione di amore a Dio: “Come ogni marito e moglie sanno, in ogni rapporto d’amore i più piccoli dettagli sono molto importanti, perché è in essi, e attraverso di essi, che l’amore si esprime e si vive giorno dopo giorno. Le ‘piccole cose’ nella vita matrimoniale esprimono e proteggono le realtà più grandi, tanto che il matrimonio inizia a rompersi quando questi dettagli vengono meno. Così anche nella liturgia: quando i suoi piccoli rituali diventano routine e non esprimono le realtà del mio cuore e della mia anima, quando non mi prendo più cura dei dettagli, allora vi è il grande pericolo che il mio amore a Dio si raffreddi”. Il prefetto del Culto divino ha poi messo in guardia da una malintesa inculturazione, soprattutto in Africa, Asia e America latina, che riduce la celebrazione eucaristica a una sorta di “manifestazione folkloristica”. Il cardinale ha rimarcato anche la fioritura di vocazioni nei gruppi che seguono il rito antico che, per quanto destinati a rimanere una piccola percentuale in seno alla Chiesa, hanno pari dignità: “non siete tradizionalisti, siete cattolici al pari mio e del Papa. Voi non siete di seconda classe o membri particolari della Chiesa Cattolica a motivo del vostro culto e delle vostre pratiche spirituali, che sono state quelle di innumerevoli santi. Siete chiamati da Dio, come tutti i battezzati, a prendere il vostro posto nella vita e nella missione della Chiesa nel mondo di oggi”.
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